Capitolo Diciassette

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Mi aveva avvisato che presto avrei avuto compagnia, che non sarei stata sola e infatti dopo settimane arrivò qualcuno.

Non dormivo mai molto, stavo sempre sul chi va là e un giorno, proprio mentre ero in un sonno leggero sentii rumori. Non erano i soliti passi lenti e familiari di Narcissa. Poi un urlo mi gelò.

La porta si aprì e vidi un uomo, lo avevo già visto sulla torre di astronomia, quindi doveva essere un mangiamorte. Portava di peso una ragazza che doveva avere la mia età. La gettò a terra e sparì dietro la porta.

La ragazza piangeva a singhiozzi. Mi avvicinai lentamente, ero quasi sicura che non mi avesse vista e non volevo spaventarla.

"Hey" dissi io pianissimo. Erano settimane che non parlavo e mi spaventai di quanto fosse rauca la mia voce.

"Chi c'è?" disse lei tra i singhiozzi con voce rotta.

Finalmente la vidi bene sotto la flebile luce che entrava dalla finestrella della porta di ferro. Non era ferita, ma molto spaventata. Non l'avevo mai vista quindi non era della mia scuola probabilmente.

"Sono Alison" la voce pian piano mi si stava schiarendo.

Mi avvicinai ancor di più, ma non troppo per non intimorirla. Alzai le mani per farle capire che non ero pericolosa. Non immagino nemmeno che aspetto avessi, dopo settimane di prigionia.

"Come ti chiami?" le chiesi.

"Emily" disse. Pian piano sembrava si stesse calmando.

"Sei ferita Emily?" chiesi per accertarmi che non avesse nulla di rotto o ferite nascoste.

Lei fece no con la testa.

"Ho dell'acqua se ne hai bisogno" le dissi facendo segno indietro verso il fondo della cella. Lei guardò nel buio. Riconobbi la stessa diffidenza che ebbi io quando Narcissa mi portò da mangiare la prima volta. Per tranquillizzarla presi il bicchiere e ne bevvi un sorso, poi le porsi il bicchiere e buttò giù tutta l'acqua.

Non parlammo più quel giorno.

Più tardi Narcissa mi portò puntuale il cibo. Io la guardai e le chiesi "E a lei?"

Mi guardo stupita. Non le avevo mai parlato prima d'ora. Mi rispose "Ho avuto ordini di non portarle cibo." Si dirò e andando via guardò verso Emily, si fermò un istante, calò il capo e andò via.

Mangiai poco, meno di metà piatto, bevvi metà bicchiere d'acqua e portai il resto alla ragazza.

"Grazie" disse lei piano con voce flebile e mangiò tutto ciò che avevo lasciato per lei.

"Perché sei qui?" mi chiese dopo aver finito avvicinandosi a me.

Mi venne da sorridere. Cosa avrei dovuto rispondere Per la troppa curiosità? Per stupidità? Per amore?

"Mi sono messa nei guai, ho visto troppo e mi hanno presa." Dissi rammaricata. "Tu invece?"

"Mio padre ha sposato una donna babbana, mia madre. Sono una babbana io. Mia sorella Beth, lei è una strega, è riuscita a scappare, mia madre e mio padre sono" non terminò, ma capii.

Non dissi nulla, annuii e basta.

Passarono due giorni, parlammo ancora, mi disse che aveva la mia stessa età, sua sorella invece era più piccola. Era nella casa dei Tassorosso.

Io cercai di rimanere vaga sul mio conto, avevo paura che fuori qualcuno mi sentisse dire che mio padre fosse babbano e che anche io fossi una mezzosangue.

Una mattina un mangiamorte entrò di soprassalto. Entrambe sobbalzammo. Si diresse come una furia verso di lei.

"Allora sudicia babbana, dimmi dov'è quella sporca mezzosangue di tua sorella." disse tirandola su da terra per il collo della giacca.

Lei iniziò a piangere e fece no con la testa.

Era in piedi, spalle al muro, totalmente indifesa.

"Crucio!" urlò il mangiamorte.

Emily iniziò a contrarsi dal dolore e urlava. Le sue urla mi penetrarono in testa. Volevo fare qualcosa, dire di smetterla, gettarmi addosso a lui, prendere la bacchetta. Ma non feci assolutamente nulla. Ero paralizzata, impotente.

Le urla erano incessanti e sempre più forti e lei ormai era a terra, incapace di reggersi in piedi. Ad un certo punto interruppe l'incantesimo.

"Ora me lo vuoi dire dove si trova quella mocciosa di tua sorella?" chiese chinando si su di lei.

Fece nuovamente no con la testa.

"No? Ok, come vuoi" e con una furia peggiore di prima le lanciò un altro incantesimo, una luce azzurra la ferì in testa e poi ancora "Crucio!" e le urla ricominciarono.

Andarono avanti così per un tempo che mi parve interminabile. Mi portai le mani alle orecchie, ma non chiusi gli occhi. Guardai. Guardai ogni singola ferita che le inflisse, ogni singola smorfia di dolore, ma mai trovai il coraggio di oppormi.

"Ok ora basta." disse il mangiamorte irritato "Tu ora vieni con me."

La prese di peso, la mise sulla sua spalla e la portò via. Lei non si oppose, non ne aveva più le forze.

Emily non tornò più nella cella. Dal momento in cui la vidi sparire da quella porta in spalla a quell'uomo capii che cosa sarebbe successo, capii che non l'avrei più rivista.

Nel silenzio della mia prigione le urla di quella ragazza riecheggiavano nella mia testa. Non avevo nemmeno la forza di piangere, provavo solo vergogna per la mia vigliaccheria.

Quella sera non fu Narcissa a portarmi da mangiare.

Quando la porta si aprì lo vidi lì e d'istinto mi alzai e gli corsi in contro. Quella sera dopo settimane rividi Draco.

Scoppiai in un pianto disperato "Non ho fatto niente. Stava accadendo lì davanti ai miei occhi ed io non ho fatto niente, ero paralizzata, sono un mostro." Dissi singhiozzando.

Lui mi strinse forte, senza dire nulla.

Quando mi allontanai vidi che mi stava chiedendo perdono con lo sguardo.

"Non potevi fare niente, avrebbe solo fatto lo stesso a te e poi l'avrebbe uccisa comunque."

Calai la testa.

Lui poggiò la sua fronte sulla mia e sussurrò "Ti prometto che ti porterò fuori di qui Aly. Te lo prometto."

Andò via lasciandomi del cibo che non avrei mangiato. Avevo lo stomaco chiuso.

Non dormii per giorni. Appena chiudevo gli occhi rivivevo quegli attimi interminabili in cui Emily veniva torturata.

Lei non fu l'unica. Col passare delle settimane ce ne furono altri. Era a questo che Narcissa si riferiva, "non sarà facile".

Draco venne altre volte. Poche. Ogni volta con occhi sempre più rammaricati. Le persone che io vedevo soffrire lui le vedeva morire. Narcissa non diceva molto. Cosa avrebbe potuto dire.

Col tempo imparai che non dovevo parlare con i prigionieri, creare legami, altrimenti sarebbe stato peggio.

TAKE CAREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora