10. No, basta così.

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Il casino che è diventata la mia vita non so nemmeno io quantificarlo esattamente.

Per arrivare a chiamare contemporaneamente gli unici tre amici che ho, vuol dire che sono nella merda più assoluta. E, una volta tanto, Jacob è d'accordo con me.

Ogni passo che faccio deve essere ben calibrato, ponderato.

Se da un lato ho questo cazzo di problema con Marianne, dall'altro ho Mja che è diventata una scheggia impazzita.

Mi ha dato fastidio che si senta e si veda con mio fratello? Sì. Dannatamente sì. Fottutamente sì.

Ma la goccia che ha segnato la misura colma è come me lo ha detto: via messaggi, alludendo a chissà cosa. Come se volesse farmi impazzire di gelosia – più di quanto già fossi.

Divento rabbioso quando le cose sfuggono al mio controllo, quando le cose sembrano voler per forza ferirmi in quello spiraglio di umanità che ancora concedo al mondo in un atto di puro masochismo: so quanto cazzo è puttana la vita, eppure quel minimo di spazio lo lascio sempre, fiducioso.

E ancora una volta l'ho presa nel culo.

Silenziosa, la mia rabbia mi sta avvelenando minuto dopo minuto, in questo momento vorrei potermi permettere di urlare ciò che sento come qualunque altra persona e sfogarmi. Ma non mi è concesso. Io sono Thomas Anderson, il controllo è parte integrante del mio essere e, seppur io dentro di me abbia i bombardamenti di una guerra civile, fuori continuo ad apparire controllato e pienamente padrone delle mie azioni.

In quel mettersi in macchina e raggiungere Mja chissà dove non c'è niente di controllato e ragionato, c'è solo una fottuta voglia di urlarle contro quanto cazzo sta sbagliando. Su tutti i fronti, in tutti i modi.

Ho parcheggiato in un punto non troppo lontano da quel patio panoramico di questo ranch dove mi ha invitato, non mi importa nemmeno più di tanto devo dire la verità: in questo momento voglio solo guardarla in faccia e capire che ha da dirmi di così importante.

Lei mi intercetta subito e, non appena sono vicino abbastanza, mi guarda. Uno sguardo nascosto dalle lenti nere dei suoi Ray-Ban. «Sei venuto...»

«Perché non avrei dovuto.» e perdermi l'occasione di parlati dal vivo, ma quando mai.

«Vuoi...?» mi indica una delle due sedute e io faccio un cenno col capo.

Le faccio un cenno con la testa, se mi siedo esplodo ora come ora. Mi appoggio, invece, contro la balaustra in modo da apparire comunque controllato, ma restare in piedi mi permette di riflettere prima di scattare come il mostro che so essere. «Allora.» lei si irrigidisce immediatamente, incrociando le braccia sotto al seno. Cominciamo bene, noto. «Dobbiamo parlare no? Parliamo.» fletto appena il capo verso la mia spalla destra. «Fammi capire cosa ti passa per la testa, anzi» mi gratto la guancia destra con la punta dell'indice sinistro «Cosa credevi di fare quando hai cercato di usare mio fratello per farmi ingelosire.» nella mia testa così è andata.

Lei si alza gli occhiali da sole, liberando finalmente il suo sguardo e mi fissa: ha gli occhi arrossati e un po' lucidi, sofferenti. «Sei in errore, Thomas.» e quando mai con te, Mja.

«Io non credo proprio.» la fisso meglio. «Che hai fatto agli occhi?»

Lei smuove le spalle, non vuole rispondermi. «Niente di importante.» minimizza, smuovendo un po' la testa come a dire un no silente, poi torna a guardarmi. «Volevo solo metterti al corrente di aver conosciuto tuo fratello, senza troppi giri di parole, in un modo carino per dirti che nonostante io abbia trovato lui, ho pensato a te.»

Bel modo del cazzo, Mja, per dimostrarmi che ci tieni. Proprio un bel modo di merda.

«E quindi hai pensato che il modo adeguato di farlo fosse lasciarmi immaginare una situazione ambigua.» l'accuso, sì. «Hai pensato bene di comportarti così.» la indico.

Behind your neverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora