Oltre l'alba della felicità

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-Hey, devi dormire, domani è un altro giorno. Non preoccuparti per me. Anche se resto sveglia non fa niente.

-Non posso, prima dormi, prima mi addormento.

-Va bene, ci provo. Ma tu intanto, stai tranquillo.

L’avevo fatto, mi ero addormentata. Eppure ero sempre sveglia. Ogni piccolo rumore mi faceva sobbalzare. In qualche modo c’ero riuscita lo stesso, mi ero addormentata. E dormivo, dormivo. Il mio incubo era tutt’altro che bello. Mi svegliai di soprassalto. Ero seduta accanto a lui. Avevo pensato a tutto tranne che a fare in modo di non svegliarlo. Mi aveva preso per i fianchi e trascinato accanto a se, avevo rifiutato di guardarlo per alcuni secondi. Aveva poggiato la mia testa sul suo petto, accarezzandola: -Era solo un incubo, solo un incubo. Tranquilla.
Mi era davvero così vicino? Poteva realmente capire cosa provavo? Poteva sentire la mia paura? E il mio terrore?

-Lui era così reale. Ci penserò per giorni ancora e il pensiero mi ucciderà piano. Aiutami…

-Lo so, so come sono gli incubi. Non devi lasciarti prendere, non devi cadere anche in questo tranello. Chi è ‘lui’?

-Nessuno, neanche credo di saperlo. Non è niente.

Tirò un sospiro.

-Ho capito che questa notte nessuno dei due ha molta voglia di dormire. Facciamo una bella cosa? Usciamo in veranda e vediamo l’alba spuntare. Ok?

Quel sorriso. Era tornato di nuovo: lo aveva detto sorridendo. Mi prese la mano dolcemente, accompagnandomi.

-Ok, andiamo.

Prese una coperta e percorremmo la lunga scala. La mia malinconia scivolava via lentamente. Scendevamo insieme, e lui portava la coperta sotto braccio. Arrivammo fuori: freddo invernale, l’alba da nessuna parte, un rumore d’acqua quasi come un ruscello, Melachi che dormiva vicino ad un albero e il vento che soffiava gelido sulla mia pelle. Il pigiama di Yasmine era troppo solite per reggere le emozioni ed il freddo. Adoravo il suo sorriso. Non volevo che mi piacesse, però. Non volevo che mi piacesse nulla di lui. Me ne stavo innamorando e sarebbe andata a finire che avrei fallito di nuovo. Ma perché pensarci?

Ci sedemmo sulla coperta. Ero seduta in punta, volevo vedere esattamente da quale parte sarebbe arrivato il sole. Mi sentivo una bambina. Papà si comportava esattamente così, con me, quando ero piccola. Mi portava al fiume, e con le spugne sciacquavamo la macchina. Finiva quasi sempre che tutti e due eravamo zuppi.

-Non stare in punta, lì fa freddo. Vieni qui.

Mi avvicinai a lui, sorrise. Mi prese la mano e la baciò:

-Mademoiselle, ho sentito che lei alloggia ad Oxford. Che immenso piacere sarebbe, portarla a fare un giro in carrozza, uno di questi giorni.

-Devo avvisare il collegio! Diavolo! L’avevo dimenticato!

-E’ sabato.

-E quindi?

-Mi avevi detto che dovevi andare da quella tua amica, di mattina. Ti ci porto io.

-Si, ok. Ma che c’entra? Ho dormito qui con te.

-E’ un problema, vero?

-Si che lo è.

-Mi prendo io la responsabilità, se posso.

-Non lo so.. Vediamo.

Rimanemmo un attimo in silenzio, guardavo il vuoto perduta nell’idea che mi portava a quell’istante che aveva già dell’inquietante di suo.

-Domani devo andare in studio di registrazione. Vieni con me?

-Non voglio essere di peso. E poi mi sentirei a disagio…

-Essere di peso? Non credo. E poi ti assicuro che le persone che incontreremo le conosci tutte.

-Be’, va bene.

Mi stesi sulla coperta, lui mi fissò per un po’, poi spostò lo sguardo e aprì bocca, rompendo il silenzio:

-Parlami, non stare in silenzio. Non sono un dottore, ma non credo ti faccia bene. Si, insomma, sembro stupido ma anche io ci penso. Ci ho pensato tanto, a come mi sentirei se fossi chiuso dentro me. E il problema è che ci sono stato, chiuso davvero. Ed è terrificante. Parlami di te.

-Parlarti di me? Dovresti essere tu quello a parlare di te. Sei tu quello famoso.

-Appunto, sono io quello famoso e ti assicuro che tutto quello che hai da sapere lo sai già. Inizia ad essere noioso parlare di me. Parlami di te.

-Ma cosa devo dirti?

-Ti faccio delle domande e tu rispondi. Ok?

-Ok.

-Partiamo dal presupposto che sei al liceo. Ok? Come ti sei ambientata? C’è qualcosa che non va?

-Stai cercando di estorcermi il perché della mia isteria. Non è così? Lo sapevo. Posso andare, adesso?

-Ma dov’è che vai? E poi, isteria? L’epilessia non è isteria. E se lo fosse, non è colpa tua.

-Tu mi fai sentire bene. Troppo bene.

-E tu usi troppi Troppo. Troppi.

-E mi fai anche tanto sorridere. Tanto.

-Mi fa piacere.

-Saremo amici, un giorno, no?

-Perché un giorno? Perché non ora? Perché si continua a parlare di futuri troppo lontani e non di concretezza? Perché, se desidero la tua presenza non posso dirtelo adesso, chiedere al Signore che piova perché oggi ti senti sola?

-Fai impazzire i miei neuroni che, per ringraziare la tua poesia, stanno facendo una danza dentro di me e tu non puoi sentirla.

Poggiò una mano sulla mia testa.

-Li sento. Sono ben coordinati. Ci sarai stata tanto a preparare le coreografie. Brava.

-Sei matto. Mi piace.

Aiutami ad odiarti - MikaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora