Capitolo 4 - prima parte.
Stazione ferroviaria Bologna Centrale, 02/08/1980, ore 10.20.
Sto aspettando il treno. Direzione Roma. Era il primo treno in partenza. Ho fatto il biglietto in fretta e furia e sto aspettando nella sala d'aspetto di seconda classe. La prima regola di quando si scappa è non dare mai nell'occhio. Ed è sbagliatissimo cercare di camuffarsi in qualche modo con occhiali da sole, cappello e qualsiasi cosa ti permetta di nascondere la faccia. Questo è ciò che urla che non voglio essere riconosciuta. E questo incuriosisce le persone, che ti osserveranno, sperando magari di riconoscere una celebrità sotto gli occhiali. Infatti, io ho addosso un vestito a fiori e mi sono fatta le trecce ai capelli biondo cenere. Il vestito a fiori mi è stato dato quando mi hanno liberato. Non hanno voluto ridarmi i miei effetti personali, quindi mi hanno fornito loro un "travestimento".
Sono nervosa. So che l'Hydra sta venendo a prendermi. Non posso mostrare la mia agitazione. Mi metto ad osservare la gente attorno. Ci sono turisti di altre nazionalità, studenti, famiglie, bambini, uomini d'affari o uomini e donne non facilmente identificabili. Seduti accanto a me, noto una coppia di anziani, di all'incirca settant'anni. Si tengono per mano. Lei poggia la testa sulla spalla di lui e lui fa altrettanto sulla testa di lei. Nelle loro mani intrecciate vedo le fedi, un po' rovinate dal tempo. Probabilmente sono sposati da una vita. "L'amore... è questo?" Con loro hanno una valigia, su cui hanno momentaneamente poggiato un cappello di paglia da uomo sopra un giornale.
- So che dovrei farmi gli affari miei, ma siete una bellissima coppia - dico. Penso che se parlo con qualcuno, la mia invisibilità raddoppierà.
- Grazie cara - risponde la donna. Mi sorridono entrambi.
- Posso chiedervi dove andate di bello?
- Da nostra figlia a Faenza. Ha appena avuto un bambino - risponde sempre la donna.
- Sì, ecco, andiamo a conoscere il nostro nipotino - dice l'uomo, prende il giornale da sotto il cappello e inizia a leggerlo. Si tengono per mano.
- Dev'essere bellissimo vivere un momento del genere - commento.
- Sì, è bellissimo, cara. Dopo tutto quello che ha passato la nostra piccola Sofia col marito precedente... se la merita un po' di felicità.
- Sofia è il nome di vostra figlia?
- Sì, cara. In greco antico significa...
- Sapienza.
- Lo sapevi?
- Sì, signora. Ho studiato il greco antico a... scuola.
- Il burlone di mio marito mi convinse che significasse "la più voluta" e sembrava un nome perfetto, perché l'abbiamo cercata tanto. Io purtroppo non riuscivo a rimanere incinta. Poi è arrivata Sofia ed era proprio "la più voluta." Sai, io sono una contadinotta, a scuola ci sono andata poco e ho sempre lavorato nei campi con i miei genitori, sono una persona semplice. Mio marito invece si è addirittura laureato in lettere e come potevo non credere a quello che mi diceva?
- Sei un credulona - commenta il marito, senza alzare gli occhi dal giornale.
- E tu sei un bugiardo - risponde la moglie.
- Mi piace molto il nome Sofia - commento.
- È proprio un bel nome. Col senno di poi, sono contenta che lo abbiamo scelto. Per me è sempre stata la più voluta. È sempre stata il mio grande amore. Sai, è figlia unica. Da bambina ha avuto diversi problemi di salute e questo ci ha fatto stare molto molto insieme. L'amiamo più di noi stessi. Le siamo stati molto accanto anche dopo il divorzio. Era un uomo aggressivo, povera piccola. Ora sembra felice con la sua nuova famiglia.
- Sembrate dei genitori molto amorevoli.
- E i tuoi genitori come sono?
- I miei genitori ?
- Sì, cara, la tua famiglia. Stai andando a casa a trovarli?
Non faccio in tempo ad aprire la bocca e a risponderle che un botto ci interrompe, le mura e il tetto della sala d'aspetto ci cascano addosso. Sono sepolta sotto un cumulo di macerie. Riesco a togliermi di dosso quanto basta per vedere cosa fosse successo. Mi gira la testa, respiro dalla bocca e male perché probabilmente mi si è rotto il naso, ho perso momentaneamente l'udito e la cognizione dello spazio. Una nuvola di cenere e polvere si alza dalle macerie e un grande silenzio mi circonda. La nuvola è talmente densa che sembra di essere in piena notte e non di mattina. Sento qualcosa che mi bagna la fronte, tocco e vedo del sangue sulla mano. Sono stordita, ma comunque riesco a capire una cosa che non avrei voluto capire: la coppietta di nonni felici è rimasta schiacciata. Sotto qualche mattone, riesco a intravedere il cappello di paglia. Mi butto nel punto in cui credo i due siano sepolti, scosto qualche mattone e scopro le mani di lei e di lui, con la fede al dito, ancora insieme, strette. Cerco il polso per sentire se ci fosse battito, ma in quel momento una mano metallica mi afferra da dietro il collo e mi solleva. "Mi hanno trovato." Vengo scaraventata a due metri di distanza. Grido dal dolore per l'atterraggio sulle macerie, poi lentamente mi giro, sapendo già cosa mi aspettasse. È il Soldato d'Inverno. Ha un fucile in mano e me lo sta tenendo puntato contro. Leggo nei suoi occhi azzurri contornati di trucco nero l'odio che prova e la volontà di concludere la sua missione. Sento l'ardore che prova allo sfiorare il grilletto del fucile. Mi fissa per un tempo che sembra lunghissimo, specialmente quando hai un'arma puntata contro e che potrebbe porre fine alla tua vita da un momento all'altro. Io sono seduta, con le mani alzate e incapace di difendermi o fare altro se non stare al servizio della sua volontà. Non posso attaccarlo, lui è più forte di me. Potrebbe uccidermi in mezzo secondo. Ma non lo fa. Si gira e se ne va.
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Il Soldato d'Inverno mi sta osservando, seduto al tavolo cinque. È lui, non potrei non riconoscerlo. I suoi occhi sono quelli. E non ho alcun dubbio: è qui per me.
- Elena... - cerco di fermarla prima che vada via -... forse dovrei andare a cada. Sai, le costole non si sono del tutto aggiustate e non dovrei fare sforzi.
- Oh, certo, broccoletta. Prendi l'ordinazione del signore al tavolo 5 e poi puoi pure tornare a casetta. Forse...- facendo il segno dei soldi con la mano. Gesto imparato in Italia. -Quel signore sembra arrabbiato col mondo. Guarda che faccia che ha. Ha bisogno un po' del tuo buonumore.
Se ne va. Non ho altra scelta. "Prendi un grosso respiro e continua con Sofia. Ormai ti ha vista, ormai sa dove sei. Cerca di capire cosa vuole." Mi avvicino, estraggo taccuino e penna dal grembiule. Entro in scena.
- Buonasera, signore, benvenuto da Mamma Mia!, ristorante che può sembrare riferirsi alla nota espressione italiana che comunica stupore, proveniente dalla mia terra, l'Italia, ma in realtà si riferisce alla celebre canzone del gruppo svedese "Abba". Come può ben dedurre dalle decorazioni, però, serviamo cucina italiana e non svedese. La tovaglia a quadri sul tavolo, il fiasco di vino della casa sul tavolo e le bandierine appese sui muri attorno a lei non mentono. Come posso aiutarla?
Cerco di tenere la disinvoltura tipica di Sofia, nonostante sia io che lui sappiamo che è tutto una finta.
- Ciao.- Pausa. Continua a fissarmi per qualche secondo. Poi prende il menù e gli dà una sfogliata. - Prenderò gli spaghetti alla bolognese.- Mi si gela il sangue. Mi fissa. Sembra quasi che non sbatta neanche le palpebre. Io evito quello sguardo per paura che si renda conto di una cosa che sa già, cioè che sono proprio io.
- Ottima scelta, Signore. Da bere? Continua col vino della casa?
- Sì. Grazie.
- Perfetto. Vado a portare il suo ordine in cucina allora.
Con un mezzo sorriso, mi allontano il più possibile da lui, vado a dare l'ordine in cucina e scappo nello spogliatoio, dove raccolgo le mie cose per andarmene subito. Comincio a crearmi scenari di morte simulata per Sofia, per tutte le mie altre identità e penso a dove andare ora che mi ha trovato. Sicuramente, Sofia dovrà morire per mano del fidanzato immaginario.
- Fiorellino, quando ci sei tu si vede. Guadagniamo molto di più!- entra Elena e mi abbraccia, interrompendo i miei pensieri. - Sono contenta di riaverti nella truppa.
- Sì, anch'io sono contenta di essere tornata. Mi ci voleva. Solo che magari sono tornata troppo presto e il mio fisico non ha retto, è meglio se torno a casa. Sono fragile in questo periodo.
- No no no, non voglio sentire un'altra parola, chiacchierina mia. Tu devi fare quello che il tuo corpo ti dice, scimmietta. È che non mi va di pensarti da sola in quella casa, in cui tutto ti ricorda quel gran figlio di buona donna. Sei una scimmietta così speciale. Non voglio che tu perda questa luce che hai, lampadina mia. Come posso aiutarti, cavoletta?
- Sei gentilissima, Elena, apprezzo il pensiero. Ma credo che una bella dormita possa essere l'ideale.
Elena si siede sull'unica panchina dello spogliatoio e mi fa segno di sedermi accanto a lei. Eseguo.
- Sai, quando non ti sei presentata a lavoro per due settimane di fila ero arrabbiatissima con te, paperina. Ero convinta di volerti licenziare. Ma poi quando mi hai chiamato e mi hai raccontato tutto, carotina, mi sono sentita in colpa. Eh sì, farfallina. Ti ho giudicato ingiustamente. Ti ho dato della cattivona, quando in realtà eri in sofferenza. Mi puoi perdonare, raggio di sole?
- Ma certo che ti perdono, Elena. Non potevi saperlo.
- È che...- scoppia a piangere -...io ci tengo a te, passerina. Sei una gioia per tutti qui dentro, pistolina mia. Ti vogliamo tutti tanto bene. Grazie per essere qui a rendere questo ristorante una casa, palloncina mia.
Detto questo mi abbraccia e piange, piange con tutte le lacrime che aveva in corpo. Piange per due minuti, cinque, dieci, venti, mezzora, un'ora, sfogandosi della sua vita e chiamandomi in altri mille modi assurdi. Io non me ne vado, continuo ad ascoltarla piangere. E lei piange fino a che Hal, un cameriere, ci interrompe, dicendo che anche l'ultimo cliente era andato via e che il locale andava chiuso. Non sono andata via. Forse dovevo farlo. Perché è più facile scappare se sai dov'è la persona o la cosa da cui scappi. Ho pensato che restando là con Elena, non avrebbe potuto farmi niente. Non era mascherato, era lì come se stesso. Non gli sarebbe convenuto uccidermi davanti a tutti.
- Grazie, patatino- dice lei, asciugandosi le lacrime e il trucco colato con il suo fazzoletto di stoffa immancabile.
- Non è rimasto più nessuno, Hal?- chiedo.
- Sì, non è rimasto nessuno. Solo un cliente, il tizio del tavolo cinque. Sta aspettando fuori dal locale. Ha detto che voleva ringraziarti per il tuo servizio e lasciarti una mancia.
- Ma è bellissimo, raviolina mia! Mance su mance oggi! E magari anche clienti affezionati nuovi ! Dov'è il signore adesso, Hal?- chiede Elena.
- Proprio qui fuori. Ti sta aspettando con la mancia. Che poi l'ho servito io a quello lì, ma come sempre le mance le fanno solo alle donne.
- Smettila, gelosino, lo sai che Sofia conquista tutti col suo fascino esotico!
- Sarà.
Hal esce dallo spogliatoio e io capisco di dovermene andare il prima possibile. Dal retro, per non essere vista.
- Andiamo, fagiolina, raccogliamo le tue medaglie.
Elena mi afferra la mano e mi trascina verso l'ingresso. Durante il tragitto, afferro senza essere vista due coltelli da bistecca dai tavoli già apparecchiati per il giorno dopo. Li nascondo nelle tasche dei pantaloni.
- Mi sono dimenticata una cosa nello spogliatoio, Elena. Arrivo subito.
- Fa' presto, patatina.
Torno nello spogliatoio. Esco dal retro.------
Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo! L'ho diviso in due parti perché sennò sarebbe stato troppo lungo, quindi più tardi oggi uscirà la seconda parte.
Keep in touch! A presto!
EggWoman1
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Il Nulla prima del Tutto. || Bucky Barnes
FanfictionPrimo capitolo della trilogia del "Tutto". "Perché non mi hai ucciso? Quella volta in Italia. Perché sei andato via? Ero lì, davanti a te, sola. So che morivi dalla voglia di farlo. Sentivo il tuo ardore verso quel grilletto del fucile che tenevi in...