2. 10 pm

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Chiudo dietro di me la porta di casa e butto via le chiavi sul mobile dell'ingresso.
Forse ho colpito qualche cornice della comunione.
"Marta?"
Mia madre mi chiama dalla cucina, ma io vado in direzione opposta, in camera da letto, chiudendomi tutto alle spalle e lasciandomi scivolare contro la porta.
Una sensazione che non credevo di ricordare dai tempi del liceo mi attanaglia lo stomaco.
Chiudo gli occhi e vedo il volto di Damiano, i suoi capelli raccolti, le mani sul volante, le vene delle sue braccia.
È bastato così poco per farti sbandare, signorì?
Ma so dentro di me che non è stato poco, che non è solo colpa dei suoi splendidi zigomi, non è per i suoi capelli di miele, non è solo per la voce calda che sto sentendo le guance scottare.
È stato il modo, il come si è rivolto a me,  come si è aperto, è per come si è insinuato in un pomeriggio diverso dagli altri e ci si è segnato sopra con il pennarello rosso indelebile, a ricordarmi che c'è stato anche lui, a farmi sperare che ci sarà per altri pomeriggi.
Poso sulla scrivania la macchina fotografica, sfilo la giacca, le scarpe e lascio che mia madre entri in camera, avendo sentito i suoi passi sempre più vicini.
Mamma è bella, mamma è bellissima.
"Come è andata oggi?" Mi domanda sedendosi sul letto, stretta nella vestaglia che la fa sembrare una regina.
I suoi occhi verdi, più verdi dei miei, luccicano.
"Tutto bene, anzi, più che bene." Le sorrido rilassandomi sulla sedia.
"Ma sei andata a piedi? Anche adesso che s'è fatto buio?"
"All'andata si, al ritorno mi sono fatta dare un passaggio" e mi gratto la nuca, consapevole che adesso le dovrò raccontare tutto.
"Chi ti ha riportata?"
Prendo un bel respiro.
"Ricordi quel ragazzo amico di Leonardo Grillo? Quello che lo portava sempre con il motorino blu? I capelli rasati con il ciuffo? Stava al linguistico..."
Mamma fa un verso e un cenno di assenso.
"Ecco, lui, l'ho incontrato e ci siamo fatti due chiacchiere. Alla fine m'ha dato un passaggio." Mi batto le mani sulle ginocchia tremolanti.
"Beh che carino, no?"
"Si, molto"
No mamma, questo è bello come ar sole.
"L'importante è che ti sei divertita oggi, poi mi fai vedere le foto. Due minuti e vieni a tavola." E mi accarezza il viso.
Non appena esce dalla stanza prendo il telefono e fisso il numero di telefono di Damiano.
E ora che faccio?
Mi passo una mano in fronte e poi sugli occhi stanchi.
Apro whatsapp ed istintivamente decido di mandare un vocale alle mie migliori amiche, cercando consiglio lì dove non arriva il mio coraggio.
Mi butto sul letto e invio questo monologo da tre minuti e diciassette secondi.
Al mio ritorno so già che troverò l'inferno di messaggi.

"Cioè tu ci stai dicendo che quel figo vuole lezioni da te!"
"Io shockata"
"Chiamalo subito"
Scorro un'infinità di messaggi che più o meno recitano tutti lo stesso copione.
Devo chiamarlo, questo è scontato, ma mi assalgono paranoie che non pensavo possibili.
Perché non gli ho lasciato io il mio numero? Sarebbe stato meno difficile se m'avesse chiamato lui? Che gli è balzato in mente?
Scuoto la testa dinanzi lo schermo, copio il numero sul tastierino del telefono e premo l'icona verde.
Vedremo se me ne pentirò.
Il primo squillo mi suona come uno sparo di fucile tra le scapole, bastardo e vigliacco, che mi fa perdere il respiro.
Il secondo è per ricordarmi che se il primo ha fatto male, questo potrebbe uccidermi.
Lo stomaco si capovolge.
"Pronto?" La voce dall'altra parte è come balsamo e scossa elettrica allo stesso tempo.
"Pronto Damià?
"Seh so pronto. Che mi dici?"
Mi porto le ginocchia al petto, e mi do qualche spinta per dar senso alla mia sedia girevole.
"Dimmi tu, mi hai dato tu il tuo numero."
"A telefono si parla di sciocchezze, i discorsi seri si fanno di persona."
Lo sento picchiettare qualcosa, come una matita sulla scrivania.
"Di cosa vuoi parlare quindi?"
Una risata soffocata mi arriva leggermente disturbata, ma è come se percepissi le sue labbra incurvarsi davanti al microfono.
"Cominciamo con arte?"
"E me lo chiami discorso non serio?"
"È scuola, sai com'è pe me"
Vedo il suo viso, le sopracciglia che si alzano e il labbro inferiore che viene tirato dai denti, in un'espressione di soddisfazione che risponde al mio sospiro rassegnato.
"Tu parla, prendo n'attimo il posacenere e appunto tutto"
Annuisco convinta e comincio.
Dopo circa venti minuti di spiegazione  il mio "fine" risuona forte nella stanza.
Sento la matita che si posa, i fogli essere rassettati, e Damiano che si accende la seconda sigaretta nell'arco della telefonata.
Quanto fumi, ciminiera?
"Grazie Biondì, spero de prenderci un bell'otto a sto saggio, grazie a te."
"Figurati, è un piacere."
Sputa fuori il fumo e lo sento tossire, poi qualche rumore di sottofondo.
"Aspetta n'attimo che me metto comodo."
"Fai pure" e mi spingo di nuovo sulla sedia girevole.
I secondi trascorrono e io fisso la seconda sigaretta che mi ha fatto prendere qualche ora prima.
La prendo e me la giro e rigiro tra le dita.
La infilo in bocca senza accenderla.
"Eccomi qua.
Senti, a te i cornetti come piacciono?"
Faccio una smorfia confusa, sorpresa da questa domanda fuori luogo.
"In che senso scusa? Cosa c'entrano i cornetti?"
"A telefono non si parla di cose serie,quindi, per chiacchierare, come ti piacciono i cornetti? A me da morì co la nutella."
Ancora ad occhi sbarrati decido di stare al gioco, con una mano sul volto.
"A me al cioccolato bianco."
Tolgo e rimetto la sigaretta in bocca come se stessi fumando.
"Te facevo tipa da muffin a dire il vero." E mentre lo dice sento che si sta mordendo un'unghia.
"Ah si? Perché?" Distendo i piedi sul letto.
"Alle classiciste piacciono de più i muffin, so meno rischiosi, la farcitura del cornetto può cadere e sporcarle, co i muffin non succede no?"
"Non chiamarmi classicista, mi sta stretto." Rispondo sfidandolo.
"Ah si?"
Ridiamo entrambi, ma quello che mi ferma sono i rumori che sento dall'altra parte.
"Scusa eh, è mi mà che è ntrata in camera."
"Ah si figurati."
"Te posso richiamare tra na ventina de minuti?"
"Oh.. ehm... certo, si, si. Ti aspetto qui."
"A tra poco cara."
"A tra poco."
Poso il telefono con lo schermo rivolto verso il tavolo, perplessa.
"Che cazzo sta a succede" dico ad alta voce, passandomi una mano tra i capelli fino ad incontrare l'elastico che sfilo via.
"E secondo me con i capelli sciolti staresti meglio"
"Vado a farmi una doccia."

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