4. Labirinto

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Lo stivaletto di Damiano batte lento sul marciapiede, tacco e poi punta, di nuovo tacco e poi di nuovo punta, fino a che non incrocia le caviglie e si posa davanti alla macchina.
Lo seguo con lo sguardo, seduta in questa macchina piena del suo profumo alcolico, con qualche nota di tabacco bruciato, e mi preparo ad uscire con un tremore che parte dallo sterno.
Damiano tira la maniglia, spinge lo sportello e mi fa scendere.
"Grazie mille per il passaggio, di nuovo."
La mia voce si abbassa di colpo quando lo vedo abbottonarsi la camicia portata aperta sul petto fino a quel momento.
Lo zaino che porto dalle superiori continua a scendermi dalla spalla.
Sembra davvero che sia tornata ad avere 13 anni, quando il ragazzetto né carne e né pesce dell'altra classe ti riporta a casa.
Forse è l'aria, il tramonto troppo arancione, le sue mani venose, e quegli occhi furbi.
Damiano fa l'inchino con la testa e mi fa cenno di posarmi accanto a lui.
"Domani alle sette e mezza ti passo a prendere, va bene?" Mi chiede con un sorriso stampato in faccia come un bambino di cinque anni.
Quindi mi porti a cena fuori?
"Va benissimo." Rispondo studiandogli le fossette lunghe e profonde, e poi la punta degli stivaletti.
Damiano rimette in parallelo le caviglie, e solo così riesco vedere quanto questi jeans chiari gli fascino bene le gambe.
Lui se ne accorge e se ne compiace un po', glielo leggo da come sbatte le ciglia, da come piega le labbra.
Ah ricordavo sta cosa che te la tiravi, a scuola girava sta voce.
"Domani offri tu quindi?" chiede ironico, con la lingua in mezzo ai denti.
"Oh certo, ma ti offro la cena completa, con dolce, caffè e ammazza caffè."
"E la sigaretta post cena."
"Ovviamente!" Mi porto una mano sul petto, continuando a reggere lo scherzo.
Damiano mostra i denti bianchi mentre ride.
Chissà perché quando ti parlo sorrido di continuo anche io.
"È un piacere fare affari con te." Mi tende la mano ed io gliela stringo.
"Dai, ti aspetto qui domani, sempre che non ci siano altre sorprese, tipo che sei un figlio di uno zio e mi ti ritrovo a casa."
Mentre lo dico lo zaino continua a cadere, e Damiano si rigira l'anello all'anulare sinistro ridendo sommesso.
Lentamente si avvicina, la camicia color panna ora gli stringe un po' sul pomo d'Adamo che mi imbambolo a guardar andare su e giù, a me allo stesso modo sale il cuore in gola e poi discende al suo posto.
"A domani mon Chéri." Mi dice accostando il suo viso al mio, lasciandomi un bacio più confidenziale sulla guancia, un bacio che mi fa salire un milione e uno di dubbi.
Cosa vuoi fare? Dove vuoi arrivare? Dove vuoi passare? Ma poi, dove andremo a finire?
"A domani... Bohémien." Rispondo dopo averci riflettuto, stordita.
"Bohémien mi piace." arriccia le labbra in una smorfietta compiaciuta.
"Ci sei un po'." gli rispondo facendo spallucce.
"Tu e la letteratura, sta cosa me fa impazzì."

[...]
La mia notte e la mia giornata sono state scandite dai pensieri, dai ricordi, dalle supposizioni.
Ho cominciato con il fissare il soffitto,
erano anni che non provavo più quella sensazione, un viso che mi tornava in mente,che nel cassetto della mia memoria era solamente un offuscato ricordo di un sedicenne che cantava per gioco.
Eppure, quella notte, il suo volto ha cominciato a ricomporsi piano piano, ad essere ridisegnato.
Prima confuso, una sagoma che prima si sforzava di prendere forme definite, poi delineato e preciso, una fotografia perfetta, ideale che solo con l'originale, inappagato desiderio, poteva coincidere.
E allora mi sopraggiunse una riflessione con gli occhi sbarrati verso il soffitto.
Tutta l'inquietudine, senso di insoddisfazione, infelicità, l'implacabile sentirsi fuori luogo, era tutto dovuto al fatto che io quel viso lo stavo cercando inconsapevolmente, e ora che l'ho trovato non posso farne a meno.
A lezione, mentre studiavo, ora che mi guardo allo specchio e mi aggiusto gli orecchini dorati rivedo sul mio volto il suo, nei miei occhi verdi le sue pupille sfumate, i nostri nostril speculari.
Passo il dito sotto le ciglia per rimuovere qualche residuo di ombretto, tiro giù sui pantaloni neri aderenti la canottiera di ciniglia elegante, infilo scarpe e giacca e scendo le scale con la stessa marcia di una sposa, in religioso silenzio.
Sono le sette e venti, e le mie ginocchia fanno avanti e dietro mentre giro il tabacco nella cartina.
La carta brucia, ed inganno il tempo in questo limbo, tra le aspettative dell'attesa e la realtà che si sta per verificare.
Due fanali di una macchina che mi sento di conoscere bene si affacciano all'inizio della strada.
La macchina frena, si spegne, e dalla penombra dell'abitacolo esce Damiano.
Dio mio se sei bello.
Macché bello: meraviglioso, mi levi il fiato.
Damiano si tira i capelli mossi indietro, la camicia bianca ben infilata nel pantaloni neri è tenuta al suo posto da una cinta in pelle, ed una giacca  impreziosita con dei ricami dorati gli si dipinge addosso come un affresco in un palazzo reale.
Avanza con passo felpato nelle sue scarpe lucide verso di me, il suo sorriso brilla come la luna nel cielo non ancora del tutto scuro.
"Buonasera Mon Chéri."
Siamo petto a petto, mi stampa un bacio sulla guancia, e mentre con una mano mi tiene la schiena sotto la giacca, con l'altra mi ruba furtivo la sigaretta.
Con pollice ed indice stringe il filtro raggiunto dalla fiamma, tira da quel che rimane, e mi soffia addosso il fumo con un sorrisetto accattivante.
Si sofferma a guardare i miei capelli raccolti, dopodiché torna alle mie iridi.
Saliamo in macchina e tutto d'un fiato mi dice "Allora, stasera ti porto nel mio ristorante preferito, me sto a sognà sta bistecca da quanno me stavo a fa la doccia."
"Oh no, ma io sono vegana..." gli rispondo posando la mia mano sulla sua.
Damiano sbarra gli occhi e rimane a bocca aperta, interdetto ed imbarazzato, timoroso di aver fatto una gaffe.
"Scherzo dai! La bistecca mi piace ben cotta." Gli scoppio a ridere in faccia.
Damiano si porta una mano sul cuore e torna a respirare.
"Mortacci che coccolone che m'hai fatto pijà.
Nun giocà oh." E fa retromarcia continuando a ridere.

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