Compagno di banco [2]

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Simone reggeva lo sguardo, il volto una maschera indecifrabile

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Simone reggeva lo sguardo, il volto una maschera indecifrabile.

«Dai, prof, la prego!» fu la protesta di Massimo il fighetto ma bastò un'occhiata fucilante per metterlo a tacere. Faceva tanto il gradasso e poi obbediva agli ordini zitto zitto, alquanto deludente quella scivolata del suo personaggio. Iniziò a raccogliere la sua roba con uno sbuffo fin troppo udibile, poi si alzò con fare incazzoso, la sedia che quasi cadeva per la foga.

Michele girò il busto nuovamente avanti e si mise in piedi, prendendo lesto lo zaino, un sorriso trattenuto a stento sulle labbra. Grazie, Dio. Ultimo banco. Finalmente una congiunzione astrale a me favorevole.

Guardò solo per un attimo Annetta la timidella, sua compagna di guerra per troppo poco. Gli sarebbe mancata. Beh, però, tra lei e l'ultimo banco non c'era storia.

Incamminò le gambe lunghe verso la meta tanto agognata, Massimo che invece faceva il percorso inverso. Michele cacciò la lingua, divertito, e il biondo lo guardò male, ma non fece niente, perché era sotto la traiettoria dell'Occhio di Mordor, ovvero della prof.

Giunse infine all'ultimo banco ed esitò, gli occhi che incontravano quelli color caffè di Simone. Lui aveva accasciato la schiena contro la sedia, scivolando un po' giù, impegnato a scrutarlo senza svelare nessuna emozione. Michele interruppe il contatto visivo, senza sapere che pensare di quello che era ora il suo nuovo compagno di banco, e posò lo zaino nero mezzo rotto sulla liscia superficie bianca, per poi mettersi seduto sul legno scomodissimo di quella sedia traballante.

La prof riprese a spiegare a raffica, del tipo che Eminem inchinati, e Michele appoggiò il mento sul palmo della mano, le palpebre pesanti per la stanchezza. Movimenti alla sua destra fecero guizzare gli occhi su Simone e lo vide col cellulare tra le mani, preso a scrollare la home di qualche social.

Michele non sapeva che pensare di lui, del resto non avevano mai condiviso una conversazione degna di questo nome. Certo, per poco non li aveva uccisi tutti, ma a parte questo? Sembrava solo un tipo standard. Uno che probabilmente sarebbe stato di poco aiuto in vista di futuri compiti in classe, il che non era un bene.

Alla fine, Michele dormicchiò così, nascondendosi dietro la testa della ragazza davanti, i rasta raccolti in un tuppo gigante che faceva esattamente al caso suo. Si svegliò al trillare traumatizzante della campanella e sussultò, giusto in tempo per vedere la prof scattare fuori dall'aula: non aveva certo tempo da perdere, quella donna.

«Benvenuto al lato oscuro!» Rebecca si girò, poggiando il gomito sul banco.

«Ah, ma tu stavi qua?» strabuzzò gli occhi Michele, che non l'aveva assolutamente notata. D'un tratto, anche la tipa coi rasta si voltò e gli comparve davanti un viso magro, labbra sottili in un sorriso sicuro e un sopracciglio alzato.

«Piacere, Amelia» e stese la mano verso di lui. Ok. Michele esitò qualche istante, poi restituì il saluto. La sua presa era fottutamente forte, che cazzo? Mosse le dita formicolanti subito dopo, costernato.

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