E se ti chiamo Amore, tu non ridere

107 4 0
                                    

Era la seconda volta che mi svegliavo in quel letto. E la seconda che mi svegliavo fra le sue braccia. Ferma. Immobile. Avevo paura di svegliarlo. Feci piano, presi i miei vestiti, li indossai e corsi fuori. Michael mi aveva lasciato il numero di alcuni taxi: ne presi uno a caso e il taxi arrivò dopo pochi minuti. Quando si trattava di “Miss Penniman”, tutti facevano a gara. Seduta in taxi ripensavo alla serata. Era stato bello quanto angosciante, conoscere sua sorella. Era dolce, delicata e simpatica. La strada da casa sua al collegio era abbastanza lunga.

Ripensavo alla mia fuga furtiva. E’ vero, avrei voluto vedere il suo viso al mattino, con i capelli arruffati e quel sorriso un po’ falso di chi non sa cosa dire. Quella che lui chiama “la disevoluzione di Darwin”. Ci eravamo addormentati, spogliati da ogni problema, con la leggerezza dei nostri respiri e il nostro profumo, ormai unico, che aveva fatto dei nostri singoli, profumi irriconoscibili. Appena sveglia mi dissi: “devo fare in modo che non mi veda così”. Sarei morta. Fulminata. Un secondo e sbam, sarei svenuta. Di sera poteva anche andare bene. Con il buio, le luci soffuse, la confortevolezza di un paio di tende, l’accondiscendenza di due mani. Ma di mattina, con la luce del sole, la sveglia che sta per suonare, il cane che non sa se abbaiare o meno, la scarpa slacciata e i capelli cotonati, non è proprio il caso. Già la sera prima, e quella prima e quella prima di conoscerlo, ero una disadattata, un’asociale, una parassita. Bastava quello.

Senza accorgermene, il taxi era giunto a destinazione. Con la mente oscurata da pensieri surreali, diedi al taxista 26£ e lasciai una piccola mancia. Mi guardò come se non fosse abbastanza. 26 più 5 di mancia non sono abbastanza per una studentessa? Erano tutti un po’ strani, lì.

Da un lato, speravo che Michael venisse a trovarmi. Dall’altro, avevo paura che prendesse l’argomento “ieri notte”. Non mi andava di parlarne. Non c’era niente da dire.

Già immaginavo il momento in cui avrebbe detto “dobbiamo parlare”. E’ la cosa che fa più paura al mondo, credo. Dopo il “Grimaldi interrogata”, ovvio.

-Signorina Grimaldi.

-Professor D’Antonio.

-Non ha dormito qui ieri sera.

-L’ha notato.

-Si. E potrei sapere dov’è stata?

-Dato che se le dico che sono stata da un’amica Lei non mi crederà mai, sono stata da un’amica

-Lo sa che non le credo, vero?

-Certamente.

-Conclusione?

-Conclusione? In quanto Lei, non è il mio tutore legale o medico, questa è violazione di privacy.

-Le permetto troppa ironia, miss Grimaldi.

-Arrivederci.

-Arrivederci.

Passò una mezz’ora. E per quelli come me, è così, tutto può succedere in mezz’ora. Il mondo è al contrario. Non noi, il mondo. Le persone. Le persone guardano in modo differente, non rispondono alle domande, criticano. Tutto può succedere in mezz’ora.

Squillò il telefono: Michael.

-Pronto?

-Sophie.

-Si, lo so che vorresti dirmi milioni di cose, che vorresti rimproverarmi di milioni di cose che sicuramente ho fatto. Ma sto male, vieni subito, ti prego.

-Cosa diavolo è successo?

-Sto male, Michael. Sbrigati.

Arrivò dopo dieci minuti.

Aiutami ad odiarti - MikaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora