Slender Man in love [1]

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La suola delle Dr Martens batteva il pavimento piastrellato in un picchiettio ritmico

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La suola delle Dr Martens batteva il pavimento piastrellato in un picchiettio ritmico. Michele sbuffò, la nuca bagnata a incontrare il muro dietro di sé. Gli avevano almeno concesso di darsi una sciacquata alla faccia prima di essere catapultati in presidenza e Michele aveva cercato di far durare quel lasso temporale sotto il getto del lavandino mille anni.

Alla fine, però, aveva comunque raggiunto la meta e, dopo un quantitativo di strilli indefinibile, all'arrivo dei genitori erano stati relegati fuori ad aspettare. Le urla, da dentro l'ufficio della preside, rimbombavano nel corridoio e sperava che quanto meno la cosa si concludesse con un paio di schiaffi. La madre di Claudio, quando l'aveva vista, sembrava un centurione ben piazzato in grado di distruggere sogni e speranze a suon di ceffoni.

E adesso Michele se ne stava lì, Rebecca a un fianco e Simone all'altro, Massimo dopo di lui. Di fronte, invece, sedeva il branco neofascista a guardarli male. In mezzo, a sorvegliare la scena, il prof di Scienze, pallido come la morte e a braccia incrociate.

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Ivan gli avrebbe già dato fuoco da tre quarti d'ora e Michele iniziava a spazientirsi da cotanta dedizione nel fissarlo, del tipo che neanche sbatteva le palpebre.

Allargò le braccia con un'alzata di sopracciglia.

«La smetti?» gli fece.

«Vaffanculo» sibilò lui.

«Ragazzi» ordinò il prof «Sul serio, siete ancora a questo punto? Il discorso della preside ve lo siete già scordato, vedo. Sono davvero deluso. Ci saranno delle conseguenze per questa scazzottata.»

«Più che scazzottata lo definirei un tentativo di omicidio, ma sorvoliamo» Michele incrociò le braccia e poggiò la schiena dietro di sé con una smorfia.

La porta si spalancò e le teste di tutti girarono all'unisono per osservare chi ne fosse fuoriuscito.

Ne risultò suo padre, intento a riabbottonarsi la giacca con movimenti scattanti.

«Andiamo» ordinò e Michele si alzò, una rapida occhiata a Simone e al suo labbro spaccato prima di seguire l'uomo.

«Quindi?» sollecitò, scendendo rapido gli scalini per stargli dietro.

«Tutti sospesi» sibilò. Non avevano ancora raggiunto l'uscita, ma il pacco di Marlboro era già in una mano e l'accendino nell'altra. «A quanto pare, è questa la misura efficace contro il bullismo per quella vecchia del cazzo.»

Sospesi. Bene ma non benissimo.

Fuori, investiti dal vento autunnale, Fabio Russo si accese la sigaretta e Michele ficcò le mani in tasca, il disagio a serpeggiare nel petto come sempre nel ritrovarsi solo con lui. Avrebbe voluto essere più sfrontato e menefreghista, mostrare rabbia nei suoi confronti, ma il più delle volte se ne stava semplicemente lì, ad annegare nel distacco anaffettivo.

«Capisco di non esserci stato per te» la voce roca dell'uomo squarciò il silenzio «E che mi odi. Ma questo non significa che, ora che sei qui, ti ignorerò, o che ignorerò i tuoi problemi.»

L'attenzione volò su chi animava il marciapiede, il silenzio a frapporsi tra loro mentre la sigaretta bruciava e gli alberi spogli ondeggiavano. Michele serrò le labbra e attese, finché, infine, non si avviarono verso l'auto. Il viaggio di ritorno lo passò con la fronte incollata al finestrino umido, il mondo colorato di un grigio tenue a scorrere oltre il vetro.

Quando la porta dell'appartamento si chiuse dietro di loro, con inquietante precisione il telefono squillò e suo padre andò a rispondere in un'altra stanza.

Michele chiuse gli occhi, una stanchezza micidiale a fargli poggiare la schiena contro la porta. Sospeso. E poi cosa, un'altra bocciatura? La vita che lo aspettava sarebbe stata forse sempre così, con strade sbarrate e insulti in faccia. Prima lo avrebbe accettato, meglio sarebbe stato per la sua sanità mentale. Serrò la mascella mentre un istinto primordiale di fuga, di mandare tutti a fanculo e scappare altrove, iniziava a scavare nel petto.

«Michele.»

Per un attimo, quella voce femminile gli fece pensare di essere altrove, nella sua vecchia casa, con qualcun altro. Ma, quando aprì gli occhi, chi vide fu solo la moglie di suo padre. Se ne stava seduta al tavolo della cucina, una tazza di tè in mano e dei fogli davanti.

«Sì?» alzò un sopracciglio. E mo' che voleva, questa? Si erano scambiati massimo due parole in croce in mesi di convivenza.

Lei alzò una mano e, col dito, gli fece segno di avvicinarsi.

Michele sbatté le palpebre, perplesso, e lei mosse il capo per incitarlo a muoversi.

Oddio... ci vuole provare con me?

Sì, certo. Scosse la testa alla cazzata appena partorita e le si avvicinò, passi lunghi a percorrere il soggiorno per giungere infine in cucina.

«Guarda un po' cosa ha disegnato Lucio» alzò un angolo delle labbra e ruotò il foglio sul tavolo. Michele trattenne lo shock: era uno di quei disegni da film horror, dove il bambino si disegnava insieme a un mostro di fattezze oscure e terrificanti. Una figura tanto alta da occupare tutto il foglio, completamente nera tranne la faccia su cui spiccava un sorriso da psicopatico.

«Sei tu.»

«Ah» Michele ci mise qualche istante a digerire l'informazione «Insomma, mi vede come una specie di Slender Man. Buono a sapersi.»

Già sapeva di terrorizzarlo, ma c'era un che di offensivo in quel disegno, a essere sinceri.

«Guarda che è una cosa buona» portò il tè alle labbra con espressione soddisfatta «Ha detto alla maestra di essersi disegnato con suo fratello e sembrava felice della cosa. La maestra mi ha trattenuto per mostrarmi il disegno e chiedermi se fosse necessario l'intervento dello psicologo infantile, pensa.»

«Sì, ce ne sarebbe bisogno» afferrò il foglio per osservare meglio il suo ritratto «Come Cristo ha partorito questo abominio?»

«Non dirglielo, mostrati contento» posò la tazza e gli tolse di mano il disegno «Sembra che lui si stia affezionando a te. Gli farebbe bene avere un fratello, sai.»

Lo guardava dritto negli occhi, come a volergli comunicare qualcos'altro con quelle parole. Michele rimase spiazzato, al limite tra perplessità e disagio. Cosa voleva dire, che anche a lui avrebbe fatto bene? No, non aveva senso, a quella tipa non poteva fregare di meno di lui. Anzi, forse lo odiava pure. E quella conversazione aveva sempre meno senso ogni secondo, quindi si limitò a rivolgerle un sorriso a labbra strette, per poi dirigersi verso una ben meritata doccia.

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