Come abbiamo fatto io e Sofia a diventare amiche?
A pensarci ora, mi domando che cosa ai tempi mi avesse impedito di fiutare sin da subito la pesante aura di tossicità che aleggiava intorno alla sua persona; ma la verità è che ai tempi entrambe avevamo un disperato bisogno di qualcuno con cui parlare, di cui fidarci, una persona amica che capisse la sconfinata quantità di casini in cui ci eravamo cacciate e che ci desse i giusti consigli per uscirne.
È stato proprio Federico a farci conoscere, perché ridendo e scherzando era finito in mezzo al fuoco incrociato dei nostri rispettivi dilemmi equestri e non aveva la minima idea di come aiutarci.
In quel periodo, nel soleggiato autunno di quasi tre anni fa, sia io che Sofia avevamo deciso di smettere di cavalcare. Lo ammetto, non è la prima volta che l'idea di appendere gli stivali al chiodo mi sfiora pericolosamente. Nel corso della mia incasinatissima carriera equestre, gli alti e bassi sono stati davvero tanti, ma solo un episodio – prova di Coco a parte – era stato talmente orribile da spingermi a riflettere seriamente su che cosa stessi facendo in mezzo a quei poveri animali.
Era stato quando avevo abbandonato il ranch del nonno dopo mesi di vessazioni, e allora ero veramente decisa a chiudere la parentesi equestre per sempre. Mi ero convinta che non facesse per me, che ero solo una folle Don Chisciotte che si ostinava ad accanirsi contro un gigantesco mulino a vento, pur sapendo che le mie flebili illusioni fatte semplicemente di un amore reverenziale verso quelle splendide creature non potevano pressoché nulla, e per qualche giorno è stato così.
Mi ricordo che diedi via tutto: casco, stivali, pantaloni, paraschiena, giacca da concorso. Li lasciai in una busta della Decathlon fuori dal cancello della casa dei miei zii, e non volli sapere nulla di che cosa ne avrebbero fatto. Poi chiamai Federico, in lacrime, e gli raccontai tutto.
Sulle prime, Fede pensò che fossi completamente impazzita. Fino a quel momento, non aveva mai assistito a un simile crollo emotivo da parte mia, e so di averlo sconvolto non poco. Non sapeva come fare per consolarmi, l'unica cosa che riuscì a dirmi con sincerità fu di non prendere decisioni affrettate e fu allora che mi rivelò che anche la sua migliore amica stava vivendo una situazione molto simile alla mia. Quell'amica era proprio Sofia.
«Perché non vi parlate, voi due? Sono sicuro che farebbe bene a entrambe» aveva proposto. «La prossima settimana sali, no? Potrei organizzarvi un aperitivo.»
Io avevo accettato, sperando che in qualche modo la cosa mi salvasse da quell'atto meramente volto alla mia autodistruzione. Allora ero molto più socievole di adesso, l'idea di incontrare persone nuove non mi dispiaceva affatto. Anche perché fino a quel momento avevo sentito parlare spessissimo di questa Sofia, ma non avevo ancora avuto l'occasione di conoscerla di persona.
Ci incontrammo in un bar al centro di Bologna, lo stesso dove anni dopo sarei fuggita in lacrime con le urla di Sofy che mi seguivano fino in strada. Lei era seduta a uno dei tavoli in fondo, quasi avesse paura di farsi notare da occhi indiscreti. Piccola e gracile come un giunco, con quella cascata di capelli biondi che le coprivano le spalle curve come un mantello e le piccole labbra a cuore che la facevano assomigliare in maniera deliziosa a una bambola di porcellana, mi colpì sin dal primissimo istante come un piccolo sole in fondo alla sala semibuia – o forse, farei meglio a dire come una luce invitante che attira un'incauta falena? –
Sorseggiava distrattamente una Coca media, e intanto scrollava il cellulare con aria febbrile, quando improvvisamente trasalì nell'avvertire la mia presenza accanto a lei, quasi fosse stata sorpresa a commettere qualcosa di proibito. Solo allora notai le stampelle appoggiate al tavolo e l'enorme tutore che le bloccava la gamba destra fino all'anca. Tre settimane prima, un cavallo di oltre seicento chili l'aveva lanciata contro un oxer di un metro e venti, facendola schiantare direttamente sulle barriere di legno che le erano crollate addosso come un castello di carte. Sofia se l'era cavata con il femore sbriciolato come un grissino e una commozione cerebrale, e sarebbe potuta andare molto peggio se in quel momento non avesse avuto il cap. Se tutto fosse andato bene, si sarebbe ristabilita completamente dopo tre mesi.
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Come il vento
RomanceAnna ha deciso di abbandonare per sempre la sua passione per i cavalli. L'ostilità da parte della sua famiglia sommata a un lavoro che ha trasformato il suo sogno in un incubo le suggerisce infatti che tutto questo non fa per lei. Peccato che dal pa...