Capitolo 7

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Ciao a tutti voi che mi leggete. 
Non sono solita fare premesse perché preferisco lasciarvi immergere nel racconto, ma quest'oggi più che mai mi sono sentita di doverlo fare.
Questo capitolo mi ha portato via un sacco di tempo. Ho avuto serie difficoltà nello 
scrivere, anche considerando il periodo politicamente buio che stiamo passando, il quale non mi è indifferente.
Spero di riuscire a trasmettervi qualcosa oltre che a rendere un minimo di giustizia alla situazione nei quali si ritrovano i due protagonisti. 
Come sempre le critiche costruttive ed i consigli sono ben accetti. Buona lettura! 



18 Dicembre, Ufficio del Presidente del Consiglio, Palazzo Chigi.


Era la terza lezione di Lucia al figlio di Conte. Il padre di quest'ultimo sembrava molto soddisfatto di come riuscisse a rapportarsi con Niccolò e lei aveva notato che spesso si distraeva dal suo lavoro per seguire i suoi insegnamenti.
Nella lezione precedente, per esempio, lui l'aveva ascoltata recitare a memoria "L'infinito" di Leopardi, colpito da ogni cadenza, ogni suono che dalle sue labbra fuoriusciva in maniera tanto armoniosa. 
La spiegazione che ne seguì non fu da meno. Lucia era guidata dalla passione e si calava in ogni sillaba della profonda ed immensa poesia. Talvolta Giuseppe si domandava se non l'avesse scritta lei stessa. Sapeva immergercisi dentro quasi ne fosse l'autrice. 
Tanto coinvolgimento, tanta partecipazione emotiva non la vedeva da anni, ed ogni volta rimaneva sempre più incantato dalla donna, scosso e stimolato dai suoi modi tanto trascinanti. Era quasi com'essere all'interno di un mondo surreale, dove quel "paesaggio metafisico leopardiano" si presentava dipinto di fronte ai suoi occhi, e tutti i suoi sensi ne erano parte integrante. Dal colle solitario, alla siepe che disturbava la vista; dal vento che accarezzava la sua pelle e stormiva tra le fronde delle piante, al silenzio infinito di cui lei ne era voce narrante e commossa.
E così il pensier del Presidente sprofondò in quell'immensità e il naufragar gli fu dolce in quel mare.

Ma c'era qualcosa che rabbuiava la giovane Ministra, ed anche in quell'ultima lezione prima delle vacanze di Natale, a Giuseppe non sfuggì. Temeva di aver detto o fatto qualcosa che l'avesse ferita perché era quasi certo che quel che la rendeva tanto inquieta e chiusa non erano fatti personali o di lavoro, bensì lui stesso.
Il modo in cui sviava il suo sguardo, la rigidità del suo viso e la velocità con cui cercava di fuggire alla fine di ogni incontro, lo portarono alla suddetta conclusione. Doveva essersi comportato sgarbatamente o aver detto qualche parola che l'aveva turbata e che probabilmente lui, distrattamente, non aveva notato.
 
Anche quel giorno, quando entrò nel suo ufficio, Lucia non mostrò il solito entusiasmo di sempre. Certo, non mancarono educazione e rispetto, ma dietro a quella maschera di compostezza e serietà si nascondeva qualcosa che lui non riusciva a spiegarsi. 
Forse era causa di Niccolò? Aveva agito in malo modo e lui, involontariamente, aveva tralasciato qualche brutta sfumatura comportamentale? In fin dei conti già alla fine della prima lezione Lucia era sembrata essere sul punto di volergli confessare quel che con difficoltà si teneva dentro. Inchiodata all'ingresso, aveva esitato più del normale prima di salutarlo ed andarsene, senza rivelargli quel che in realtà bruciava dalla voglia di esser comunicato. Tutto ciò provocava a Giuseppe un certo disagio.
Era tanto felice per il figlio, il quale stava ottenendo ottimi risultati grazie alle lezioni, ma equivalentemente era disturbato e angustiato dall'atteggiamento insolito della collega. C'avrebbero perso entrambi, sia lui che Niccolò, se lei non avesse più voluto continuare ad aiutarlo a colmare le sue lacune scolastiche ma non per questo poteva tenersi il dubbio di farla sentire legata ad un compito che a lei provocava dispiacere o poca soddisfazione.
Esattamente per evitare fraintendimenti ulteriori, decise che quel giorno le avrebbe parlato.
Attese le 16.15, quando conclusero la lezione, per coglierne l'occasione. 
Valentina avrebbe portato Niccolò alla partita di calcio della squadra giovanile in cui giocava, per questo - grazie anche alla disponibilità di Lucia - erano riusciti a spostare le ripetizioni ad un orario più consono per tutti. 
La madre del ragazzo lo attendeva fuori dall'ufficio ed il giovane corse subito verso la porta una volta riposto libri, quaderni e penne nello zaino.

"Non mi saluti?"

Lo fermò la voce di Giuseppe, che ricevette in cambio un "Ciao papà" molto sfuggevole.
In effetti erano piuttosto in ritardo, l'incontro avrebbe avuto inizio di lì a poco.

"Buona partita, fammi sapere come va, ok?!" 

Prima di lasciarlo andare però, uscì e si posizionò davanti alla porta per salutare la sua ex moglie.
Valentina, seppur consapevole del ritardo, non mancò nemmeno quel giorno di chiedergli l'andamento delle ripetizioni del figlio. Teneva molto alla sua istruzione e, da genitore, si faceva sempre carico di tutte le informazioni possibili.

"Com'è andata?"

"Mammaaa! Dobbiamo andare, è tardi!"

Niccolò era già in fondo al corridoio, pronto per scendere le scale e lasciare Palazzo Chigi, spinto dall'entusiasmo sportivo e dalla voglia di prender puntualmente parte al suo incontro calcistico.
In quel momento Lucia varcò la soglia con la borsa a tracolla che conteneva i suoi dispositivi digitali, ed il Presidente, notandola, si premunì di fermarla.

"Lucia, puoi aspettare un attimo? Vorrei parlarti."

Lei annuì anche se - stranamente - l'idea non la infervorava più di tanto. E le si leggeva chiaramente in faccia.

"Ti chiamo stasera, ne parliamo per telefono."

Concluse Valentina mentre s'incamminava di fretta e furia dietro al figlio che insistentemente protestava. Salutò in modo sbrigativo anche Lucia, non mancando di ringraziarla per il grande aiuto che dava al ragazzo, e si dileguò lasciandoli da soli.
Giuseppe, sotto agli occhi fintamente distratti della sua segretaria, si rivolse alla ministra Azzolina che ancora attendeva sulla soglia.

"Scusami. Spero tu abbia qualche minuto di tempo."

"Giusto qualche minuto, ho del lavoro da portare avanti."

Lui le fece segno di accomodarsi all'interno e chiuse la porta dietro di sé una volta lei fu rientrata. 
Lucia si avvicinò alla scrivania ma restò in piedi quasi per garantire a sé stessa che la sosta imprevista fosse breve. Lo stesso fece il premier, permettendosi di avvicinarsi per osservarla in viso e studiarne meglio le reazioni.

"Lucia, mi disturba chiedertelo ma...c'è qualcosa che non va?"

Il volto della donna non mancò di stupore e così Conte entrò più nello specifico per chiarirle meglio la situazione. Forse era una sciocchezza, ma preferì essere sincero con lei ed espletarle eventuali dubbi nell'immediato piuttosto che avere in un futuro il rimpianto di non averlo fatto prima.

"E' da un po' che sembra tu voglia dirmi qualcosa ma sei trattenuta da non so quale motivo. Se ti ho recato fastidio o suscitato in te vergogna o afflizione, preferirei tu fossi trasparente e me lo dicessi."

Ancora la ministra non parlò. Volle prendersi qualche secondo per pensare bene come dosare le parole: il magone che portava nel petto non era semplice da buttar fuori.
Non si aspettava lui se ne sarebbe accorto. O per meglio dire, sperava di essere stata tanto brava da aver nascosto le sue emozioni. Ed invece così non doveva esser stato.

"La pazienza è amara, ma dolce è il suo frutto." - Conte/AzzolinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora