Amarti da ubriaca

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D'altronde, cosa avremmo mai potuto combinare noi due insieme? Voleva solo scusarsi con me, ripetermi che ero simpatica un paio di volte, sorridere amabilmente e andarsene senza lasciare sue notizie. Ma cosa volevo di più? Avevo parlato con lui, eravamo usciti insieme, aveva continuato a sorridere nonostante fossi stata logorroica. E forse, mi andava bene così. La giornata si era fatta nebbiosa, una novità per i londinesi. Potevo scegliere: un pomeriggio con le compagne di stanza o un pomeriggio in biblioteca. C'era una sala della biblioteca, con dei libri italiani. Ci passavo sempre del tempo: Dante, Boccaccio, Petrarca. Era un po’ arretrata per quanto riguarda la letteratura. Ero arrivata al terzo canto dell'Inferno, con Paolo e Francesca. Non che mi interessasse molto. Il loro amore, sbagliato che sia, è davvero incredibile. Le loro anime, anche dopo aver lasciato il corpo, sono ancora unite. Questo è quello che si può definire 'eterno'. Senza esclusione. Spesso avrei voluto illudermi che, il mondo in cui mi ero chiusa, fosse vero. Credere che da quel mondo, davvero non si dovesse uscire. Invece io, ne ero appena stata buttata fuori. Ed era il mio. Figuriamoci una persona. Mi stavo riempiendo di malinconia, e quello non era il pomeriggio che avevo progettato. Ma come fare? Sarei dovuta andare in stanza, a guardare la tv, in inglese, senza sottotitoli, tra l'altro anche noiosa. Ma anche no.

La nebbia si era trasformata in pioggia e i visi della gente erano gioiosi. Come se ci fosse motivo di ridere al diluvio universale.

Dovevo cercarlo, anche a costo di perdermi. Dovevo chiedere sue notizie ai passanti, gridare il suo nome per trovarlo fra la folla, cercare morbosamente sue informazioni nella mia stanza o nel vialetto della scuola. A costo di apparire folle, cosa che accadeva praticamente ogni giorno. Per una volta volevo essere eccentrica, narcisista e pensare che fossi troppo bella per essere dimenticata così da lui. Guardavo l'orologio: erano solo le 4.

-Va bene. Basta! Adesso mi alzo e spacco tutto.-

Metaforicamente, è ovvio. Presi per mano il mio coraggio e lo trascinai con me con tutta la forza che avevo. L'esasperazione di aver girato una Londra, si faceva sempre più forte. Se mi avessero chiesto di ritrovare la strada del collegio, avrei sicuramente chiesto l’elemosina per una bussola. Nessuno mi ascolta, manco il cane.

Mi sentivo come dopo sette Jack Daniel's. Mi veniva da piangere. Stavo per attraversare la strada, anche vedendo che un taxi giallo mi stava per metter sotto. Era proprio quella l'intenzione. Finire sotto quel taxi. Non volevo apparire debole, nè tantomeno volevo fare la vittima, ma era quello che mi sentivo di voler fare. Una mano mi bloccò il braccio. Tornata un attimo sul mondo terreno, l'MP3 aveva cambiato canzone: adesso c'era ''Erase''. La mano aveva un volto, il suo volto. Una luce scesa dal cielo. Avrei voluto gridargli in faccia che lo cercavo e che non avevo mai apprezzato tanto il cercare di morire.

-Ma cosa fai? Vuoi farti uccidere?!

-Non lo so.

-Vieni.

-Michael, cosa diavolo dici?

-Sei davvero carina quando fai finta di non capire, hai capito che con me non funziona e quindi ci ritenti.

Camminavamo da diversi minuti e mi dava fastidio non sapere dove stessimo andando.

-Lo sai che posso denunciarti per rapimento?

-Rapirti? Ma se mi stai seguendo per tua volontà. Non sto mica muovendo io le tue gambe…

Eravamo arrivati davanti a un cancello avvolto da rampicanti. In fondo a un lunghissimo viale, si scorgeva una bellissima casa, un po’ vintage: gli infissi in legno invecchiato e la grande veranda, erano i dettagli più evidenti.

-E mbè?

-Come scusa?

-Dico, cosa ci facciamo qui? Che posto è questo?

-E' la mia casa. 

Aiutami ad odiarti - MikaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora