Hai mai smesso di amarmi?

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Vede Louis aspettarlo fuori dal locale che erano soliti frequentare da ragazzi, fa freddo e c'è un soffice strato di neve caduto sulla sua giacca di jeans e tra i capelli - "Sali" - comanda, allungandosi verso la portiera per farlo entrare: la puzza di alcool è nitida sulla sua pelle.

È così ubriaco che non riesce neanche ad afferrare la cintura di sicurezza, per questo Harry si allunga di nuovo, questa volta su di lui, sfiorandogli il viso con il braccio sinistro - "Grazie".

Ha freddo, continua a nascondere le sue mani dentro la felpa ed a mordere le labbra ormai violacee. Louis non può vedersi ma sa di aver toccato il fondo, ha sbagliato tutto durante quella giornata. Uscire con una giacca di jeans, sicuramente, è stata l'idea peggiore. Trema per il freddo eppure il tocco di Harry, il suo avergli sfiorato impercettibilmente il viso, lo rende caldo. È sempre stato la sua estate, anche negli inverni più rigidi che risiedevano dentro di lui.

"Dove ti porto?" - il tono della sua voce è fin troppo duro ed ostile, non vorrebbe rivolgersi a lui in tale modo ma non è pronto ad affrontare una situazione del genere, non dopo quella mattina.
"Casa, casa mia..."
"Aspetta, vivi ancora nella stessa casa?"
"Non tutti sono diventati degli attori e possono permettersi di cambiare casa quando vogliono".

Harry decide che è inutile rispondere a quella affermazione, nessuno dei due è abbastanza lucido da portare avanti una conversazione o dei chiarimenti. Non è così che doveva andare ed il silenzio che si diffonde tra loro è insopportabile. Vorrebbe chiedergli il motivo per il quale si è ridotto così, se quell'insane decisione è stata frutto dello scontro di quella mattina, della sua confessione ma sa che Louis non gli risponderebbe. È ubriaco, non stupido.

Il loro viaggio in macchina, è un miscuglio di sospiri e sbadigli.

Quando arrivano davanti casa, Harry sente la nostalgia trafiggergli lo stomaco: davanti a sé ha il posto in cui più si è sentito bene ma, allo stesso tempo, dove ha sentito la necessità di scappare, il più lontano possibile. L'esterno è come ricordava, nulla sembra essere cambiato dai cinque anni precedenti, è solo sparito lo scivolo di plastica che lui stesso gli aveva regalato per il terzo compleanno di Alexander.

Sa che Louis è un adulto che non ha bisogno di aiuto, l'ha ribadito forte e chiaro quella stessa mattina ma Harry esce comunque dalla macchina presa in prestito da sua sorella e va ad aprirgli la portiera, un braccio stretto introno ai fianchi, accompagna il poliziotto fino alla porta di casa - "Alex...Mamma" - mormora confuso, appoggiandosi al corpo caldo dell'altro. Non vuole muoversi da lì, sta bene così - "Ti prendi ancora cura di me, anche dopo quello che ti ho detto".

Harry sa che è ubriaco quindi cerca di non prendere troppo seriamente quello che sta cercando di dire - "Io, scusa, porta" - continua a stringere i suoi fianchi mentre lo aiuta a superare i tre gradini che lo separano dall'ingresso dell'abitazione.

Harry dovrebbe andarsene, non ha bisogno di peggiorare la situazione con i ricordi che quella casa emana, ormai ha fatto ciò che Louis si aspettava ma non ce la fa, non riesce ad andare via. Quando apre, con non poca fatica, la porta, un odore famigliare lo riporta verso qualcosa che ha perso da tempo. È sopraffatto da un senso di desiderio e di perdita.

"Entri?"

Non si era mai reso conto di quanto gli fosse mancato quel posto: Louis aveva spostato alcune cose e cambiato alcuni mobili ormai vecchi, ha aggiunto persino dei quadri ma la sensazione di essere a casa, di calore, permane tra quelle mura. Non si è mai sentito così a Los Angeles; nessun posto lo aveva mai fatto sentire così al sicuro e giusto come quando viveva lì.

Quando vede le foto di Alexander, i suoi giochi sparsi sulla moquette ed i segni sulla porta che indicano quanto è cresciuto, qualcosa dentro di lui si spezza. È questo, esattamente questo, che ha cercato negli ultimi cinque anni: le piccole cose. Vede tutto ciò che ha lasciato in quella casa ed è troppo per lui. I suoi sentimenti sono fuori controllo, il dolore gli trapassa le ossa e la realizzazione gli colpisce lo stomaco: la risposta alla sua solitudine non esisteva a Los Angeles, nella sua carriera da attore, nei soldi e nelle persone con cui si intratteneva. La cura è nel posto che ha abbandonato anni prima, in questa casa, con Louis ed Alexander.

È troppo tardi? Si chiede. È tutto irrimediabilmente danneggiato, per loro, oppure c'è una minima possibilità?

Le sue fantasie vengono interrotte dalla voce flebile di Louis che impreca contro gli stivaletti in pelle che non riesce a sfilare.
"Ti serve altro?" - domanda Harry, avvicinandosi attento al letto dove l'amico è seduto. Aveva dormito lì, sotto quella stessa coperta, ogni volta che Louis aveva avuto bisogno di lui, quando piangeva per Isaac o per non essere un genitore modello. Proprio lì lo aveva stretto e consolato, gli aveva augurato 'bei sogni' e infuso coraggio senza mai chiedere nulla di ritorno.
In quello stesso punto aveva sognato di fare l'amore con lui.

"Harry" - lo richiama, la sua voce adesso sembra più lucida - "Mi dispiace, per tutto".
"Sei ubriaco, ne parleremo domattina".
"Puoi rimanere? Per favore Harry..." - implora.

Il silenzio intorno a loro, li travolge. Tutto rimane fermo. Il modo in cui Louis pronuncia il suo nome, nell'ombra della stanza, risuona come un bisogno, un'espressione di desiderio che manda brividi lungo la sua schiena. È l'ultima cosa che dice, un appena udibile sussurro, prima di addormentarsi con i vestiti addosso, che fa battere battere il cuore di Harry - "Hai mai smesso di amarmi?"


La teoria delle braccia vuote || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora