𝒸𝒶𝓈𝒸𝒶𝓉𝒶 𝒹𝒾 𝓅𝒶ℊ𝒾𝓃ℯ 𝒾𝓃ℊ𝒾𝒶𝓁𝓁𝒾𝓉ℯ;

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sᴏɴɢ:ʟɪғᴇ, ʟᴇɢᴇɴᴅ

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sᴏɴɢ:
ʟɪғᴇ, ʟᴇɢᴇɴᴅ

Il cuore di Park Jimin era incontrovertibilmente inconsolabile.
Il ragazzo non sapeva più dove sbattere la testa, come avere almeno un minuto di pace.
Non ce la faceva più, voleva assentarsi dai propri pensieri.
Il suo cuore sembrava essere stato strappato dal proprio petto ed essere tritato in un frullatore.
Le emozioni lo stavano mangiando vivo, il fantasma di suo padre che aleggiava su di lui ad ogni ora, come un presenza oscura.
Avrebbe preferito decisamente non sentire più nulla.
Magari sentire un vuoto totale, una sensazione di apatia... della rassegnazione...
Quelle emozioni sarebbero state meglio, molto meglio di quello che provava in quelle ore.
Ed invece sentiva tutto.
Ogni fibra del suo corpo era in pena.
Il suo corpo sembrava in fribillazione per tutti gli avvenimenti che stavano accadendo negli ultimi giorni.
Era passata esattamente una settimana da quando Jungkook aveva abbandonato in fretta e furia la sua camera da letto, non dandogli nemmeno il tempo di spiegarsi, non dandogli nemmeno la possibilità di raccontargli della situazione che aveva alle spalle.
Il corvino, prima di eclissarlo, l'aveva persino chiamato per cognome, senza usare quei nomignoli a cui tanto si erano affezionate le sue orecchie ed il suo cuore.
E da quel momento per Jimin era stato tutto buio.
Tutto era precipitato in una discesa terminante con un orribile burrone.
Il suo stomaco faceva i capricci, a volte non riusciva ad aprire nemmeno la bocca per mangiare del cibo o per bere qualcosa, altri giorni ingurgitava di tutto, fino a sentirsi sazio, pieno, quasi disgustato.
Stava sfogando la pressione sul cibo.
Aveva vampate di calore improvvise, ansia, palpitazioni, non dormiva, non respirava, non stava bene.
E tutto questo perché non poteva parlare con Jungkook.
Il corvino non lo aveva cercato nemmeno una volta, non l'aveva guardato nemmeno una volta.
E Jimin, d'altro canto, non aveva avuto neanche una minima occasione di avvicinarsi, visto che Wonho gli era praticamente con il fiato sul collo.
Lo seguiva ovunque, era con lui ovunque, come un segugio con la preda.
Era sospetto.
E Jimin soffriva come un cane nel guardare Jungkook da lontano, a mensa, negli unici momenti in cui poteva spiarlo di sottecchi mentre giocava con il cibo nel piatto, stando attento a non farsi beccare da Wonho al suo fianco, troppo impegnato a vantarsi dei suoi punteggi sul campo di football.
Wonho lo guardava più del solito.
Ma la cosa che più lo distruggeva era lo stato del corvino.
Jungkook...
Jungkook a mensa era sempre al suo solito tavolo, da solo, con del riso scondito nel piatto ed alcuni diari su cui scriveva freneticamente.
Aveva delle occhiaie da spavento.
Il ragazzo non si fermava nemmeno per un secondo.
Scriveva, scriveva chissà cosa, senza posare mai la penna.
Il biondo avrebbe pagato per sapere cosa diavolo stesse scrivendo su quelle pagine stropicciate.
Avrebbe voluto leggere anche uno solo di quei quaderni.
E Jimin soffriva, soffriva per tutto quello.
Soffriva da morire, si sentiva come in trappola.
Ma la cosa che più lo infastidiva di tutto era Yoongi.
Min Yoongi lo irritava più di qualsiasi altra cosa al mondo e stava risvegliando in lui un lato geloso che non pensava di possedere.
Quello strano ragazzo era tornato ad attaccarsi a Jungkook come una sanguisuga, standogli addosso in maniera appiccicosa, bisbigliandogli sensualmente chissà cosa nell'orecchio più volte.
Yoongi non aveva aspettato nemmeno un giorno per buttarsi di nuovo su Jungkook dopo l'allontanamento da Jimin.
Aveva impiegato la stessa velocità che avrebbe attuato una mosca nel volare su carne morta.
Jimin aveva sentito letteralmente lo stomaco chiudersi in una tenaglia quando aveva notato, il giorno prima in mensa, la mano di Yoongi scivolare sull'interno coscia di Jungkook, scacciata subito dopo dal corvino stesso che sembrava infastidito da tutte quelle attenzioni.
E Jimin avrebbe voluto urlare.
Avrebbe voluto urlare che no, Yoongi non poteva toccare in quel modo Jungkook, il suo Jungkook.
Perché Jungkook era suo, solo lui poteva toccarlo, solo lui poteva baciarlo e, cazzo, Jimin aveva realizzato di essere fottutamente innamorato di quel ragazzo delle poesie!
E quella realizzazione lo aveva colpito dritto nel petto, come un dardo, come una coltellata.
Aveva finito per fare ciò che Jungkook gli aveva raccomandato di non fare fin dall'inizio: sviluppare dei sentimenti.
Jimin stava per scoppiare, si stava tenendo dentro tutto quello da più di sei giorni, non ce la faceva più e la sua vita sembrava essere un gran casino.
Aveva bisogno di urlare, aveva bisogno di gridare, aveva bisogno di Jungkook.
Da quanto aveva sviluppato quella dipendenza?
Da quanto tempo Jungkook era diventato come ossigeno per lui?
Cazzo, non se ne era nemmeno accorto.
Jungkook gli aveva fottuto il cervello.

THE POETRY BOY | JIKOOKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora