6. "Si vis pacem, para bellum"

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Da ciò che riuscivo a intravedere dalla cella era diventata sera ormai.
Le mie tempie pulsavano ancora, ma almeno non così forte.
Il cavallo si fermò. Il cacciatore anziano venne da me.
<<Muoviti, stupida creatura>>
Mi cacció così violentemente da farmi cadere per terra nel fango. Mi alzai gemendo dal dolore e lo fissai con un odio profondo.
<<Dove la portiamo Signore?>>
<< Buttatela nella prigione accanto alla tenda di Thomas. Dopotutto l'ha catturata lui, è il suo trofeo>>
Oh che meraviglia.
<< Ai suoi ordini >>
Stavamo attraversando l'accampamento: un enorme distesa di tende con i cacciatori e quelle che mi sembravano schiave. Dio, che schifo.
Non pensavo toccassero livelli più bassi di quelli.
Mi guardavano tutti a bocca aperta, alcuni bisbigliavano offese nei miei confronti, altri parole sconce, mentre le schiave...non so, avevano uno sguardo strano, come di compassione.
<<Ti staccheremo la testa!>>
<<Essere immondo! A morte! >>
<<Neanche dovresti esistere, mostro!>>
Mi odiavano tutti.
Passammo davanti quella che doveva essere la tenda del loro Maestro. Su di essa c'era un pezzo di legno con su scritto: "Si vis pacem, para bellum". Il mio latino era alquanto arrugginito, ma sapevo cosa significasse quea frase: "Se vuoi la pace, prepara la guerra".
Quindi era così che funzionava nel mondo umano? Fare la guerra? E per cosa poi?
Mi immobilizzai quando arrivammo alla tenda del giovane cacciatore.
<< Okay Stonk, grazie. Da qui in poi faccio io>>
<<Come vuoi Tommy, è tutta tua>> girò su i tacchi e se ne andò, ma non prima di avermi sputato sui piedi.
Mi guardò in silenzio.
<< Vieni da questa parte >>
Mi condusse nella cella, stavolta di ferro, dietro la sua tenda.
<< Dormirai qui, mangerai qui e berrai qui >> però ma che gentile, e i miei bisogni? Glie li farò sulla tenda mi sa.
<< Ce l'hai un nome?>> Mi chiese. Non glie lo avrei mai detto, dovesse bruciare il mondo.
<<Allora? Non me lo vuoi dire?>> notando che non parlavo andò oltre.
<< E va bene, dimmi un po'..dove si trova la tua casa? Lì dove ti ho presa? O il tuo popolo ha un altro posto in cui si nasconde?>> nessuna parola.
<< Però, non mi sembrava parlassi così poco stamattina. Dov'è finita la tua linguaccia? >>
Al diavolo. Lo fissai dritto negli occhi, con uno sguardo di sfida.
<<Non ci provare. È grazie a me che vivrai, chiaro? E parlerai, a meno che non ti si voglia far infliggere delle torture>>
Niente.
<<D'accordo. Tornerò più tardi col Gran Maestro. Ti voleva vedere e studiare, suppongo>> ci mancava solo il Gran Maestro dei coglioni.
<< Ti porterò del cibo, okay? Anche se non vuoi parlare, non ti farò morire di fame. O, almeno, se a volerlo non sei proprio tu>>
Nonostante la fame, non avrei mangiato. Stavo pensando solo alla mia casa. Oh, zia Khloty...quanto mi manchi.
Il giovane se ne andò, lasciandomi lì da sola. La cella era rettangolare e stretta, chiusa su entrambi i lati e dietro. Non mi sentivo al sicuro, ma sapendo che ormai tutti si stavano per radunare al banchetto non credevo mi venissero a disturbare. Decisi di elencare le stelle, per passare il tempo. Betgeuse, Sirio, Rigel, Deneb, Vega e.... Gomeisa. Il nome di mia madre. 76 stelle dopo, decisi di addormentarmi. L'indomani avrei dovuto trovare un modo per fuggire, non potevo restare lì.
Mai come quella sera, i miei incubi divennero più violenti, più grotteschi e soprattutto inquietanti. Non vidi solo corpi del mio popolo, ma anche dei cacciatori. Delle persone mi gridavano di cercare la chiave. Ma quale chiave? Di cosa diamine parlavano? Forse era un segno? Un segno per aiutarmi a fuggire? O forse stavo solo delirando.

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