Si va in scena [2]

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La prima cosa che notò fu il tristemente vuoto banco in prima fila, quello azzeccato alla cattedra

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La prima cosa che notò fu il tristemente vuoto banco in prima fila, quello azzeccato alla cattedra. E, ok, se lo aspettava, ma fu comunque un'ondata di nausea la sola realizzazione di dover passare lì i prossimi mesi a venire. Tenne gli occhi fissi sulla meta mentre il vociare rumoroso dei suoi nuovi compagni di classe diventava sempre più fioco e, alla fine, si annullava. Dio santissimo, sicuro mi stanno guardando. Non guardarli, Michele. Occhi sul banco.

Fece scivolare lo zaino giù dalla spalla e lo poggiò sulla liscia superficie bianca. A quel punto, esitò.

«Vedi che hai sbagliato classe!» fece qualcuno e Michele si voltò automaticamente verso la fonte dell'esclamazione.

Un biondino se ne stava stravaccato all'ultima fila, a fissarlo confuso e divertito. Il classico fighetto figlio di papà, proprio quello standard, realizzò Michele con una smorfia. Già lo odiava e neanche sapeva il suo nome. Aveva anche lo stormo di leccaculo intorno. Per dire, quello seduto al suo fianco era vestito identico e preciso a lui. Roba di marca, si vedeva lontano un chilometro, però del tipo sportivo e casual.

«No, sono nuovo» rispose con disinvoltura attentamente studiata. La ragazza seduta sul banco del tipo sgranò gli occhi.

«Ma che, davvero? Assurdo!» esclamò. La classe iniziò a vibrare in massa con entusiasmo, una ventina di occhi puntati fissi su di lui, e diversi si alzarono per avvicinarsi, Michele che diventava una statua perché non sapeva come reagire e si stava, oggettivamente, cagando sotto.

Qualche entità divina venne però in suo aiuto, perché in quel momento quella che doveva essere la prof, o forse una studentessa sessantenne bocciata troppe volte, entrò in aula, un registro sottobraccio.

«Dai, dai, niente casini che è il primo giorno! Tutti seduti».

Rumori di sedie che facevano attrito contro il pavimento e di passi frettolosi accompagnarono quell'ordine e Michele si unì agli altri nel prendere posto sulla sedia di legno, proprio di fronte alla prof. Dio santo, riusciva a distinguere ogni sua singola ruga. Che cosa raccapricciante, il primo banco. Poggiò le mani sulla superficie lucida, lasciando scivolare la schiena un po' verso il basso.

«Quindi, appello» iniziò a sfogliare il registro, poi si bloccò «Ah no, mo' è tutto al computer. Ma... dov'è il computer? Come si faceva per farlo uscire da qui?»

Cercò di aprire la cattedra con le dita, fallendo miseramente nel tentativo.

«Dovete mettere le chiavi, prof» esclamò la ragazza, la stessa di prima a giudicare dalla voce alle sue spalle. Michele percepiva distintamente tutti e venti gli sguardi puntati sulla sua nuca. Questa formicolava, forse sul punto di esplodere.

Alla fine, dopo una decina di minuti durante i quali la prof chiese infine aiuto dal pubblico, il quale pubblico si rivelò un ragazzo in carne con gli occhiali alzatosi per supportarla nella sua demenza senile, riuscì ad accedere al registro dal computer. L'appello procedette abbastanza lentamente e Michele rimase in attesa.

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