6. È complicato

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Ho sempre avuto l'impressione che il primo giorno dell'anno fosse sempre grigio e piatto, sospeso in una calma fredda destinata a dipanarsi con il rincorrersi delle ore. Tutto appare fermo e cristallizzato, come se il mondo sia in attesa di ciò che avverrà nei prossimi mesi.

Perlomeno, oggi sembra rispondere pienamente a questa descrizione. La giornata si è svolta con una calma piatta e snervante, resa ancora più tesa dal congedo con i miei genitori, ancora più rapido e formale dell'ultima volta. Ma, soprattutto, silenzioso. È questo a farmi più male, durante il tragitto che mi porta da casa alla stazione, una sorta di orrendo vuoto fatto solo di pause imbarazzate e frasi di circostanza. Come se, alla fine, tra noi non ci fosse più nulla da dire. Io ho scelto la mia strada, e loro sono rimasti bloccati nella loro.

In questi quasi trent'anni di vita, so di avergli dato numerose delusioni. In quanto figlia unica, avevano grandi aspettative su di me e io, egoista, non ne ho soddisfatta nemmeno una. Non sono mai stata una studentessa brillante, tolti gli ultimi anni di università, e non ho mai posseduto chissà quale talento al di fuori di qualunque cosa mi riportasse tra le mura di un maneggio. Qualcosa di talmente assurdo e distante che trasformarlo in un lavoro è apparso fin da subito una follia suicida.

Il nonno era così. Ha trascorso un'intera vita insieme ai cavalli, e il prezzo che ha dovuto pagare è stato altissimo. Sapevo che aveva svariate placche di titanio in giro per il corpo a seguito di numerose cadute, e più di una volta si era ritrovato in seri problemi dal punto di vista economico, attirandosi addosso le ire dell'intera famiglia. E poi c'era lo stile di vita in sé, duro e pieno di imprevisti, di stress, di ansie per un allievo infortunato o le condizioni di salute di un determinato cavallo. I cavalli andavano accuditi tutti i giorni, che fosse Natale, Pasqua o l'anniversario del tuo matrimonio. E magari proprio quel giorno potevi trovarti a dover gestire una colica, o le mansioni di un dipendente in ferie. Vivere tra i cavalli significava essere perennemente affaticati, sporchi e, spesso, doloranti. Il nonno trascorreva intere giornate in scuderia, e spesso non si sapeva a che ora sarebbe rincasato. Molte volte, lui e la nonna litigavano di brutto per questo motivo. Mia madre ricordava con rammarico di quanto suo padre fosse stato assente negli anni più delicati della sua vita, magari perché si trovava a un concorso internazionale, o doveva assistere alla nascita di qualche puledro. Lei e la nonna sono cresciute come due donne sole, tutto per colpa di quei maledetti cavalli. Che, tra le altre cose, per poco non lo hanno ammazzato un paio di volte.

Ma, se proprio devo ricordare il nonno, l'immagine più vivida che mi ritorna nella memoria è proprio il suo sorriso. In tutti questi anni, non ricordo di averlo mai visto davvero triste. Quella vita tanto dura era per lui il suo ossigeno. Stare lontano dalla scuderia lo avrebbe inevitabilmente ucciso. E così è stato, quando le forze hanno deciso di abbandonarlo definitivamente. Era come se avesse capito che il suo compito, lì, era finito.

Quel sorriso è stato in qualche modo la mia vita. Mi ha insegnato ad amare la fame e il freddo, a dare un significato al duro lavoro e ai sacrifici che spesso bisognava affrontare per raggiungere un obiettivo concreto. Mi ha dato una disciplina che nessuno, nemmeno il più rigido dei miei insegnanti a scuola, era riuscito a inculcarmi. Avevo preso ad apprezzare le mie mani sporche di terra, la mia pelle bruciata dal sole durante l'estate. Erano segni tangibili che ciò che stavo facendo mi stava portando in qualche modo nella direzione giusta.

Un sorriso che ai miei genitori faceva paura, soprattutto a mia madre, perché in qualche modo ricordava loro che la vera eredità di nonno Rudy si trovava ancora in circolazione, e non sarebbe stato facile estirparla.

Lo avevano capito nel momento in cui avevo deciso di partire per sempre, di costruirmi altrove ciò che sapevo non sarei stata in grado di coltivare restando lì, nella mia terra morta. E a quel punto si erano arresi, anche se dentro di loro sapevano che non mi avrebbero mai perdonata.

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