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Quel Lunedì...

<Buongiorno principessa> Victor era venuta a prenderla, come ogni volta. Aveva accostato la macchina nera davanti alle porta d'entrata, aspettandola con la musica bassa.

Si sedette sul sedile in pelle, posò lo zaino sulle sue gambe e chiuse la portiera, si fece velocemente la coda e diede un bacio sulla guancia al suo manager <Buongiorno anche a te> appena fatta la coda e allacciata la cintura si rilassò, e notando che la macchina ancora non partiva, lo guardò.

<Perché non partiamo?>.

<Come stai?>.

Alzò le sopracciglia <Bene, come sempre>.

Victor sospirò, guardando la strada <Va bene, ci sono delle brioche sui sedili dietro> accese la macchina, spaventandosi all'urlo di Diana quando prese il sacchetto di brioche e lo aprì.

Spostò ancora lo sguardo su di lei, notando un particolare <Di chi è quella giacca?> la prese in mano, sfilandola dalle gambe di Diana. L'aprì, notando la fodera all'interno <Non è mia> la portò al naso, annusandola <Non è neanche il mio odore, cos'è Armani?>.

Diana rise sotto i baffi e sotto tutta quella polverina bianca soffiata sopra la brioche, le diede un altro morso, affondando i denti nella crema.

Intanto Victor continuava ad annusarla <Si, direi proprio Armani> guardò l'amica <In questa taglia non ci sto e non metto neanche quel profumo, quindi chi è il ragazzo?> osservò i finestrini e partì immettendosi nel traffico mattiniero, lasciando la giacca sulle sue gambe coperte da dei pantaloni di cotone scuri.

<È di Tom, devo riportargliela> frenò di colpo, si riparò con le braccia per non sbattere la testa e non farsi male.

Spostò lo sguardo spaventato a Victor che la guardava di sfuggita, con la faccia di uno che ha appena fatto un casino <Non ho visto il semaforo rosso> confessò, cercando di non ridere.

Diana sospirò pesantemente, prima di scoppiare a ridere per la situazione, con Victor che la seguì a ruota.

<Dammi questa giacca, evidentemente il profumo ti ha drogato> se la portò al petto, come un peluche, e la lasciò cadere sul bacino.

Victor dopo un po' smise di ridere e tornò serio, gli occhi azzurri erano coperti dagli occhiali da sole neri e firmati, le labbra erano chiuse e rosee, portava una camicia bianca, con i primi bottoni aperti, il taglio lo faceva sembrare più giovane dei suoi vent'anni e al polso sinistro portava un rolex argentato, le maniche alzate al gomito facevano intravvedere il braccio destro interamente tatuato.

I tatuaggi che portava da almeno tre anni erano la sua storia, il suo dolore e il suo essere.

Diana sapeva a memoria tutti quei disegni, quelle scritte e quelle date, intorno al polso aveva quella che lui amava chiamare "Il giorno della nascita": era la data del suo coming out.

Si ricordava ancora quel giorno, pioveva, era inverno e le temperature erano poco sopra lo zero, Diana si trovava sotto le coperte in salotto davanti al camino, con il pile e le pantofole pelose, la cioccolata in una mano e il libro sulle gambe. Improvvisamente il campanello suonò e lei, di controvoglia, andò ad aprire, aspettandosi di trovare l'ultimo corriere del giorno. Invece davanti a lei si trovava Victor, in maglietta a maniche corte e jeans orami zuppi dal temporale, i capelli, che a quel tempo portava lunghi fino al naso, erano finiti per essere lisciati dalla pioggia e i suoi occhi erano spenti, con le lacrime che si mischiavano alla giornata assolutamente peggiore che avesse mai vissuto. Lo fece entrare e raccontò tutto.

Ovunque tu sia || Tom HollandDove le storie prendono vita. Scoprilo ora