ESM345.

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Una luce forte mi acceca la vista. Mi copro il volto con le mani al forte impatto, per poi toglierle mano mano che mi abituo a quella intensità luminosa. Sono sul tetto di un grattacielo, probabilmente il più alto della città, perché attorno non ne vedo altri, ma solo nuvole. Abbasso lo sguardo e capisco di essere sul ciglio del palazzo, dell'abisso, talmente profondo che non riesco a intravedere il fondo oltre le nuvole. Il primo impulso che sento è quello di saltare sotto, verso la morte, verso il nulla, verso l'eliminazione della mia esistenza. Sento proprio un'attrazione, un desiderio profondo verso quell'abisso. Mi chiama e ogni fibra del mio corpo vuole rispondere. Delle lacrime mi rigano la faccia, ma non sono lacrime di dolore, ma gioia nel sentire di avere una speranza certamente realizzabile. Solo un passo. Nel momento in cui alzo un piede verso il vuoto, una voce di uomo mi trattiene.
-Maria- mi chiama. Mi giro e lo vedo. Ha i capelli neri lunghi fino il collo, gli occhi azzurri che saltano fuori dal trucco nero che li circonda, quasi fossero due lividi. Indossa una maschera nera a coprire il naso, la bocca e il collo. Divisa nera, attillata con un sacco di armi attaccate, dalle pistole ai coltelli. Dalla divisa spunta il braccio sinistro, metallico, con una stella rossa sulla spalla. Lo riconosco immediatamente. Il suo sguardo serio mi buca l'anima, però mi dà una sensazione calda allo stomaco e di leggerezza. Ancora fremo all'idea di cadere all'indietro verso un destino scelto, ora sono incuriosita. So benissimo cosa ci fa lì. So benissimo cosa vuole. Vuole la mia morte, non sapendo che è la cosa che bramo di più anch'io. Non capisco cosa stia aspettando.
-Maria- mi chiama una voce di donna. Dietro di lui, compare questa donna perfetta, di mezz'età. I capelli biondi raccolti in uno chignon perfetto, dal quale non spunta neanche un capello fuori posto. Gonna blu lunga appena sopra il ginocchio, la camicia di seta bianca e la giacca blu, tutto perfettamente stirato. Le perle al collo e agli orecchi. Perfettamente truccata. Gli occhiali da vista leggerissimi e quasi invisibili. I tacchi blu. Ha le braccia incrociate e sul volto uno sguardo di disapprovazione.
Quella vista è così insopportabile che mi lascio andare e cado all'indietro, mi butto dal palazzo. Nel momento in cui mi schianto a terra, mi sveglio.
-Buongiorno, ESF173 - dice una voce di donna. È la solita donna anziana col camice bianco. A svegliarmi non è lei con la sua voce, ma un ago che mi buca il petto. Un liquido blu mi viene iniettato direttamente al cuore. Sono attaccata alla parete. Nessun filo, nessuna catena, nessun laccio che mi tenga attaccata. Solo una forte e pressante attrazione che il mio corpo ha al muro. La stanza è illuminata da una lampadina che pende dal soffitto. Ho freddo. Addosso ho un camice bagnato. Non so se si sangue, acqua o sudore. Nel naso ho odore di terra bagnata. In bocca invece ho la sensazione di secco, ma non ho sete. Sento urla di uomo di dolore in lontananza.
-Puoi dirmi chi sei? - chiede la dottoressa, eseguendo sul mio corpo una serie di test e iniezioni. Prima che possa rispondere, mi buca la gola con una siringa e mi inietta qualche sostanza che sento come se improvvisamente mi permettesse di emettere suono. Prima mi era impossibile.
-ESF173.
-Questo è il tuo identificativo. Ma chi sei tu?
-Una persona.
-Quasi. Sei un essere umano. Le persone sono un'altra cosa. È più giusto definirti "arma umana". È un buon segno, però, che tu ti senta una persona. Significa che riesci a percepire la tua esistenza e che non sei quindi ridotta a istinti e pulsioni come prima. Dopotutto non sei una macchina e questa è una cosa con cui dobbiamo fare i conti. Non potevamo continuare a tenere la tua coscienza di te stessa fuori gioco. Devi capire quello che sei e qual è il tuo scopo. Quindi riproviamo. Chi sei?
-Un'arma umana, ESF173.
-Molto bene. Per chi operi?
-Per l'Hydra.
-Esattamente.
Estrae una penna dal taschino e si annota alcune cose sulla cartellina blu che tiene in mano. Poi alza lo sguardo e con l'anulare si aggiusta gli occhiali che le sono scesi sul naso.
In quel momento, si apre la porta davanti a me. Entra un uomo vestito di nero col passamontagna nero. Sento urla di uomo di dolore in lontananza. Porta in vassoio con sopra una ciotola di acciaio e un cucchiaio. Lo poggia sul pavimento ed esce, lasciando la porta aperta. Continuano le urla di uomo di dolore. La donna afferra un telecomandino nero dalla tasca del camice e preme l'unico bottone presente. Improvvisamente il mio corpo si stacca dal muro e atterro in terra perfettamente.
-Equilibrio e riflessi perfetti.
Annota ancora qualcosa nella sua cartellina. Poi alza di nuovo lo sguardo verso di me, si aggiusta gli occhiali con l'anulare elegantemente.
-Quella è la tua colazione - dice indicando il vassoio sul pavimento. - Mangia. Dopo penseremo a darti una pulita.
Detto questo, se ne va e chiude la porta. Sento ancora le urla di uomo di dolore in lontananza. Prendo la ciotola di acciaio e il cucchiaio. Dentro vedo una poltiglia bianca inodore. Lo assaggio. È dolce, dalla consistenza strana. Fibrosa, poltigliosa e liquida. Mangio tutto quanto in piedi. Poi ripongo la ciotola sul vassoio e aspetto in piedi. Poco dopo la porta si riapre e entrano due uomini vestiti di nero col passamontagna nero. Urla di uomo di dolore in lontananza. Uno di loro ha dei vestiti grigi in mano e l'altro ha in braccio un idrante che puntualmente mi punta contro e apre il violento getto dell'acqua, che però non riesce a spostarmi neanche di un centimetro. Dopo avermi lavato, l'altro uomo vestito di nero col passamontagna nero mi lancia contro i vestiti grigi.
- Togliti il camice e vestiti con questi - dice.
Eseguo e mi levo il camice zuppo e mi metto la divisa grigia. Poi mi prendono e mi portano fuori dalla stanza, attraversando questo corridoio lunghissimo e bianchissimo con tante porte bianche anch'esse. Sopra, nessuna scritta, nessun numero. Solo il colore bianco. Le urla di uomo di dolore diventano sempre più forti, per poi ridiventare più deboli. Arriviamo in fondo, davanti a uno specchio. L'uomo vestito di nero col passamontagna nero appoggia la mano su di esso e una voce dice:
-Accesso consentito.
Lo specchio si scopre essere una porta. Si rivela così una sala completamente bianca e vuota. Una parete della stanza è di vetro e separa questa stanza con una specie di osservatorio con dei sedili, bianchi. Seduti ci sono delle persone con camici bianchi, tra cui riconosco la donna anziana col camice bianco di prima. I dottori parlano tra di loro e mi osservano. Qualcuno prende un appunto su una cartellina blu, altri scattano foto. Tra di loro, al centro, anche un uomo anziano vestito di blu cobalto. Gli uomini col passamontagna escono da sala e si chiudono la porta dietro di loro. Attraverso la stanza e arrivo davanti al vetro, per osservare meglio chi mi sta osservando. L'uomo vestito di blu si alza dal suo posto e va verso la parte, premendo un pulsante.
-Buongiorno, ESF173 - dice attraverso l'interfono. - Ti ricordi di me?
-No.
-Sono Jon. Ci siamo conosciuti qualche giorno fa - dice. Ha una mano dietro la schiena. -Come ti senti oggi?
Annuisco.
-Bene. Oggi vediamo di lavorare un po', ti va? Hai dimostrato di avere ottimi riflessi e prontezza di attacco - dice, alzano la mano fasciata di bianco in cui si vedono qualche goccioline rosse scuro di sangue seccato. - Però devi imparare a distinguere soggetti da colpire e soggetti da difendere. Vogliamo evitare un altra situazione spiacevole.
Ecco che si apre la porta della stanza, dietro di me e entra un bambino di 4, 5 anni con una benda bianca sugli occhi accompagnato da un uomo vestito di nero col passamontagna nero. Il bambino ha una divisa bianca. L'uomo chiude la porta e rimane nella stanza.
-Questo è ESM345. È un soggetto innocuo. È molto dolce.
Si avvicina a me l'uomo col passamontagna e mi porge una pistola bianca. La prendo.
-Ora... - continua Jon - ... hai una pistola in mano. È carica, perciò fai attenzione. Con quella dovrai eseguire un ordine. Perciò è un oggetto molto importante, lo devi rispettare. È un'estensione della tua persona. E tu sei una nostra proprietà, perciò dovrai eseguire qualsiasi ordine ti darò. Qualsiasi. È chiaro?
Annuisco.
-Bene. Ora mettiamo che io ti ordini di sparare a ESM345, nonostante sia totalmente innocuo, tu dovrai farlo. Perché te l'ho detto io. Perché io sono il tuo padrone e devi rendere conto a me e me soltanto. Cerchiamo di evitare scherzi come quelli dell'altra volta, va bene? Altrimenti saremo costretti ad abbatterti. E sinceramente non voglio farlo. Sarebbe uno spreco. Ma non solo, io credo anche nelle tue potenzialità.
Oltre il vetro, l'uomo vestito di blu stacca la mano dal pulsante, si avvicina a me, mi guarda dritto negli occhi, fa un grosso respiro e poi va sedersi al centro della platea. Afferra un microfono da sotto la sedia, da qualche colpetto e questi risuonano all'interno della stanza bianca.
-ESF173, dimmi... - dice Jon - ... chi è in questa situazione, tra te e ESM345, il soggetto più pericoloso.
-ESF173.
-E perché?
-Ho una pistola in mano.
-Ovviamente. Quindi se io ti ordinassi di colpire ESF173, cosa faresti? D'altronde è il soggetto più pericoloso, no? È per il bene comune, per salvare vite innocenti.
Mi punto la pistola alla fronte e faccio fuoco. Ma non succede nulla.
-Esattamente! Contrariamente a quanto ti ho detto prima, quella pistola non era carica. Ma avevo bisogno di sapere se avresti fatto davvero qualunque cosa ti chiedessi. E poi hai capito il punto! Noi non siamo cattivi! Noi eliminiamo i cattivi! Per mettere ordine nel mondo, che al momento è tanto sporco.
Jon fa un cenno all'uomo col passamontagna che si era messo da parte. Questo viene da me, mi toglie la pistola dalle mani. Prende un proiettile dalla tasca, estrae il caricatore dalla pistola e ci mette il proiettile. Carica così la pistola e la consegna al bambino. Il bambino la afferra.
-Ora, ESF173, chi è il soggetto più pericoloso?
-Il bambino.
-No, ESF173. Lui è ESM345. Non commettere l'errore di pensare che sia un bambino. Lui è il pericolo. E va fermato. Uccidilo. Te lo ordino.
Non mi muovo. Non posso ucciderlo. Non posso fare neanche un passo verso di lui. Qualcosa dentro, nel petto, come una pugnalata, mi blocca. Non posso eseguire l'ordine.
-Fallo, ESF173. Non vorrai tornare all'elettroshock.
Non mi muovo.
-Vuoi deludermi?
-No.
-Invece lo stai facendo. Uccidere se stessi alla fine non richiede un grande coraggio. Ma uccidere l'innocenza è più difficile. Fallo.
Non mi muovo. Jon sospira. Fa un cenno e si apre la porta. Urla di uomo di dolore in lontananza. Entrano altri due uomini col passamontagna e insieme a quello che era già presente nella stanza, mi afferrano e mi trascinano lungo il corridoio bianco fino a una stanza con la porta aperta. È la stanza dell'elettroshock. Urla di uomo di dolore in lontananza. Mi buttano sul lettino, mi legano con delle cinghie e mi mettono il morso in bocca. Mi danno le scosse. Urlo. Svengo.

Il Nulla prima del Tutto. || Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora