6. Jacob Nathan Anderson

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C'è una cosa che bisogna sapere di me: sono un uomo con una vita altamente incasinata, ho molto poco tempo da dedicare a quella che, di regola, dovrebbe essere la mia vita privata.
Ho una vita privata, come tutti ovviamente. Solo che vi dedico molto poco e il fatto che su tutto viene il mio lavoro, non aiuta certo nella socializzazione.

È passata qualche settimana da che ho iniziato quella specie di relazione con Mja. Nel frattempo sono riuscito ad ottenere la carica di Procuratore il ché mi ha riempito di orgoglio, manco a dirlo. Potrei anche essere appagato lavorativamente parlando, mi sono finalmente sganciato dal mondo creato da mio padre, con Alex e Garrett stiamo lavorando a un progetto importante che dovrebbe coinvolgere anche Meredith e, nel frattempo, curo gli affari che la mia nuova carica impone. Il mio curriculum ringrazia, ho appena fatto un balzo in avanti nelle mie quotazioni che altrimenti non avrei avuto. Il mio posto è più solido che mai, dovrei essere appagato e invece. Invece un cazzo. Perché sono nel mio nuovo ufficio, mi sono sistemato qualche giorno fa e mi guardo intorno eppure non sono soddisfatto.

Manca qualcosa. Non so cosa, ma non è abbastanza.

Non mi sento soddisfatto, tutto ciò che ho non mi appaga manco per il cazzo.
Ho più potere di prima? Nì. Se parliamo in suolo canadese, sì. Ho un potere che prima non potevo nemmeno toccare, ma finisce lì perché come ogni carica simile, sono sottoposto al giudizio di persone poste più in alto di me ma con zero capacità di giudizio e talento. La politica, che gioco squisitamente delizioso dato in pasto a persone che non dovrebbero poter gestire nemmeno la propria dispensa.

Ho lasciato la porta dell'ufficio socchiusa, due dita. Non per pigrizia, ma perché ho un appuntamento e sto attendendo che chi aspetto, arrivi. Non si fa certo pregare o attendere, devo dirlo.

«Sono certo Miss, che vorrà farmi attendere, ma gli ricordi che ho un appuntamento e che sono suo fratello maggiore.»

Jacob Nathan Anderson. Mio fratello. La sua voce è inconfondibile per me, la riconoscerei anche in mezzo al casino della parata di San Patrizio di New York. Fisicamente io e Jacob non potevamo essere più diversi da come siamo. Io sono alto, biondo, con i tratti tipicamente Kennedy provenienti da nostra madre. Jacob è il ritratto sputato di nostro padre e nostro nonno. Imponente, alto quanto me, moro con quel poco di brizzolato che fa impazzire le donne, occhi grigi e penetranti che ti scavano nell'anima e sembrano buoni, ma solo se lui è in vena per essere magnanimo e concederti la parte migliore di sé.

«Ah, se viene trattata male, me lo riferisca...»

Juliette, 23 anni, neolaureata ed assistente legale, ha sempre sognato di lavorare per qualcosa di importante. Essere assunta per il nuovo Procuratore non le sembrava vero. Almeno finché non mi ha conosciuto. Da quel momento ho capito che significa leggere il terrore nello sguardo di una ragazzina. Perché per me quello è Juliette, una ragazzina. Ho qualcosa come dodici anni in più di lei.

Mja ha ventotto anni.
Ma ventotto non sono ventitré, è già meglio. Merda.

Muovo dei passi e spalanco la porta. Fisso Juliette che schizza in piedi, Jacob che sta scrivendo qualcosa al cellulare e, quando la sente alzarsi, solleva lo sguardo dal cellulare. Guarda me, Juliette ed infine di nuovo me. Si è rovesciata il caffè addosso nell'impeto del movimento e la sua camicetta, da quel tono cipria che ha lo stesso mordente di un'aringa morta da troppo tempo e per niente attraente, sta diventando completamente trasparente. Ammirevole il suo tentativo di restare stoica e non pensare che la sua camicetta è diventata più vedo che non vedo davanti a noi due.

È Jacob a schiarirsi appena la gola, guardandomi come se volesse dirmi chissà cosa mentalmente. Probabilmente che è un coglione e le stava per fissare le tette.

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