Capitolo 21

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Luke Hemmings.

L'abitudine che avevo costruito passando le serate completamente solo con la mia pesciolina Lizzie mi faceva sentire strano accanto a Calum. Condividevo una stanza con lui, e avrei dovuto farlo per altri sei giorni. Non avevo mai parlato così tanto durante una giornata, avere compagnia non era poi così male, nonostante mi facesse sentire leggermente a disagio con me stesso. 

Erano all'incirca le otto, ed eravamo seduti allo stesso tavolo, godendoci quel poco che ci era rimasto nel piatto. Da ben venti minuti, Calum si stava lamentando della scarsa bontà della nostra pietanza, ma dato che non ci sarebbe stato nient'altro da mangiare, si accontentò. O perlomeno, cercò di accontentarsi. 

Vidi Jennifer continuare a girarsi verso il nostro tavolo - verso di me - come se dovesse parlarmi di tutto e niente allo stesso momento. Il suo comportamento mi inquietava, ma decisamente meno di quanto potesse spaventarmi in un ambiente tetro, losco e misterioso come il St. Andrew. 

Ashton, dal suo canto, continuava indisturbato a seguirla, nella speranza che lei lo considerasse almeno un secondo. Dal giorno in cui ci eravamo baciati l'ultima volta, lei non passava più così tanto tempo con lui, e niente avrebbe potuto colmare la minaccia di cui i suoi sguardi erano carichi. 

Grace, purtroppo, non era potuta venire. Sin dal primo giorno di scuola, il senso di colpa per come l'avevo trattata mi opprimeva più di qualsiasi altra cosa. Avrei tanto voluto chiederle scusa, ma non ne avevo la forza. Ogni volta in cui cercavo di avvicinarmi a lei e chiederle perdono, pensavo a lei e alla sua malattia, al suo sorriso così spento, all'affetto che Michael provava per lei, al perché lui odiasse così tanto Ashton. 

C'erano così tante domande prive di risposte nella mia mente, e la cosa più brutta era che non esisteva il modo di trovarle. Forse perché semplicemente non esistevano. Il tutto era orribile, faceva sentire male anche me. In fin dei conti, io sopportavo il male da quando i miei nonni mi avevano abbandonato. Ero una persona forte, avrei solamente dovuto continuare a sopportare. 

"Credo di non aver mai mangiato verdure così disgustose." Disse Calum, sputando l'ennesimo pezzetto di carota nel piatto senza farsi vedere. Era da ormai più di mezz'ora che me lo stava facendo notare. 

"Non credo che vorrai passare la notte continuando a ribadirmi quant'erano schifose queste verdure, vero Calum?" Dissi retoricamente, sorseggiando quel poco di acqua rimasta nel bicchiere. Lui mi guardò perplesso, poi scosse la testa deciso. 

"No, è solo che qui mi annoio così tanto. Vorrei poter avere qualcosa da fare la sera, invece di chiudermi in camera a rileggere lo stesso libro che leggo ormai da mesi." Appoggiò la testa sul tavolo, giocherellando con le briciole di pane.

"Ho sentito la professoressa Silver parlare con gli altri di un ottimo locale qua nei paraggi, sai, dovremmo andarci, per dimenticare la solita routine quotidiana." Suggerì Michael, e da quel momento cominciai a riflettere. 

Con il novantanove percento delle probabilità noi marchiati non potevamo uscire, ma Michael era neutro, lui poteva farlo. Noi no. Era una delle cose che non sopportavo: essere definito un marchiato senza saperne realmente il motivo.

"Non se ne parla neanche." Affermai convinto, e tutti e due mi guardarono straniti. "Oh, andiamo. Credete davvero che permettano a dei marchiati di uscire di sera? So cosa vuol dire avere delle ordinanze restrittive, e so che la maggior parte delle cose che vorresti fare nella vita ti è proibita senza neanche uno scrupolo." 

Detestavo prendermela con le uniche due persone che mi stavano realmente vicine, ma dovevo anche fare in modo che vedessero il mondo con realismo, cosa che loro non facevano apparentemente mai. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 23, 2016 ⏰

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