19. Guilty.

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Ogni processo è a sé stante. Le dinamiche possono sembrare le stesse ma non lo sono per niente. Ogni processo ha regole non scritte che conosci nel momento esatto in cui varchi la soglia dell'aula.

È come se l'aria stessa cambiasse, assumendo sfaccettature completamente differenti. Ogni singola persona in aula ti osserva, ti ascolta. Sono lì, pronti a cogliere anche la minima insicurezza e titubanza, come bestie appollaiate sul ciglio della strada che stai percorrendo pronte a scagliarsi su di te pronte a fare scempio della tua vita.

Ci sono processi che, nel quadro generale della tua carriera, puoi anche permetterti di perdere, altri che non puoi nemmeno permetterti di pensarci al fallimento.

Ho portato avanti questi giorni di processo con la consapevolezza di avere sulle spalle un peso immane, quello delle sorti non solo di Mja e di altre donne che sperano e confidano di avere la giustizia che meritano, ma anche il peso delle sorti della carriera politica di mio fratello, nonché della mia stessa carriera. E non solo, perché se io oggi fallisco, il progetto con Alexander, Garrett e Meredith fallisce. Vite intere dipendono dalla mia bravura in questo preciso istante.

Non ho il primo scemo davanti a difendere Matthew, mi sono dovuto confrontare con Morgan Rogers. Suo padre, Christopher Rogers, è stato nel corso degli anni uno degli antagonisti più accesi di mio padre e mio nonno. I Rogers, insieme ai Leblanc, hanno sempre puntato alla nostra rovina e, al già pesante carico di responsabilità che mi porto addosso, si è aggiunto anche questo: non deludere mio nonno.

L'arringa finale di Rogers è stata ben strutturata, ho seguito tutto con estrema attenzione, facendo in modo che Mja avesse ben chiaro che cosa veniva detto man mano che le parole venivano pronunciate.

È stata incredibilmente controllata, non me lo aspettavo. Mi aspettavo di dover ricorrere sistematicamente a Meredith per gestirla, per gestire quelle emozioni che spesso sono così distanti dal mio essere che non so mai come agire se non col mio silenzio.

Meredith si è aggirata intorno a noi in silenzio, osservando e prendendo appunti continuamente e confrontandosi con me dopo ogni udienza. Averla qui significa, per me, avere un altro cervello identico al mio che collabora con me, al mio stesso ritmo e stessa lunghezza d'onda, solo più fresco e meno stressato.

Mja è stava veramente brava. Ha superato l'interrogatorio in maniera brillante, ha mantenuto la calma nonostante io li abbia colti quei momenti di disagio che ha vissuto. La pelle del suo collo, del viso, i suoi occhi non mi mentono mai. Lei è e sempre sarà il mio libro aperto

Nessuno c'è andato leggero dietro quelle finte cortesie tipicamente canadesi, il politicamente corretto imposto dalla presenza onnipresente in aula di mio fratello che ha assistito ad ogni udienza in religioso silenzio.
Questo è il mio campo, è la mia arena.
Qui sono io che ho voce e lui deve fidarsi completamente di me, di ciò che dico e di come lo dico.

«È il momento di lasciare per l'ultima volta la parola all'accusa.» il Giudice Perreault mi osserva. «Procuratore Anderson, a lei l'arringa finale.» Mi cede la parola e faccio un cenno assertivo del capo.

C'è tensione a fior di pelle in me mentre mi muovo, raggiungendo il centro dell'aula lì dove c'è la vera arena di noi avvocati. Il silenzio è denso, carico di aspettative per ciò che dirò. Come condannerò le azioni di Matthew determinerà la mia vita da qui al per sempre.

Abbottono la giacca e mi ergo nei miei quasi due metri di altezza. «Vostro Onore, la ringrazio.» Non ho un tentennamento che sia uno, agli occhi del mondo sono pienamente consapevole e controllato. «Questo è stato un processo lungo, faticoso per le parti in causa. Mi rendo conto che in questi giorni, quest'aula ha accolto ed ascoltato un vero e proprio fiume di parole. Parole, Vostro Onore.» Sottolineo con studiata veemenza. «Le stesse parole che, una dopo l'altra, ci hanno portato ad oggi. Perché non si tratta solo di parole gettate al vento. Noi oggi siamo qui per poter dare potere alle parole.» 

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