Il Regno dei Casinisti [2]

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«Spingi, Simone! Spingi cazzo, mia nonna sa fare di meglio!» gridò Michele

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«Spingi, Simone! Spingi cazzo, mia nonna sa fare di meglio!» gridò Michele.

«Vai vai vai!» incitò Massimo, al suo lato. Lo sguardo di Michele saettò sul biondo, accovacciato sulla sedia girevole. Il pilota, quello che quasi era morto schiattato sotto il pezzo di muro, la spingeva con una foga ammirevole. I passi suoi e di Simone rimbombavano nel lungo corridoio scolastico, insieme alle grida di chi assisteva alla scommessa ridicola e al suo risultato. Michele se ne stava come Massimo, accovacciato sulla propria sedia girevole, le braccia larghe per rimanere in un equilibrio precario.

La tipa alla fine del corridoio teneva i palmi volti verso di loro e li incitava con un sorriso.

Michele lanciò un'ultima occhiata al biondo e poi si lanciò giù dalla sedia, battendo il cinque della ragazza prima di lui.

Esultazioni e imprecazioni si alzarono contemporaneamente dal piccolo pubblico e Michele tornò in equilibrio con un ghigno soddisfatto.

«Ma che è?! Hai imbrogliato!» si lamentò Massimo.

«Mi devi cinque euro. E diciamo la verità, questa sfida l'ho vinta io che se era per te arrivavo domani» sbuffò in direzione di Simone, indicandolo con un gesto della mano.

«Ho corso come un pazzo» Simone alzò un sopracciglio con fare offeso, affannato, poi fece andare in avanti la sedia girevole con un gesto rapido per colpire il ginocchio di Michele, che imprecò prontamente alla botta.

Alla fine, fu deciso che Massimo avrebbe offerto un numero di caffè a discrezione futura di Michele e lasciarono il corridoio, avventurandosi nuovamente nel regno anarchico che era diventato quella scuola. Fuori dalle finestre, il cielo buio indicava l'ora tarda. Alcuni sarebbero rimasti a dormire, ma Michele non ci teneva, sinceramente. Non era lì perché credesse fermamente a qualche ideale, più che altro le occupazioni erano sempre motivo di cazzeggio e lui viveva di cazzeggio, fondamentalmente. Gruppetti di studenti facevano la loro comparsa lungo il corridoio, chiacchierando del più e del meno. Massimo parlava praticamente da solo mentre Michele e Simone lo seguivano. Musica risuonava in un crescendo che li attirava mentre passeggiavano svogliati, le suole che carezzavano il pavimento dalle mattonelle squadrate. Affacciandosi nell'aula da cui proveniva il pezzo trap di dubbio gusto, furono investiti da una nube di fumo. L'odore di erba gli invase le narici mentre seguiva Simone dentro.

«Ecco dov'eri!» esclamò Massimo con un sorriso e seguendo il suo sguardo notò Rebecca seduta su un banco a chiacchierare con un tipo, lo stesso di quel sabato in cui erano tutti quasi morti. Lei lo salutò fugacemente, ma il boy arditamente aveva poggiato le mani ai lati dei suoi fianchi, un po' chinato in avanti con un sorrisetto, e Rebby tornò concentrata su di lui. Giustamente.

«Che fate?» il tono di Massimo si avvicinò agli altri e Michele gli fu dietro, perché non conosceva nessuno di quelli che stavano buttati a terra a fumare, circondati dai ghirigori grigiastri che li avvolgevano in un manto soffice. I banchi erano stati spostati raso muro e il gruppo se ne stava seduto, circondato da bottiglie e con roba sparsa in giro, comprese coperte e sacchi a pelo.

«Ma l'allarme antiincendio?» chiese.

«Forse non hai capito in che condizioni è questa scuola» sbuffò Simone, guardandolo di sfuggita con un mezzo sorriso, le mani in tasca «A Milano forse eri abituato ad altro, ma lì è un'altra storia».

«A Milano ero abituato a, quantomeno, il rispetto delle norme base per la sopravvivenza» alzò le sopracciglia, accigliato, ma non troppo.

«Ve ne volete stare qua impalati?»

Si voltarono e, di fronte a loro, c'era quello che fino a poco prima era tutto preso da Rebecca, la quale se ne stava ora al suo fianco, le guance spruzzate di un leggero rossore. Che cara, sembrava proprio presa da quel tipo. In effetti non è male. Capelli corti, mascella definita, almeno un metro e ottanta di figaccione. Sembrava uno che scopava forte.

Freniamo i miei viaggi mentali da porno gay anche ora.

«Venite con me, vi mostro una cosa» sogghignò quello, gli occhi di un azzurro bluastro che avevano un luccichio. Li superò col cellulare alla mano e Rebecca li incitò con un gesto. Michele non aveva di meglio da fare ed era giusto un po' incuriosito da cosa quel tipo dal fascino nordeuropeo avesse in serbo per loro. Non quello che lui sperava negli angoli più perversi della propria mente, ma, comunque, ora era curioso. Sperava in un risvolto gay in ogni caso, a prescindere da tutto.

Lo seguirono lungo il corridoio e lui e Simone si scambiarono un'occhiata confusa, andandogli comunque dietro quando entrò nel bagno degli uomini. Nessuno disse niente nel vedere Rebecca, anche perché c'erano un paio di ragazze anche lì. Alcuni se ne stavano vicino il termosifone, chini o in ginocchio a guardare qualcosa. Michele non capiva, poi vide il tipo di Rebecca afferrare il termosifone insieme a un altro paio di ragazzi. Lo spostarono con un rumore sinistro che gli fece temere di vedere tutto esplodere lì su due piedi, con le drammatiche conseguenze che ne sarebbero scaturite, ma per fortuna ciò non avvenne.

Piuttosto, quello che notò fu un buco nel muro, un buco che la mente di Michele associò alla tana del Bianconiglio, per qualche motivo. Il tipo ci infilò il braccio e, quando ne riemerse con un sorriso soddisfatto condiviso coi suoi compari che facevano partire fischi ed esclamazioni, aveva in mano una busta con delle pillole.

«Perché ho l'impressione che non siano quelle anticoncezionali?» mormorò a mezza voce. Simone non rispose ma si grattò il viso, mordendosi la guancia come a disagio.

«Se viene la Digos siamo fottuti» ridacchiò Rebecca, avvicinandosi col palmo teso. Il tipo le rivolse uno sguardo sexy e gliene diede alcune, indicando loro due con un cenno del capo.

Michele spostò il peso da un piede all'altro. Rebecca sorrideva, guardandolo dritto negli occhi.

«Pillola rossa o pillola blu?» chiese con voce bassa e soffusa, quasi mistica, le luci fredde del bagno a illuminare il palmo chiaro della sua mano e ciò che vi si trovava, il chiacchiericcio degli altri di sottofondo come un brusio caldo.

«Sono entrambe bianche, cretina» la prese in giro Simone. Rebecca si allungò prontamente a colpirlo sulla nuca con l'altra mano e quello gemette, Michele che rideva, la scena surreale infranta come vetro, sostituita da quell'atmosfera più leggera. Come se non fosse nulla di importante, quello che stava succedendo lì. Come se tutto rientrasse in un contesto comunque normale.

Ma sì, mica mi sparo l'eroina in vena mo'.

«Hai rovinato il momento! E non chiamarmi più cretina o te lo ficco in culo. Tanto lo so che a te piace».

«Ma che dici...» storse la bocca l'altro.

«Vabbè ho capito, dammi questa cosa e basta» Michele stese la mano, spazientito. Quando Rebecca gli diede la pillola, esitò solo un'istante, poi però avvertì su di sé gli sguardi degli altri.

Non voleva sembrare un cagasotto e se la lanciò in bocca celere, ingoiando subito.

Rebel RebelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora