Quegli occhi. Scuri, profondi, vivaci, così simili ai miei. I lineamenti del viso marcati, la mascella pronunciata, il naso perfettamente dritto. I capelli corvini, tenuti corti e ordinati, a differenza dei miei che ormai hanno una vita propria. La pelle abbronzata, ancora più della mia perché abituata al sole della Malesia e non al tempo instabile di Seoul. Spalle larghe di chi non può lasciarsi sopraffare dal peso delle responsabilità. Fisico slanciato, alto, atletico, proprio come il mio. E poi il sorriso commosso di chi rivede il proprio fratello dopo otto anni.
Jarvis. Mio fratello.
Sentire la sua voce al telefono è stato come un pugnale a riaprire delle ferite che pensavo sanate. Tre semplici parole nella mia lingua madre: "Sono a Seoul." Il passato che viene a chiedermi il conto. Mio fratello che è venuto a cercarmi. Non lo credevo possibile, non dopo quello che è successo otto anni fa. Non dopo che me ne sono andato voltandogli le spalle, voltando le spalle alla mia famiglia, alla mia carriera, al mio nome. Eppure Jarvis è qui. Senza preavviso, sbucato dal nulla dopo tutto questo tempo. Ritrovarmelo davanti è come una doccia gelata. Ma non per lui.
"Yarihe..."
I suoi occhi brillano mentre annulla la distanza che ci separa e mi abbraccia. Un abbraccio caldo, benevolo, fraterno. E lentamente la coperta di ghiaccio che mi ero costruito si sgretola in mille pezzi. Mi è mancato. La sua voce, il suo sguardo, il suo essere sempre dalla mia parte, la sua diplomazia, la sua fragilità. Mille domande mi frullano per la testa, una prima di tutte, ma mi costringo ad aspettare. Voglio godermi questo abbraccio il più a lungo possibile, prima di risollevare il polverone del passato. Passato vuol dire guai. Malesia vuol dire guai. Non ero pronto per affrontarli ma è giunto il momento di smetterla di nascondermi.
"Vieni... Ti offro una birra..."
Una proposta così normale, come se fossimo ancora due diciottenni alla scoperta del mondo, in preda alle prime sbronze. Si stacca da me e annuisce, indicandomi il pub di fronte al suo hotel, come se conoscesse la zona da una vita. Mio fratello è così. Ha la capacità di adattarsi a tutte le situazioni in tempo zero. Ci sediamo uno di fronte all'altro, squadrandoci, cercando quei piccoli dettagli che diano prova del tempo che è passato. Una piccola ruga, un capello bianco, una macchia scura sotto gli occhi. Niente di tutto ciò. Jarvis è bellissimo, proprio come lo ricordavo. Solo più adulto.
"Non pensavo ti piacessero i capelli lunghi, Yarihe... Ti stanno bene..."
Una semplice constatazione, come se avessi appena deciso di farmeli crescere. Come se non fossero otto anni che li porto così. Una cosa insignificante che pesa come un macigno: non sa niente di me e io non so niente di lui. Bevo un sorso di birra, buttando giù anche i complessi, i rimorsi, i sensi di colpa.
"Ti prego, non chiamarmi così. Yarihe è morto otto anni fa, in Malesia. Sono Yari. Solo Yari."
Una risposta secca, lo so, ma necessaria. Non posso sopportare di sentirmi chiamare in quel modo. Quel nome non mi appartiene, non più.
"Capisco. Cercherò di ricordarmelo."
La sua diplomazia che mette tutti d'accordo. È sempre stato lui quello razionale, posato, riflessivo. Io ero quello impulsivo, precipitoso, istintivo. Io ero quello che faceva le cazzate, lui era quello che mi copriva. Lui era quello delle mille paranoie, io quello che lo costringeva a buttarsi. Forse è per questo che non potevamo fare a meno l'uno dell'altro.
"Ho deciso di farmeli crescere appena arrivato in Corea e ormai non posso più farne a meno. Tagliarli sarebbe come perdere un pezzo. Come se mi amputassero un braccio..." Lo sguardo di mio fratello è attento, come se non volesse perdere nemmeno una parola che esce dalla mia bocca. Esattamente come quando il professore di economia chiudeva un bilancio e si girava per interrogare: Jarvis era sempre il primo ad alzare la mano. "Non sei cambiato per niente Jarvis." Mi sorride, captando al volo il ricordo che ha scaturito la mia frase. "Anche tu non sei cambiato, Yari. Hai solo un altro nome, i capelli più lunghi e lo sguardo più vissuto..."
STAI LEGGENDO
A Dancer Called Yari [Paing Takhon x BTS 🖤 Completa!]
FanfictionNon è facile vivere a Seoul se sei un ragazzo malese che ha mollato tutto per inseguire un sogno. Non è facile vivere a Seoul se sei costretto a nascondere la tua omosessualità per colpa dei pregiudizi. Non è facile vivere a Seoul se sei innamorato...