27 - Nascondere

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 Amsterdam, Paesi BassiNovembre

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Amsterdam, Paesi Bassi
Novembre

Layla

Mi appoggio al paraurti anteriore del camper e sollevo una mano, iniziando a contare.


«I fagioli in scatola, le zuppe pronte e... oh sì, le mele, tante mele. A quanto pare, gli inglesi non conoscono molta altra frutta.» Il mio volto si increspa per l'avvento di una piccola perplessità. «Tredici chili, che ne dici? Possono bastare?»

«Dipende: Ernest ci presterà il furgone?» chiede Ollie, seduto su uno pneumatico logoro sdraiato sull'erba.

Annuisco. «Ed è indispensabile, considerando che solo la famiglia Powell ha ordinato due chili di queste e uno di... Williams.»


Il mio amico smette di scrivere la lista sul foglietto che sostiene sulle gambe e mi fissa in malo modo, con una ruga che gli solca il centro delle sopracciglia aggrottate. «E come pensiamo di caricarla nel bagagliaio? Sa­rebbe un sequestro di persona.»

Sorrido. «Sto parlando di pere, stupido, non di una tennista.»

«Ah. Per un momento ho pensato che Coniglietto tifasse per il rovescio e per le gonnelline a pieghe» spiega, segnando su carta ciò a cui alludevo.


Mentre lo guardo rileggere l'elenco di parole scribacchiate, mi rendo conto di quanto poco tempo abbia tra­scorso con Ollie in questa specifica mansione. In genere, quando toccava a me fare la spesa settimanale dei beni di prima necessità per il gruppo dei circensi, Dubois mi affiancava a Lorenzo. Ci andai con lui anche quella volta. Quella maledetta volta.

A Minsk. In Bielorussia.


Mi irrigidisco e salgo velocemente la cerniera del pullover fino al mento, convinta quasi che possa camuffar­mi e farmi smettere di pensare. Una sorta di gioco del nascondino, in cui i muri degli abiti do­vrebbero aiutarmi a fuggire da quel dolore che tenta di penetrarmi nelle ossa anche oggi. Vestirsi, in questo istante, sembra inutile però. Il rancido disgusto provocato da Minsk è difficile da annientare.

Per non pregiudicarmi la mattinata, visto che ho molto da fare, cerco di concentrarmi sul presente più tangi­bile, quello che si apre davanti a me ogni volta che sfarfallo le ciglia: l'orrenda canottiera di Ollie. Ha un buco gigante tra i pettorali e ad ogni suo movimento si vedono i piercing che ha su entrambi i capezzoli, insieme ai piccoli tatuaggi di geroglifici egizi sparsi su tutto il busto. Non scherzo, ne sono un'infinità.

Sta intonando una canzonetta allegra. Non riesco a distinguerla del tutto, forse è di Rihanna, ma spero che non finisca mai. Interiormente, lo supplico addirittura di parlare di qualsiasi cosa, di dire anche una delle sue più grandi sciocchezze, pur di non farmi ricadere in quel loop. Perché, se ripensassi a Minsk e ai raccapric­cianti dettagli della notte in cui mio figlio è morto, rivivrei una giornata simile a quella dell'anniversario. E non so se ne ho le forze.

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