𝒾𝓃𝒸𝒾𝓅𝒾𝓉 𝒹ℯ𝓁 𝒸𝒶ℴ𝓈;

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(9)

sᴏɴɢ:
ʀᴜɴᴀʀᴏᴜɴᴅ sᴜᴇ, ᴅɪᴏɴ

Jimin ingoiò l'ennesima lacrima, asciugandosi il moccio con la manica della felpa, mentre, come un bambino sperduto, camminava a piedi scalzi per il corridoio.
Si sentiva così stupido, così insulso.
Come aveva potuto?
Come aveva potuto avere paura di Jungkook?
Si sentiva così solo in quel momento, mentre i piedi freddi camminavano spediti sulle piastrelle, e non si era sentito così nemmeno quando Wonho l'aveva lasciato dicendogli che era inutile.
Il perché di tutta quella angoscia non se lo sapeva spiegare davvero, non sapeva dargli una definizione precisa, però sapeva che uno dei motivi principali che lo facevano riversare in quel modo in quel momento era che si sentiva tremendamente in colpa.
Aveva davvero avuto paura di quel poeta dannato dal cuore d'oro?
Di quello scricciolo, così prezioso?
Jimin se ne era pentito subito dopo, quando aveva mollato tutti in mensa ed era corso in camera per nascondersi sotto le coperte, lontano da occhi crudeli.
Non era riuscito a pensare a nient'altro per ore.
Non era riuscito a capacitarsene.
Jungkook lo aveva dannatamente spaventato nel giro di quei pochi minuti, era accaduto tutto così velocemente, in maniera così caotica.
Quella violenza, così forte, così prorompente.
Aveva pensato che quello non era il suo Jungkook.
Ed invece era proprio lui.
E si sentì così meraviglioso nel realizzarlo.
Jungkook non aveva mai alzato un dito su nessuno, non aveva mai risposto a nessuna provocazione.
Jungkook non aveva mai risposto a nessun attacco.
Nemmeno quando prendevano le sue poesie di nascosto, attaccandole in giro per l'Istituto.
Nemmeno quando qualcuno se le portava in aula, in gran segreto, come se avessero rubato il pettegolezzo più oscuro, più scabroso, leggendolo davanti a tutti, ridendone crudelmente.
Jungkook sapeva tutto questo.
Succedeva da anni.
Erano tante piccole pugnalate al cuore.
Eppure quel giorno aveva risposto.
Quel giorno, in mensa, aveva risposto davanti a tutti, lasciando fluire fuori tutta la rabbia.
E Jimin solo dopo aver raggiunto la sua camera l'aveva capito.
Jungkook non aveva reagito in quel modo per i suoi segreti che venivano spifferati davanti a tutti.
Quel gioco triste l'aveva retto per anni.
Jungkook aveva reagito così perché se la stavano prendendo con un innocente.
Jimin, in quel momento, era sembrato così fragile.
Jungkook aveva visto un innocente essere deriso, umiliato, aggredito.
Ed era intervenuto.
Jungkook, quando aveva visto Jimin cedere sotto quelle malevole risate, aveva visto sè stesso.
Come aveva potuto Jimin, allora, avere paura di lui?
Non avrebbe dovuto averne.
Nemmeno per un secondo.
Jungkook si era mostrato forte, indomabile, incredibile.
Ma quello era uno spasmo, l'ultimo atto di coraggio prima di cadere.
Quella era la facciata forte, quella che si mostra in pubblico, mentre i pezzi in realtà stanno già cadendo dietro le quinte.
Quei pezzi non era pezzi qualunque, erano quelli che nonostante cadano, e siano morti, vanno nascosti, perché non possono essere lasciati in giro.
Altrimenti si creava una scia di pane, come quella di Pollicino.
Una scia di pane per avvoltoi.
I pezzi fragili come quelli li si tentava di incollarli in privato e Jungkook lo sapeva bene.
Jimin, nel giro di una notte, aveva realizzato una dura verità.

THE POETRY BOY | JIKOOKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora