5. Zarathustra

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I giorni prima dell'esame per me sono l'espressione massima della tensione.
In sessione ogni quarto d'ora chiudo il libro e con una scusa accendo una sigaretta per procrastinare, convinta che solo i miei schemi mi potranno salvare.
Ringrazio mamma per avermi fatta curiosa e con la memoria fotografica, ma allo stesso tempo mi maledico per la poca fiducia che ho in me stessa.
Cambio minimo seimila volte posizione per studiare, tra la scrivania ed il letto, e i momenti di più lucida serenità arrivano annunciati dal campanello della messaggistica.
Damiano ed io non ci stiamo risparmiando, lui in una stanza a provare con la band, io in una stanza a studiare da sola.
C'è una certa necessità che mi spinge a sentirlo di continuo ed avere il batticuore quando leggo il suo nome sullo schermo.
Marta, l'esame è domani, posa sto telefono e studia.
Certo che sti sorrisi non li cacci mica quando leggi letteratura latina.
Rapidamente digito un "Bohémien, vado a ripetere, ci sentiamo appena stacco" e non ho mai desiderato così ardentemente di staccare prima di mezzogiorno.
Faccio un paio di giri sulla sedia rileggendo la chat del giorno prima, unico giorno in cui non l'ho visto e mi fa tremendamente preoccupare il fatto che io senta già la sua mancanza.
Damiano mi risponde con un "a dopo biondì" che mi scalda.
Quante emozioni per essere le 8 di mattina.
Le mie amiche mi hanno già annunciato che verranno a casa ad ascoltare le mie rituali crisi pre-esame, quindi senza perder tempo abbasso la testa sui quaderni e sui libri, e prendendo in mano una matita ripeto la traduzione del sesto libro dell'Eneide a memoria.

[...]
Lo schermo del mio telefono si illumina, segna le 12:10 ed in alto appare il nome di Damiano che mi sta chiamando.
Poso ottocento pagine sulle ginocchia e con un nodo in gola rispondo guardando fuori il cielo grigio.
"Ohi Chéri?"
"Buongiorno Damià, dimmi tutto."
"Arte ha riportato il saggio, un bell'otto e tutti a casa."
Scommetto che stai giocando con la lingua contro l'interno della guancia.
"Davvero? Sono felicissima!"
"Nun dirlo a me."
Ha una voce nasale e sento della confusione intorno.
"Scommetto che ora stai fuori a fumare invece che fare lezione."
"Seh mammì, sto a fumà fori, sta il cambio dell'ora."
Fa una breve pausa e lo sento battere la mano a qualcuno che evidentemente è uscito a fumare con lui, poi riprende :
"Ascoltami, oggi devi studià latino, giusto?"
"Giusto."
"E 'nte poi move da casa, giusto?"
"Giusto..."
"Io mi merito un premio, giusto?"
Alzo gli occhi al cielo perché avverto la strana sensazione di sapere dove vuole andare a parare.
"Damiano guarda dovrebbero già venir-" cerco di frenarlo, ma lui anticipa tutto d'un fiato
"Volevo solo chiederti di sorprendermi con il pranzo, poi me ne vado, tranquilla, ma almeno una pausa per vederci concedimela."
Ha una voce così sincera, pura.
È come se lo vedessi davanti a me passeggiare avanti e indietro, con la sigaretta stretta nella mano ed il fumo che gli esce dalle narici. La schiena dritta, il passo molleggiato.
L'espressione supplicante, e poi in tensione per la risposta.
Mi passo una mano sulla fronte e mi mordo le labbra.
"T'ho intenerito?" Sghignazza un po'.
"La carbonara va bene?" rispondo girando e rigirando sulla sedia.
" 'A carbonara? Anvedi la professoressa qui come me sorprenne."
Non riesco a smettere di sorridere, che qualcuno mi muova i muscoli facciali.
"Ti scrivo appena esco da scuola, a dopo Chéri."
È tutto un sussurro dolce e rassicurante, come zucchero a velo che cade.
"A dopo Bohémien."

Piove come poche volte, copiosamente, e mentre il guanciale sfrigola sulla padella mi affaccio ogni due minuti per vedere se Damiano arriva.
Devi stare calma, devi stare calma. Non succede nulla. Mangia e se ne va. Non succede nulla.
Il citofono trilla ed io rischio di scivolare sulle ciabatte per andare a spingere due, tre volte per sicurezza, l'apposito bottone.
Poco dopo sento dei passi ed il fiato corto che distinguerei tra milioni posata sull'uscio tenendo spalancata la porta.
Damiano è bagnato dalla testa ai piedi, le gocce gli corrono via dalla fronte e stazionano tremolanti sui suoi zigomi, ridotti a due piccoli soli per far spazio ad un sorriso raggiante.
Ha la maglia appiccicata all'addome come una pellicola applicata meticolosamente.
I jeans sono scuri, scurissimi, le scarpe sembrano aver fatto chilometri nelle pozzanghere.
"Ciao!" Esclama come non fosse ridotto così.
"Vieni, entra dentro, ti do un cambio." Gli quasi ordino, prima che si ammali.
Damiano mi segue gocciolante, misurando ogni centimetro del parquet, ma tentenna quando apro la porta di camera mia, come se non volesse profanarla.
Rovisto nell'armadio e lui pian piano si fa avanti con passo indeciso.
"Mi puoi dare quella minigonna che intravedo? Me piace na cifra."
Rido mentre scuoto la testa e gli consegno una felpa bianca e dei pantaloncini dei Lakers.
"Questi ti dovrebbero andare, cambiati pure, il phon è in bagno e le ciabatte sono quelle che vedi ai piedi del letto, io vado a mettere i piatti." Concludo con un'espressione pienamente soddisfatta.
Mi suona in testa una frase :
"così felice non sei stata mai."
Damiano prende i vestiti in mano e mi guarda sospetto, dischiude la bocca, ma non parla.
"Cambiati pure." E mi chiudo la porta alle spalle, mi poso una mano sul cuore come atto di coraggio, e lo sento muovere i primi passi.
"Butta tutto per terra, ci penso io dopo." Gli grido dalla cucina.

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