5. Bambi

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Mio nonno, grandissimo uomo, mi ha insegnato tutto ciò che avrei potuto desiderare di sapere. Lui, nella sua saggezza da uomo che ha visto di ogni al mondo e non si stupisce più di niente, è stato per me il padre che non ho trovato in William. È un uomo che ha saputo creare un impero dal niente, basandosi unicamente su ciò che era il suo talento. Politica e legge, le due cose sono sempre state visceralmente legate, forse più a Washington che in Canada, devo ammetterlo.

Ciò che è importante, però, è che ogni sua parola si è depositata in me come un insegnamento vitale, mattoni angolari e portanti di ciò che poi sono diventato.

"La natura delle promesse è che rimangono tali anche dal mutare delle circostanze" Arnold James Anderson.

Sarà per questo che ogni qualvolta prometto qualcosa, quel qualcosa lo mantengo sempre, a prescindere. È per questo che prometto molto poco.

Oggi è stata una giornata strana, una giornata in cui sono stato praticamente immerso in una rabbia costante e continua che non mi ha dato respiro, attanagliato la gola e artigliato lo stomaco. E ho fatto una stronzata, cristo.

Ho scritto a Mja.

La cosa esaltante e, al contempo, allarmante? Ha mollato qualunque cosa stesse facendo per assecondare il mio capriccio. Capriccio che non penso abbia nemmeno colto, devo dire la verità e non perché lei sia stupida, ma perché ho messo sul piatto una considerevole dose di onestà. È così che fughi un rivolo anche esile di dubbio: lo inondi e affoghi in un mare di cruda realtà ed onestà. E io, con onestà cruda e secca, le ho fatto capire che volevo vederla.

È arrivata a casa mia con quel suo abito chiarissimo, bella come ci si aspetterebbe da una donna che è abituata ad essere fotografata e finire in copertina perché il nome che porta lo prevede. Impeccabile in quella maschera di bellezza concentrata e rinchiusa in dettami che stava intimamente rifiutando. La solita guerra targata Hamilton.

«Mja.» fletto appena il capo per poterla osservare meglio negli occhi, quegli occhi grigi che sanno di inquietudine. Manco l'ho toccata ed è già agitata.

«Thomas...» ha questo vizio, lei, di lasciare sempre una vaga traccia di sospeso nel tono quando si rivolge a me, quasi fosse in soggezione.

Casa mia è una penthouse che divido, saltuariamente, con mio fratello Jacob. L'abbiamo comprata insieme per avere sempre un punto di appoggio esterno a casa Anderson, più per me che per lui perché che io tolleri poco nostro padre è lapalissiano alla mia famiglia. Ha linee pulite, ricalca in tutto e per tutto il mio gusto personale: moderno, essenziale. Niente è messo a caso, tutto deve avere una sua funzionalità altrimenti non ha senso di esistere. C'è un sottile sentore del mio profumo – che poi è lo stesso che usa anche mio fratello – e le vetrate danno sullo skyline di Toronto con una vista spettacolare sul Lago Ontario. Vale i milioni che l'abbiamo pagata, senza alcun'ombra di dubbio.

Le luci della zona living sono soffuse, non c'è nulla di disturbante ed è l'esterno che rimanda uno spettacolo di luci che si riflette all'interno. C'è una qualche riproduzione casuale di una mia playlist impostata ancor prima che arrivasse lei, per mio piacere personale che per fare colpo: non ne ho alcun bisogno.

«Prego, accomodati.» mi sposto quel tanto che basta per farla entrare, in modo che lei possa prendere confidenza con l'ambiente, chiudendo la porta alle mie spalle e, idealmente, chiudo tutto il mondo fuori. «Dai pure a me.» intendo il soprabito che indossa. Sono accorto con le mani a toccare quella stoffa indubbiamente pregiata, sartoriale. Ne arriccio appena i bordi in modo che possa scoprire quanta più pelle possibile, lo faccio perché voglio sfiorarla in una carezza calcolata, elegante e invasiva al punto giusto. Sono alle sue spalle, la sento trattenere appena il respiro, la sento cercare un controllo che non ha.

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