Prologo

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-Unbroken

Conoscevo quasi a memoria le regole che aveva esposto sulla bacheca la signorina Evans dal primo momento del mio arrivo, ma dopo un lungo conflitto con me stessa ho deciso di ignorarle completamente per la millesima volta.
Ho odiato questo posto dal primo momento in cui me ne hanno parlato e lo odio tutt'ora.
I grandi muri di color bianco candido, le porte scure e l'arredamento spoglio non fanno altro che peggiorare la situazione. Non fermatevi ad osservare il grande cartello grigio all'inizio dell'ampio giardino che ritrae tanti fiorellini colorati e una variopinta scritta 'Benvenuti a tutti' perché non è di sicuro quello che vi aspetterà una volta oltrepassato il grande e inquietante portone nero.
La sensazione più brutta al mondo è sentirsi soli e in quelle mure traspirava solo solitudine ed amarezza.
Nessun vorrebbe ritrovarsi qui e nessuno dovrebbe starci contro la propria volontà.

I miei piedi rabbrividiscono al contatto con il pavimento freddo mentre veloce, ma cercando di non far troppo rumore, attraverso il lungo corridoio.
La strada la so a memoria e non è un problema se l'unica fonte di luce è il debole bagliore della luna.
Cerco di fare il più in fretta possibile anche perché i grandi corridoi inquietano ancora di più sotto la poca luce della notte.
Un brivido di panico attraversa il mio corpo quando, grazie alla mia goffaggine, la penna che tenevo tra le mie dita cade emettendo un suono abbastanza forte.
Mi guardo indietro per vedere se qualcuno ha sentito il rumore e tiro un sospiro di sollievo appena scopro che tutti continuano a dormire senza accorgersi di me.

L'aria fredda accarezza la mia pelle chiara appena varco la soglia della finestra.
Mi impegno il più possibile per cercare di non cadere.
Dopo essermi seduta appoggio il mio album e tutto il materiale dietro la mia schiena così da non farlo cadere.
Mi prendo un attimo per osservare il bellissimo panorama che si intravede da quassù.
Amo questa vista e questo luogo è uno dei pochi luoghi che io considero belli in questa casa.
Descriverei questa casa un inferno e non solo per il suo aspetto esteriore.
Qua non so chi sono e non so da dove vengo.
Prima che gli assistenti sociali mi portassero qua l'idea di rimanere con persone a cui importavo e che si prendevano cura di me mi rese molto felice e sollevata, ma non sapevo in cosa veramente consisteva questo posto.
D'altronde non sapevo e non so niente sul mondo esterno se non quelle poche cose che i volontari dell'ospedale e, appunto, gli assistenti sociali si sono presi la briga di spiegarmi.
So poco e niente del presente, poco sul futuro e nulla del mio passato.
Da quando quel pomeriggio freddo mi sono svegliata ancora scossa dal mal di testa in quel letto d'ospedale spoglio mi sento disorientata e senza un obbiettivo preciso, mi sento abbandonata e persa.
L'unica cosa che so per certo su di me è che so disegnare e, non per vantarmi, ma sembro anche brava. No sapevo neanche quanti anni avevo o semplicemente come mi chiamavo finché un poliziotto non troppo gentile mi riportò quello che restava dei miei effetti personali. L'incidente aveva bruciato tutto e, a quanto pare, aveva bruciato anche la mia memoria.
Ovviamente nessuno riuscì a spiegarmi bene come stavano le cose, ma dovetti stare zitta e sopprime la paura e la voglia di urlare.
Di sicuro avevo una madre, un padre e chi lo sa? Magari anche un fratello o una sorella.
Avevo degli amici, persone a con un viso conosciuto che in quel momento non riuscivo a ricordare.
Nella mia mente c'era e c'è il vuoto completo. Non sarei qui se solo Dio non si fosse preso gioco di me. Sarei a vivere una vita normale con persone che conosco e non con questa gente a cui poco importa di me.
Qua, sotto questa meravigliosa coperta di stelle, spero solo che qualcosa o qualcuno arrivi per portarmi il più lontano possibile da questa insulsa realtà.

Unbroken h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora