15. Ovunque

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"Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue."

Ebbene, mi tocca pensarlo anche a quest'ora.

È notte, non so che ora precisamente, so solo ogni luce è spenta nel quartiere ed io non so con quale barbaro coraggio sono uscita fuori in balcone a guardare la luna.
Tutti dormono tranne me, sai che novità.
La luna pallida mi accarezza mentre io guardo disperdersi nella sua luce la nube di fumo e vapore che espiro.
Dicembre, freddo come pochi inverni qui a Roma, è arrivato ferocemente e si sta portando via ogni briciolo di calore che Damiano mi ha lasciato su una felpa, posata lì, sulla scrivania, l'ultima volta che l'ho visto.
Chiudo la finestra e torno a letto non distogliendo l'attenzione da quella felpa.

È un'assenza logorante.
La sua voce echeggia tra queste mura solo se alzo il volume alla televisione mentre io tento di interpretare i daily come fondi di caffè,
cercando qualcosa che mi consoli,
qualcosa che mi confermi che lui stia davvero bene, qualcosa che lo leghi a me.
Non mi aspettavo che la nostalgia, la sua mancanza, e i ricordi potessero frustarmi tanto forte da farmi star così.
Ma del resto, lo avevo già capito.
Non prendo più nemmeno la tazza con cui ha fatto colazione l'ultima volta con me.
"Che esagerata che sei" mi dico da sola quando questi piccoli gesti vengono condizionati da una sua risata metallica sentita da Sky, ma che posso farci?
Mi giro dall'altra parte e stringo il cuscino.

È solo un'altra notte di un altro giorno passato senza di lui.
Un giorno pigro.
Un giorno in cui non mi sono sprecata di fare due passi in più fuori.
Un giorno in cui traccio un'ulteriore croce rossa sul calendario per il countdown della finale.
Un giorno in cui ho consapevolezza di essere innamorata di lui, ma lui non è qui.

Eppure lo sento.
Lo avverto vicino.
Lo cerco e lo trovo.
Lo guardo e sorrido.
Lo ascolto e mi emoziono.
Lo scruto attentamente come quando siamo seduti l'uno di fronte all'altra ed è più tangibile di un sottilissimo schermo.

È quasi un mese che Damiano è chiuso nel loft, senza poter comunicare con l'esterno, senza sentire ciò che accade.
Io che sono fuori, invece, non sento altro che il suo nome.
Tutto mi riporta inevitabilmente a quei occhi contornati di matita nera, accuratamente sfumata, ma che nessuno ha mai visto colare a grandi gocce e sporcare i miei asciugamani.
Tutto mi riporta a quel profumo mandorlato che lo contraddistingue.
Nemmeno più le sigarette hanno lo stesso sapore, perché sulla mia bocca voglio la sua.
Vedo i post su Instagram, gli articoli, le recensioni, gli influencer, qualsiasi persona che condivide una foto della band o la loro "Chosen".
Lui non sa il delirio di cui sono spettatrice.
Sento pareri, ascolto interviste, e inorridisco davanti a quei commenti fuori luogo che mi fanno venir voglia di denunciare qualcuno.
Le persone si scagliano contro sua figura e si sentono onnipotenti, convinti che basta poco per sapere e per delineare Damiano, che basta averli visti su YouTube tre volte per giudicare Thomas, che basta aver stalkerato un profilo per conoscere Victoria, che basta fare domande scomode per apprezzare Ethan.
Non ho pace da nessuna parte.
Non ho pace io che dovrei starmene tranquilla, quando invece vorrei gridare al mondo che questi ragazzi sono altro, sono di più.
Che questi ragazzi sono miei.
Che quel ragazzo è tutto per me, tutto ciò che gli altri non sanno.
Ma qui sembra che tutti vogliano saperne più di me.
È un bombardamento continuo, sono sotto assedio.
Lui è ovunque.
Lui, che conosco meglio di chiunque.
Ovunque, tranne che qui.
Con me.

"Leo? Pe piacere zì, vediamoci.
Ho bisogno di parlare."
Una telefonata così breve non l'ho mai avuta nemmeno con le compagnie telefoniche.
Sono crollata.
E non è neanche mezzogiorno.
Lello si è precipitato sotto casa lasciando una sgommata sul marciapiede, un po' perché sa che mi metto paura, un po' perché l'urgenza e la velocità non vanno d'accordo con il muretto che rischiava di prendere.

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