Capitolo 10 Una reazione inaspettata

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Non potevo immaginare la piega assurda che avrebbe preso questa incredibile storia. Certo, sapevo di avere un particolare talento peri guai, ma in quell'occasione l'avevo combinata davvero grossa. Ero scappata da Clearwater, anche se in quel posto mi sentivo come in una bolla di vetro, in cui ad illuminare le mie giornate c'era il sole, ad allietarle il mare ed a scaldarle amici. Non avevo intenzione di rovinare quell'isola felice, non volevo fosse contaminata dall'orrore che mi portavo dietro, da quell'ombra nera che mi seguiva incessantemente.

Arrivai in Florida con l'idea di nascondermi in un posto non troppo grande e poco vistoso, ma a quel punto, pensandoci meglio, anche se mi terrorizzava, una grande città come Miami mi avrebbe nascosta meglio, sarebbe stato più difficile trovarmi. Non possedevo nulla di elettronico rintracciabile, nessuno al mondo aveva idea di dove fossi e lì, nessuno sapeva della mia esistenza.

Ero praticamente un fantasma.

Nonostante mi trovassi in una delle città più affascinanti del mondo, non mi sentivo minimamente attratta dal posto. Mi sentivo svuotata, ma tutto sommato soddisfatta: allontanandomi non avrei portato guai alle uniche persone che mi avevano accolta senza avere la minima idea di chi fossi, avevano visto in me una straniera che fuggiva da qualcosa, spaesata e confusa. Erano riusciti nonostante ciò, in un paio di giorni a farmi sentire una di loro, senza volere niente in cambio. Andarmene, era il minimo che potessi fare.

Non avevo idea di cosa mi avrebbe riserbato Miami, ma diversamente da quello che pensavo, non ne avevo affatto paura. Scesa dal bus, cercai il primo albergo sulla mia strada, alzai lo sguardo e ne vidi uno a un paio di centinaia di metri da me, sarebbe stato perfetto. Pagai in anticipo tutta la settimana, nel frattempo avrei escogitato qualcosa e deciso come proseguire. Entrai nella stanza e buttai i bagagli sul pavimento. Rimasi immobile ad osservarli: mi chiesi se non avessi preso quel dannato borsone, RB mi avrebbe seguito davvero fino in capo al mondo? Non riuscivo a capire il perché si fosse accanito tanto con quei soldi. La stessa cifra la guadagnava ogni settimana con i suoi sporchi traffici. Era una questione di vendetta, una situazione che gli era sfuggita di mano, una cosa da sistemare. Voleva dire morte lenta e dolorosa. Rabbrividii, la scena di ciò che sarebbe successo se mi avesse trovata era già chiara nella mia mente. Tenni duro e non piansi. Tentavo di concentrarmi su ciò che avrei dovuto fare per salvarmi la vita, ma la mia mente mi riportava a Tyler, il quale presumibilmente, non si era neanche accorto della mia fuga. Era molto impegnato la sera precedente, aveva un appuntamento, ci sarebbe voluto un po' prima di rendersi conto della mia assenza. A Jason, il proprietario del residence, avevo lasciato un messaggio d'addio, probabilmente era l'unico ad essersene accorto, gli avevo liberato la stanza. 

Facevo su e giù in quella camera come un animale in gabbia, la rabbia e la tristezza crescevano ogni minuto che passava. Mi sentivo in trappola. Senza via d'uscita. Mi buttai sul letto esasperata, ero arrivata a sperare che l'organizzazione mi trovasse in fretta, avrei in quel modo finito di penare. Non presi sonno quella notte, i brutti pensieri accelerarono il battito cardiaco, cominciai a sudare, conoscevo bene quella sensazione, in testa avevo confusione e il respiro divenne faticoso da controllare. Era il panico. Rimasi immobile nel letto senza reagire e, quella terribile sensazione presto svanì. La consapevolezza che peggio di così non sarei potuta stare, era tale da impedire al panico di prendere il sopravvento. Tentai di addormentarmi con la mia inseparabile musica, ma neanche quello servì. 

Dopo qualche ora passata in posizione supina nel letto, mi ero resa conto di conoscere ormai nel dettaglio ogni piccolo particolare di quel soffitto, allora chiamai la reception e chiesi un sonnifero, dopo aver insistito e contrattato sul prezzo, me lo fecero avere. Lasciai una mancia cospicua al fattorino che me le consegnò in camera, ne presi un paio avidamente, poi mi posizionai sul letto e lasciai che facessero effetto. Mi svegliai il giorno dopo in posizione fetale, aprii gli occhi e guardai l'ora per capire in che punto della giornata mi trovassi. Non che questo avesse importanza. Ancora stordita dai farmaci, rimasi in quella posizione senza muovermi, non avevo nessun interesse ad alzarmi, non dovevo andare da nessuna parte. Ancora coni vestiti addosso dal giorno prima, feci passare delle ore. Immobile ma sveglia, combattuta se prendere ancora pillole oppure no. Vinse il no. Non riuscivo a togliermi dalla testa quei giorni passati a Clearwater. Dopo essermi torturata a sufficienza con i ricordi, mi alzai, mi diressi in bagno e feci una lunga doccia. Indossai vestiti puliti e nascosi la valigia con i soldi nell'armadio, con la speranza che lì, le donne delle pulizie non avrebbero guardato. Chiamai il servizio in camera e mi feci portare qualcosa da mangiare, non che mi fosse tornato l'appetito, ma in qualche modo avrei dovuto nutrirmi per rimanere in piedi. Anche dopo aver mangiato, la sensazione di vuoto rimase. Volevo contattare Lisa, per avere aggiornamenti sulla situazione. In quel momento avrei voluto che fosse lì con me, sarebbe stata l'unica a farmi vedere le cose da una prospettiva diversa, sarebbe riuscita a scrollarmi e a farmi reagire. Non feci quella telefonata, avrei potuto metterla in pericolo e non ne avevo nessuna intenzione. Provai a pensare cosami avrebbe detto in una circostanza del genere: di certo che non dovevo lasciarmi andare, che avrei dovuto tirare fuori gli attributi, che avrei dovuto lasciarmi alle spalle quel Tyler Stone e dovevo pensare a salvarmi il culo. Sì, sarebbero state proprio quelle le parole che avrebbe usato. Aveva funzionato. La priorità cambiò e il mio spirito combattivo venne fuori. L'avrei fatto, avrei tentato di rimanere in vita. Mi convinse un pensiero: se ci fosse stata anche solo una piccola possibilità di provare ancora quelle sensazioni, ne sarebbe valsa la pena. Quindi mi feci coraggio e mi diedi una possibilità. Decisi di uscire, senza troppo entusiasmo. Avevo bisogno di ossigeno e forse, alimentando il cervello con dell'aria non riciclata, fuori da quella stanza, sarei riuscita a farmi venire in mente qualcosa. Quando però guardai dalla finestra appurai che era di nuovo notte, dovevo essere prudente, avrei aspettato il mattino. Anche quella sera, con una nuova visione d'insieme, non riuscii a prendere sonno. Provai a leggere, ad ascoltare musica, provai con la tv, ma niente. Chiusi gli occhi, ed ecco violento ed improvviso come un uragano, comparve il viso caldo e rassicurante di Tyler e scorse tutto come un film: i giri in moto, le risate, la spiaggia, il bagno in mare, gli sguardi e le confessioni. Grazie alla piacevole sensazione di quei ricordi, mi addormentai. Il mattino mi svegliai riposata, mi alzai e mi affacciai alla finestra, il sole era alto, la temperatura piacevole, la città era sveglia. Mi vestii e uscii ad affrontare quella nuova realtà. Camminavo per le strade di Miami guardandomi intorno, ma senza troppo entusiasmo, il sole era sempre caldo e amico, di conforto. Nonostante le strade affollate, mi sentivo sola e rassegnata. La speranza era, che passeggiando, stimolata dal movimento della città, mi sarebbe venuta un'idea, speravo di trovare una soluzione che desse una svolta definitiva alla situazione. Mi chiedevo se sarebbe mai finita.

La città non mi spaventava come al solito, tutto quello che avevo passato fino a quel momento, in un certo senso mi aveva rafforzata o forse ero solo stanca, talmente stanca di avere sempre paura, che lamia mente ormai aveva raggiunto l'assuefazione. Il cervello era così abituato a quella costante emozione, che non la riconosceva più, era saturo e di conseguenza non mandava più l'impulso al corpo di reagire con i sintomi che la caratterizzavano. Dopo questa riflessione conclusi che probabilmente stavo impazzendo. Mi diressi verso il mare, una delle numerose zone portuali, se c'era una cosa che non mancava a Miami era il mare, forse alla vista dell'oceano mi sarei sentita meglio. Feci una lunga camminata a piedi, quando iniziai a sentire l'odore della salsedine e il richiamo dei gabbiani, inspirai profondamente, chiusi gli occhi un momento per godere il più  possibile dell'effetto benefico che aveva su di me. Arrivai sul viale che costeggiava il mare e mi soffermai ad osservare tutto ciò che mi circondava, tutto ciò che la mia vista era in grado di vedere. Davanti a me c'erano ormeggiate una grande quantità di barche di ogni dimensione, il mare era blu cobalto, i gabbiani pescavano a pelo d'acqua e un leggero vento marino mi soffiava sul viso, chiusi di nuovo gli occhi e sentii per un istante, conforto. Ad un tratto un grido mi riportò alla realtà. Il posto brulicava di gente, subito non gli diedi troppo peso, c'era parecchia confusione e pensavo di essermi sbagliata, forse erano ragazzi che giocavano tra loro, o qualcuno che cantava a squarciagola, ripresi così a farmi distrarre dal mare. Un istante dopo, quell'urlo divenne insistente, sembrava proprio una richiesta d'aiuto. Mi voltai in quella direzione, nessuno sembrava si fosse accorto di nulla, ma seguii quella voce, davanti a me c'era una strada più piccola, dalla parte opposta, al di là della larga strada. Era troppo lontano per capire cosa stesse succedendo. Mi avvicinai verso le grida intenzionata a capire se la sensazione percepita fosse reale, attraversai e sentii di nuovo quell'urlo. Accelerai il passo e mi avvicinai, l'urlo era forte e chiaro: era una donna. Man mano che mi avvicinavo sentivo ancora lamenti e la voce di un uomo. Piano, senza farmi sentire mi avvicinai ancora, rimasi nascosta e sbirciai nel vicolo. La scena era davanti ai miei occhi. Un uomo armato stava molestando una donna. Lei, sdraiata sull'asfalto sporco e umido gli implorava di smetterla. Lui era su di lei e non la stava a sentire, le teneva la pistola puntata sul cuore mentre tentava di usarle violenza. L'adrenalina salì rapidamente, alcuni terribili ricordi riaffiorarono, il cuore cominciò a battere forte, il respiro si fece affannoso, così entrai nel vicolo e mossa da non so quale coraggio mi avvicinai ai due, mi guardai intorno attenta in cerca di qualcosa, di qualsiasi cosa. In preda alla furia individuai lì per terra un tubo di ferro arrugginito, lo presi, sentii la rabbia invadermi, partire piano dal ventre e velocemente salire, riempire il torace e poi la testa. L'uomo mi voltava le spalle e quasi senza realmente rendermene conto, mi lanciai verso di lui urlando con quel tubo in mano e con tutta la forza che avevo glielo scagliai sulla testa, contemporaneamente lui si voltò attirato dall'urlo e dalla sua pistola partì un colpo. Ci volle un attimo per capire. Il proiettile mi colpì e caddi per terra. Misi la mano sull'addome, qualche istante dopo il dolore arrivò violento, la mano si riempì di sangue, dalla ferita ne usciva in notevole quantità, non ci voleva un esperto per capire che la situazione era complicata. La ragazza, era riuscita a sfuggire al suo aggressore, che cadde per terra in una pozza di sangue. Senza esitazione lei si avvicinò, si inginocchiò e mi prese la mano, rimase con me tutto il tempo. Sentivo la sua agitazione, le mani le tremavano mentre chiamava aiuti dal suo cellulare. Durante l'attesa il dolore aumentava, non capivo se l'asfalto umido mi aveva intriso i vestiti o se era il sangue a darmi quella fastidiosa sensazione di bagnato. Mi sentivo sempre più debole e i rumori divennero via, via fiochi, in dissolvenza, come le canzoni nei vecchi vinili. La donna vicino a me, tentò in tutti i modi di tenermi cosciente, 'resta con me' ripeteva. Alzai la testa per guardare la ferita, avevo paura, la guardai, poi sentii le forze abbandonarmi. Lasciai andare la testa sull'asfalto vinta dalla forza di gravità.

<<Tieni duro, stanno arrivando>> diceva, la guardai involto, c'erano i segni che quell'uomo le aveva lasciato e il naso ancora le sanguinava.

<<Ma quando arrivano? Qualcuno ci aiuti!>>

La gente curiosa iniziò ad avvicinarsi e a riempire lo spazio circostante, guardai i volti curiosi, poi finalmente sentii le sirene che si avvicinavano. In quel momento vidi tutto offuscarsi, le sagome non erano più definite, chiusi gli occhi e per un istante comparve il viso di Tyler Stone, poi divenne buio.






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