Va bene. Fallo.

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Faccio sempre lo stesso sogno...
... Nel momento in cui mi schianto a terra, mi sveglio.

Mi sveglio nella mia stanza. Sono tutta sudata. Le lenzuola, il cuscino e il camice sono completamente bagnati. Mi alzo, mi tolgo il camice e mi metto sotto il telefono della doccia. Accendo il getto d'acqua bollente e lascio che la pioggia mi accarezzi la pelle.
La porta si apre. Urla di uomo di dolore, che ora so appartenere a SDI1, soggetto con un braccio metallico incontrato qualche tempo fa nella stanza bianca, quando era ricoperto di sangue. Entra la dottoressa con il dottore dai capelli brizzolati, con il solito carrello con sopra siringhe, liquidi e monitor.
-Buongiorno, ESF173- mi dice la donna anziana.
Spengo il getto dell'acuqa e mi giro verso di lei. La guardo per qualche secondo, poi vado a prendere un asciugamano nella dispensa. Me lo metto attorno alle spalle. Le porgo il braccio destro e lei mi inietta il solito liquido blu. Il dottore dai capelli brizzolati mi misura la pressione, il battito cardiaco, la saturazione, mi controlla i polmoni e i riflessi delle pupille. Nella stanza entra il "nutritore" con il passamontagna nero con un vassoio con su un cucchiaio e una ciotola d'acciaio con la solita poltiglia bianca.
-Parametri ottimali, al solito- commenta il dottore dai capelli brizzolati, andando ad annotare qualcosa sulla solita cartellina blu.
-Fai colazione e preparati. Oggi è un grande giorno - dice la dottoressa.
Escono dalla stanza. Urla di uomo di dolore. Prendo una divisa grigia dalla dispensa e mi vesto. Mangio la solita poltiglia e mi siedo sul letto. Guardo davanti a me e aspetto mi vengano a prendere. Sento le grida di uomo provenire da qualche stanza più in là. Sento anche dei colpi, come se fossero corpi che cadono in terra o che colpiscono la parete. Le grida sono sempre presenti. Poi sento il rumore di scariche elettriche. E all'improvviso silenzio. Poi sento rumore di tacchi nel corridoio avvicinarsi alla mia stanza. La porta si apre. Entra la dottoressa. Mi lancia un passamontagna nero.
-Indossalo e vieni con me.
Eseguo. È la prima volta che mi viene a prendere lei e non un uomo col passamontagna nero. La seguo e attraversiamo il corridoio verso lo specchio laggiù in fondo. Lei poggia la mano al centro dello specchio.
-Accesso consentito.
Entriamo nella sala bianca. E' spoglia. Non c'è il tavolo, non ci sono sedie, come le altre volte. Sulle pareti attaccati coltelli bianchi di ogni tipo e forma, pistole bianche di ogni tipo e forma e altre armi bianche, mai prima di adesso viste o usate durante le altre sedute. L'osservatorio, al solito, gremito di osservatori, tra cui noto anche Jon, in prima fila, l'ultima poltrona a sinistra.
-ESF173 - chiama Jon dall'interfono. -Oggi eseguiremo l'ultimo test. Sei diventata molto forte e abbiamo bisogno di quantificare questa forza. Mi segui?
Annuisco.
-Per questo abbiamo selezionato un avversario che dai test crediamo possa essere più forte di te. Tu devi dimostrarci che abbiamo torto. Hai capito?
-Lo batterò.
-E' questo lo spirito giusto! Ma se dovessi perdere lo scontro... beh, sappi che non ne saremmo felici. Dovremmo correggerti e cominciare da capo. E noi non vogliamo questo. E tu?
-No.
-Bene, possiamo cominciare. Ricorda, io punto tutto su di te. Sei importante per me, questo lo sai.
Leva la mano dall'interfono e annuisce alla dottoressa, dietro di me.
-Buona fortuna, ESF173- dice la donna e si gira, andando verso la porta. A metà strada si ferma e sussurra:- Sono orgogliosa di te - per poi riprendere il percorso e uscire definitivamente dalla stanza. Con la porta ancora aperta, ecco che fanno il loro ingresso tre uomini col passamontagna, con in braccio un fucile per uno, che spingono un uomo con una divisa bianca, non grigia come la mia e col viso coperto anche lui col passamontagna. Mi è impossibile vedergli la faccia e la stessa cosa vale per lui, dato che anche io ho il viso coperto col passamontagna. La divisa lo copre dalle caviglie ai polsi, alle mani ha dei guanti di pelle nera. E' incatenato al collo, alle caviglie e alle braccia. Gli uomini cominciano a togliergli le catene, a liberarlo. Non gli levano il passamontagna. Poi escono e ci chiudono dentro. Rimaniamo in piedi, uno di fronte all'altra, aspettando che qualcuno faccia una mossa per primo.
-Iniziate - dice Jon.
Non si muove. Non dice niente. Decido di fare la prima mossa: gli dò un calcio nello stomaco e lui mi immobilizza la gamba, mi dà uno strattone e mi butta in terra, cascando di schiena. Con l'altra gamba riesco a dargli un calcio in viso. Fa qualche passo indietro, per attutire il colpo. Io mi alzo in piedi con una spinta di braccia e spalle. Nel frattempo va verso una parete e prende un coltello. Me lo lancia contro la faccia, ma riesco ad afferrarlo al volo e a lanciarlo contro di lui, ma lui afferra la lama con la mano sinistra. Non esce neanche una goccia di sangue, probabilmente perché indossa i guanti. Mi fiondo addosso a lui, legandogli le mie gambe alla sua vita e comincio a dargli pugni, ma lui mi afferra il collo con la mano sinistra, mi stacca dal suo corpo e mi tiene per la gola in aria, stringendo. Non sento dolore, ma mi diventa difficile respirare. Con i piedi provo a dargli dei calci, in faccia, nel petto, ma lui non si muove. Mi scaraventa alla parete contro i coltelli bianchi, che cascano sul pavimento con me. Alcuni mi si conficcato nella carne e uno in particolare mi si conficca nel retro del ginocchio sinistro. Non sento dolore, così lo afferro e lo butto via. Ecco che esce il sangue, passando attraverso la divisa verso il pavimento bianco. Tento di premermi la ferita con le mani, ma lui mi si mette sopra e mi strangola di nuovo. Il respirare diventa sempre più complicato. Dal passamontagna riesco a intravedergli gli occhi. Azzurri, profondi. Mi guarda negli occhi anche lui. Qualcosa cambia in lui perché piano piano allenta la presa. Mi afferra il passamontagna e me lo sfila. Appena mi vede il volto scoperto, si alza e si allontana da me. Io tossisco e cerco di riprendere fiato. Mi trascino verso la parete delle pistole, ne afferro una e nel momento in cui mi giro per puntargliela addosso, lo vedo in viso per la prima volta. Si è tolto il passamontagna. E' lui. SDI1. L'uomo a cui appartengono le grida che sento in continuazione dalla stanza. E' l'uomo ricoperto di sangue con appunto il braccio metallico che ho incontrato qualche tempo fa. Ha delle lacrime che gli rigano la faccia.
-Maria - dice, esattamente come l'uomo nel sogno che faccio tutte le notti. È lui l'uomo che sogno ogni notte. Ha gli stessi occhi azzurri. Al rendermi conto di questa cosa, per la prima volta, rimango pietrificata. Non gli tolgo la pistola di dosso e non mi alzo dal pavimento, anche perché non potrei a causa della ferita al ginocchio.
-Chi è Maria? - chiedo.
ESF173, fallo fuori subito- ordina Jon dall'interfono.
Una certa esitazione mi blocca. Sono curiosa, voglio capire. Continuo a tenergli la pistola puntata, anche se non premo il grilletto.
-Va bene. Fallo - dice il mio avversario.
-Premi quel grilletto, ESF173- ordina Jon.
-Mi dispiace. Ti ho riconosciuta solo quando ti ho visto gli occhi attraverso il passamontagna. Pensavo di averti persa - dice SDI1.
-Ma fammi il piacere! - dice Jon, facendo un cenno verso un uomo col passamontagna nero nell'osservatorio. Questo esce dalla stanza e rientra con altri due uomini col passamontagna nella stanza bianca, con in braccio un fucile per uno. Si avvicinano al mio avversario e gli puntano i fucili addosso. Io non voglio che lo uccidano ora, davanti ai miei occhi. Sento della paura per lui nascere piano piano dentro di me. Sento di volerlo in vita, di volerlo con me, ma non riesco a capire perché stia sentendo tutto questo Perché lo sogno tutte le notti? Chi è lui? Chi è lui per me? Improvvisamente e violentemente, la paura che sento si trasforma in rabbia, furia, determinazione. Così sparo agli uomini col passamontagna, uno dopo l'altro e questi cadono a terra. Il loro sangue rossissimo schizza e imbratta le armi e le pareti su cui sono attaccate. Il sangue scorre anche sul pavimento. Poi punto la pistola al vetro e sparo verso Jon, che sta premendo il pulsante di un telecomando rosso che in mano. Il vetro, però, si scheggia e basta, non riesco a colpirlo, non riesco a colpire nessuno. L'avversario afferra un fucile da uno dei cadavere e spara anche lui verso il vetro, ma i proiettili rimangono incastrati sulla superficie, senza oltrepassarla. I dottori aldilà scappano, Jon rimane fermo, immobile. Mi fissa. Non so perché, ma lo voglio vedere morto. Un allarme comincia a suonare. Preme di nuovo il pulsante sul telecomando rosso che ha in mano e io cado a terra in preda alle convulsioni. Una scossa mi attraversa tutto il corpo e mi immobilizza. Sento la mia pelle bruciare, quasi andare a fuoco, quasi staccarsi dalle ossa e le ossa polverizzarsi. È simile all'elettroshock. Solo che stavolta non svengo.
-Maria! - grida SDI1. Fa per venire verso di me, ma in quel momento entrano altri uomini armati e lui riesce ad uccidere tutti quanti, con degli spari, strozzadoli o con i coltelli che sono sul pavimento imbrattati di sangue. La stanza bianca si riempie di rosso. Il sangue che scorre sul pavimento mi bagna. La divisa bianca dell'avversario è ora diventata rossa.
-Puoi continuare ad uccidere i miei uomini, soldato... - dice Jon atttaverso l'interfono- ...ma la ragazza morirà lo stesso. Sta bruciando dall'interno. Sarà una morte lenta e dolorosa. E tutto questo per colpa tua. Siamo riusciti a ipnotizzarti, a farti fare di tutto, a cancellarti e modificarti la memoria nel corso della tua storia. Ma il tuo cuore ormai troppo nobile non poteva dimenticare una puttana. Eccola lì, la tua nobiltà. Sta morendo con lei. Se solo non fossi stato così egoista e l'avessi semplicemente dimenticata. Sembra un'arma, ma è una puttana.
Con un calcio, l'avversario riesce a mandare la parete di vetro in frantumi. Va verso Jon e con la mano metallica gli stritola il collo. In pochi secondi, Jon cade a terra, morto. SDI1 viene verso di me, comincia a cercare qualcosa controllando la mia pelle, strappando anche la divisa. Trova così una luce lampeggiante rossa, nel punto in cui mi avevano messo il "localizzatore". Afferra dal pavimento un coltello insanguinato e, affrontando e scavando con la lama, riesce ad estrarmelo. Strappa un pezzo della divisa e mi fascia la ferita.
-Tieni premuto - mi dice, afferrandomi l'altro braccio e mettendolo sopra il taglio. Poi fa un'altra fasciatura al ginocchio. Dopo prende alcuni coltelli, alcune pistole e infila tutto nelle varie tasche della divisa. Mi tolgo il passamontagna dalla testa.
-Ce la fai ad alzarti? - mi chiede.
-No.
Prede due fucili dagli uomini morti e me li porge. Poi mi prende in braccio.
-Andiamo - dice.

Il Nulla prima del Tutto. || Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora