9. Coco

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Non ero mai stata a "Le Siepi" di Cervia e sinceramente non vedevo l'ora di visitare in prima persona quello che era considerato uno dei templi dell'equitazione in Italia. So che Sofia ci era andata molte volte per dei concorsi, e anche Paola e suo padre prima di lei avevano preso parte in prima persona a delle competizioni. Tra i numerosi trofei esposti nella nostra club house, molti riportavano lo stemma di Cervia, così come le foto appese lungo la parete di legno, alcune ormai sbiadite dal tempo, arrivando ormai a riempirla quasi completamente.

Per questo rimango un po' smarrita nel momento in cui superiamo il cancello del circolo e continuiamo ad avanzare spedite lungo la strada alberata e dritta che conduce verso il paese.

«Ma non siamo arrivate?» chiedo io, indicando il cartello con il nome del maneggio.

«Non siamo dirette a "Le Siepi"» spiega Paola, gli occhi puntati sulla strada. «Il posto dove tengono il cavallo è un centro fuori città.»

«Ah.»

Sinceramente, un po' mi dispiace, ma sono sicura che ci saranno altre occasioni per tornare lì, specie se dovrò accompagnare Sofia in concorso.

Il viaggio prosegue tranquillo, al disotto di un cielo grigio e basso che promette pioggia da un momento all'altro, senza però convincersi a lacrimare sulla terra piatta e ghiacciata.

Superiamo il centro abitato e ci inoltriamo nella macchia mediterranea ricoperta di pinete. Non dobbiamo essere molto lontane dal mare: si capisce dalla vegetazione, così diversa da quella che ricopre le pendici delle montagne che circondano Bologna, e di tanto in tanto incontriamo un campeggio chiuso, i tetti dei bungalow che sbucano timidamente al di là delle recinzioni metalliche.

Raggiungiamo il maneggio dopo circa venti minuti. Sulle prime, stento quasi a credere che si tratti di una scuderia. Si trova alla fine di una stretta stradina sterrata, e subito due grossi meticci accorrono a salutarci abbaiando. La struttura sorge su un piccolo terreno ed è occupata da un grosso fienile privo di intonaco, con i mattoni a vista lungo le pareti sbrecciate. I cavalli sono un po' ovunque, ammassati nei paddock fangosi circondati dal filo elettrificato oppure in box affacciati verso l'esterno, bloccati da porte metalliche che ricordano quelle che si usano per le mucche. Mi sporgo verso il finestrino, cercando di sondare meglio l'aspetto di quelle creature che sollevano distrattamente il muso al nostro passaggio. Sono cavalli e pony di ogni razza e dimensione, le coperte chiazzate di fango dopo essersi rotolati. Molti hanno criniere e code incolte, il pelo lungo e arruffato.

«Non farci troppo caso, Pino è un commerciante» interviene Sofia, quasi intuendo le mie perplessità. «La gestione lascia un po' a desiderare, ma ti posso assicurare che qui si fanno ottimi affari.»

«Mi fido.»

In realtà, più fisso gli occhi opachi di quelle creature, più mi viene voglia di fuggire via. Dio, in che razza di posto sono finita? Solo una volta mi era capitato di visitare un luogo simile, quando io e il nonno stavamo cercando un nuovo pony per la scuola. Mi aveva chiesto di accompagnarlo, visto che aveva bisogno di un cavaliere leggero per provarlo, e io avevo acconsentito. Aveva letto l'annuncio su Internet e gli era sembrato un ottimo affare.

Eravamo arrivati al maneggio in un pomeriggio d'estate, tra l'afa e la polvere, e ci eravamo trovati di fronte a uno spettacolo molto simile a quello che sto vivendo ora. Un casale disperso nella campagna e circondato da recinti improvvisati, in cui erano ammassati cavalli e pony di ogni razza, età e dimensione. Ricordo che il nonno non aveva detto niente, ma dall'espressione gelida dei suoi occhi avevo intuito tutto: era a disagio quanto me.

«Nonno, dov'è il campo?» avevo chiesto nel momento in cui il nonno aveva fermato la macchina di fronte al fienile.

«Dubito che lo abbiano. Sono commercianti, il loro interesse è vendere cavalli, non dare lezioni» aveva spiegato lui.

Come il ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora