12. Thomas, basta. - Pov Meredith.

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«Dovremmo entrare nella sua stanza e vedere come sta.»

Silenzio. Garrett ci fissa entrambi aspettando che uno di noi muova un muscolo.

«Non ci pensare proprio.» Alex sta scuotendo il capo.

«Ma sei serio. È chiuso lì dentro da due fottuti giorni.»

«E vuoi essere tu quello che ci entra e viene mangiato vivo?»

«Qualcosa dobbiamo farla.»

«Proponi.»

«Chiamo sua madre.»

Schiocco la lingua contro il palato e scavallo le gambe mentre richiudo il mio libro con un tonfo. Mi guardando entrambi. «Sottoni.»

Siamo al Ritz-Carlton, abbiamo preso due suite comunicanti che, messe insieme, sono più grandi di qualunque appartamento nel pieno centro di Toronto.
Dovevamo contenere Thomas, dovevamo trovare un posto che fosse neutro e in cui agire indisturbati e tenerlo sotto chiave ventiquattrore su ventiquattro.

Gli ultimi giorni – o forse dovrei dire settimane – per Thomas sono state incredibilmente stressanti. Mi sembra ancora ieri che ci chiamava per dirci di Marianne.

Poi a Marianne si è aggiunta Mja. Poi si è aggiunta Geneviève. E poi Kelly.

Le donne che girano intorno ai miei migliori amici sono incredibilmente disturbate, è una costante alquanto inquietante devo ammetterlo.

Rinchiuso Thomas nelle suite per evitare che il mondo veda Satana Anderson a piede libero per le vie della tenera e fragile Toronto, scongiurato il pericolo che si sputtanasse da solo anni e anni di sacrifici e merda ingoiata, oltre che sangue sputato, ci siamo messi al lavoro.

Ho la sua delega per la Procura, ho sistemato le ultime cose mentre Garrett (mio fratello) e Alexander si occupavano della questione Marianne. La situazione è sotto controllo, quello che non è sotto controllo è Thomas, io lo ammetto placidamente al contrario dei miei due cuor di leone cacasotto che ho davanti.

«È altamente disturbante come voi due, grandi e grossi, abbiate così paura di uno che urla e blatera.» definire Thomas così è riduttivo, ma serve a ridimensionare la questione agli occhi di Garrett e Alexander. Li guardo con immane disapprovazione mentre mi alzo e sistemo la gonna, andando verso la camera da letto di Thomas.

Sono sempre sicura di ciò che faccio, non ce l'ho veramente un senso della paura e del pericolo come tutti gli altri: il mio è ridotto al minimo indispensabile su parecchie cose, su altre si attiva un allarme silenzioso che mi porta a fare il mio lavoro in maniera eccellente.

Non busso, entro direttamente e mi richiudo la porta alle spalle.

Dentro c'è l'inconfondibile profumo di Thomas mescolato al sentore di whiskey nella penombra forzata, considerando che sono le undici di mattina e fuori è una di quelle giornate limpide, dove un sole pallido si staglia su tutta Toronto. Mi muovo verso le vetrate, prendo i lembi delle tende e le spalanco gettando luce ovunque.

«Cristo, Mer.»

«Alza il culo da terra, Thomas.»

«Puoi, per favore, andartene?»

Ha detto per favore, è già un passo in avanti. «No.»

Il rumore di cristallo che si infrange contro il muro esplode alle mie spalle. Thomas ha appena scagliato il suo bicchiere contro il muro. Alzo di poco il mento e lo fisso. «Avvisami quando dovrei spaventarmi.» 

Lui grugnisce appena, alzandosi in quei quasi due metri di uomo che è. Mi fa tipo riverenza. «Sua Maestà, Ice Queen.» mi appella con quel nomignolo che è vecchio quanto le nostre lauree.

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