Capitolo 7

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I giorni a Chicago passavano, e gli alunni del St. Andrew nemmeno se ne accorgevano. A scuola era sempre la solita routine, tra campanelle, corsi privati e compiti. Ma non era quella la cosa peggiore, la cosa peggiore erano tutte quelle terribili distinzioni che Ashton è il suo gruppo si ostinavano a imporre a tutta la scuola, perfino ai professori. Era diventato come un incubo per Luke, e ora che passava molto più tempo con Calum, capiva come potesse sentirsi il moro ogni volta che gli facevano cadere i libri o ogni volta che lo insultavano.

Luke era sempre con i gomiti appoggiati al banco sgretolato, ascoltando una noiosissima lezione di italiano. L'argomento però, quel giorno per quasi il 50% della classe era interessante. L'insegnante spiegava animatamente come ci si sente a non avere nulla, ma a desiderare il tutto. Luke non aveva la minima voglia di ascoltare quell'argomento, ma non appena senti la convocazione dell'amica di Ashton da parte della professoressa, cominciò ad interessarsi.

"Quindi tu, Martins, pensi che avendo tutto non desideri più nulla?" Domandò la professoressa, accigliandosi. La ragazza mora annuì, assecondando l'argomento.

"È ovvio, quando si ha tutto nella vita si naviga in acque già passate, create nel corso della nostra vita." Citò sontuosamente la ragazza. La professoressa si sedette a malo modo sulla sedia in legno, sospirando profondamente. Luke strinse le mani in due pugni, battendone uno sul banco di legno, mentre con l'altro stringeva fortissimo la penna nera. Gli dava parecchio fastidio l'atteggiamento della mora.

"Quindi per te contano solo le cose materiali." Sbuffò Luke. "Hai mai pensato ai sentimenti? A ciò che le persone provano?" La ragazza scosse la testa, assecondando anche il biondo sedicenne.

"Non conta ciò che le persone provano." Disse la mora inarcando le labbra e formando un sorriso quasi malvagio. "Vedi, le persone sono tutto il contrario di ciò che provano. Una persona ha l'anima buona, ti giri e quella persona ti sta voltando le spalle dimostrandosi la più cattiva di tutte. Questo fanno le persone." Si lasciò andare sullo schienale della sua sedia in legno, sbuffando animatamente. "Certe volte mi chiedo come tu possa ancora rivolgermi la parola, sfigato." Luke si alzò in piedi, andando dalla mora per guardarla meglio negli occhi.

"Senti un po', non so chi tu sia per dirmi queste cose, non so chi tu sia per constatare che tipo di persona sono dopo nemmeno un mese che sono qua in questa fottuta scuola. Ma ti dirò una cosa, smettila. Mi stai altamente seccando." La mora gli rise in faccia.

"Bla bla bla." Lo derise, alzandosi una volta suonata la campanella. Uscirono tutti dall'aula, ma quando stettero per uscire Luke e la mora, la professoressa li richiamò indietro.

"Hemmings, Martins. Tornate indietro, ora." Disse in tono autoritario. Luke abbassò la testa, mormorò qualcosa alla mora e si presentò davanti alla cattedra della professoressa.

"Ci dica, signora Johnson." Mormorò Luke, con quell'aria da pieno di sè. Non faceva parte del suo ego, ma voleva essere un'altra persona per reggere in quel manicomio.

"Voi due non andate proprio d'accordo." Luke scosse la testa definitivamente, negando ciò che aveva appena detto la professoressa. La mora incrociò le braccia al petto, e nei suoi occhi si poteva leggere il senso di colpa per come trattava Luke. Ma lui non voleva illusioni, ne era stufo. "Voglio trovare un modo per farvi andare d'accordo. Voglio che facciate una ricerca, okay?" Luke sbiancò improvvisamente in volto, non voleva assolutamente obbedire, nemmeno se i piani della professoressa fossero stati altri. Stava cominciando ad odiare la mora accanto a sé, è il pensiero che la gente in un modo o nell'altro lo costringesse sempre a starle accanto lo accecava di rabbia. Se fossero andati avanti così Luke non avrebbe retto, la sua pazienza non lo avrebbe retto. Perché Luke era stato abituato a sopportare le cose orrende per troppo tempo. Stare in quel college con l'intenzione di sentirsi libero per poi vedere che veniva ugualmente giudicato come un prigioniero era opprimente, una situazione che non si addiceva affatto alle aspettative del biondo. Luke sbuffò, lisciandosi i pantaloni sulle gambe magre e perfettamente toniche.

"Non ci penso nemmeno, signora Johnson. Voglio dire, cosa ci guadagnerei?" Domandò Luke esterrefatto, portandosi una mano nei capelli e tirandoseli leggermente indietro. Guardò la ragazza accanto a lui con aria schifata, non voleva assolutamente stare a sentire gli ordini della sua insegnante, ed era sicuro che nemmeno lei volesse quello.

"Martins, puoi aspettarci un attimo nel corridoio?" Domandò l'insegnante, infilandosi una matita in mezzo ai capelli per poterli raccogliere. I folti capelli biondi non le stavano affatto apposto, e nemmeno la matita sapeva alleggerire la cosa. La signora Johnson sbuffò, lanciando la matita sua cattedra con arroganza assoluta. La mora annuì distrattamente, raccogliendo lo zaino da terra, allontanandosi dall'aula e appoggiandosi allo stipite della porta fuori nel corridoio. Luke sospirò, sistemandosi la felpa. Luke non sapeva cosa dire, non sapeva cosa la docente gli avrebbe detto, non poteva che aspettarsi il peggio in quella scuola. Non voleva più fidarsi di nessuno da quando Ashton l'aveva nominato uno dei tanti marchiati che c'erano li. Era semplicemente stufo di stare in quella scuola, tutto sembrava distruggerlo giorno dopo giorno, ma evidentemente l'unico ad accorgersene era lui stesso. Per questo Luke non aveva molto amici. Era convinto che l'unica persona in grado di capirlo era sé stesso.

"Hemmings, senti.. Non verrò a farti la predica ma.." La signora Johnson alzò lo sguardo in aria, prendendo un respiro profondo.

"Sarah." Disse una voce pacata che riecheggiò nella stanza. La figura slanciata che stava entrando nella stanza venne subito riconosciuta dal biondo, era la stessa professoressa che aveva incontrato per prima il suo giorno di scuola. I capelli rossi questa volta non erano più raccolti in una coda di cavallo, ma le cadevano sinuosamente lungo le spalle. La donna fece un cenno riverente a Luke e, incrociando le braccia al petto, si mise accanto a lui. I tacchi emisero un tonfo quando bloccò il passo. Luke sobbalzò per quanto azzardato fosse il suo cammino in quel momento.

"Emily." La bionda seduta alla cattedra, sorpresa, sbatté le palpebre una decina di volte. Appoggiò i gomiti sulla superficie di legno, emettendo un leggero gridolino spaventoso. "Come mai questa visita? Non dovresti essere a lezione?" Domandò poi, cercando di togliersi dalla traiettoria del suo guardo, che sembrava stesse incendiando ogni cosa guardasse. La rossa scosse la testa, sorridendo malvagiamente.

"Sono esattamente sette minuti che è suonata la campanella della ricreazione, Sarah. Devo comprarti un orologio." Rise leggermente. "Devo parlare con Hemmings." Concluse. L'insegnante di italiano annuì sconfitta e salutò con un cenno il biondo, che senti finalmente di essere scappato dai terribili piani per far nascere un rapporto tra lui e la mora. Non sapeva nemmeno il suo nome, e il che era strano , perché voleva saperlo e al contempo non voleva sapere niente. La voleva conoscere ed evitarla contemporaneamente. E per Luke, questo miscuglio di emozioni, non andava decisamente bene. Per quanto i sentimenti del ragazzo stessero cambiando nel giro di un mese, lui non era affatto sorpreso: era convinto che il peggio doveva ancora venire, e non si aspettava più del previsto. Se stava cambiando così tanto solo con una distinzione, figuriamoci dentro un rapporto con altre persone del college. Quella vita lo stava distruggendo, e questo sentimento di autodistruzione che stava provando lui non poteva essere mandato via, non poteva essere negato da lui stesso, era insopprimibile.

Luke, accanto all'insegnante dai capelli rossi, passò a due centimetri di distanza dalla ragazza mora, che se ne stava accovacciata a terra con le mani appoggiate alle ginocchia. Si era stupito di non vederla con il solito sorrisetto spavaldo, ma fidarsi era bene, non fidarsi era meglio. Specialmente se si era uno dei tanti alunni del St. Andrew. Continuava a camminare, fino a che la donna accanto a lui non lo condusse dentro un'aula completamente vuota.

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