Capitolo 2

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Eccola che tornava. Quella sensazione di vuoto immenso. Dovevo essere incazzata per quello che era successo con Fred e invece non provavo niente. Non capivo mai quella sensazione, si avvicinava molto al vuoto, ma non come un cassetto vuoto o il frigo vuoto di cibo, no, quello era un vuoto diverso, il mio vuoto, e non finiva mai, come quello spazio nero in cui correvo nel sogno, infinito.
Continuavo a camminare e cercavo qualcosa da pensare. Era strano. Le persone si arrabbiavano e andavano a fare un giro per non pensare, per liberare la mente. Io invece volevo qualcosa nella mia testa, colmare quel vuoto, riempirlo di qualsiasi cosa, ci avevo provato con un panino e un gelato, ma non aveva funzionato. Provai con la musica, presi le cuffiette che mi portavo sempre dietro e le collegai al cellulare, ma non trovai nessuna canzone che andasse bene con il mio umore. Arrivai davanti al cancello del parco senza nemmeno accorgermene, mentre la musica continuava a rimbombare nelle mie orecchie. C'erano bambini che giocavano a rincorrersi e coppie di vecchietti che camminavano sotto braccio.
― Forse sono vecchia dentro. ― pensai tra me e me. Ero marcia, come se la mia vita avesse già fatto tutto, bruciato ogni tappa, arrivata a quell'età dove ci si siede in poltrona e ci si ferma a pensare alla vita trascorsa, al tempo passato, ai rimpianti e alle soddisfazioni, solo che io nei miei 19 anni di vita non avevo fatto nulla, nei miei anni passati non c'era niente, apparte il vuoto.
―Come può il vuoto pesare così tanto? ― mi chiesi.
Camminavo e fui attratta da un anziano signore su una panchina. Era tenero, vestito in modo elegante, con un fiore in mano, lo guardava e lo girava tra le mani. Aveva le rughe sulle mani, mani di chi aveva vissuto la vita; aveva pochi capelli bianchi, capelli che rappresentavano il suo tempo. Rimasi lì, imbambolata, a guardarlo per qualche minuto. Erano poche le cose che mi colpivano nella mia vita ma lui era così triste, sembrava stesse aspettando qualcuno, forse sua moglie, o forse sua moglie era morta ma lui continuava ad aspettarla. Volevo sedermi accanto a lui ma non volevo occupare quel posto, dove forse avrebbe dovuto esserci sua moglie. Mi guardò, aveva gli occhi lucidi e il mare sulle guance. Mi sorrise. Ricambiai il sorriso e andai via. Mi lasciai trasportare dal vento fino ad arrivare ad un altalena che cigolava. Mi ci sedetti e iniziai a dondolarmi.
Passai le ore intere lì sopra e i miei pensieri caddero di nuovo su quel vuoto. Non era un vuoto qualsiasi. Era il vuoto legato ai miei ricordi, ricordi che la mia mente aveva cancellato. C'era un buco nel mio passato e io non riuscivo a ricordare e mi tormentano per questo, se mi sentivo così era per qualcosa successo in passato, in quel buco della mia mente.
Avevo lo sguardo abbassato e fissavo l'erba quando sentii qualcuno avvicinarsi. Alzai lo sguardo e davanti ai miei occhi c'era quel vecchietto. Mi guardò e mi porse il fiore che aveva tra le mani. Non volevo prenderlo. Quel fiore non era per me, ma per sua moglie.
― Prendilo. ―disse.
Lo presi stando attenta a non rovinarlo e lo appoggia sulle mie gambe.
― I giovani non dovrebbero guardare per terra. I giovani dovrebbero guardare sempre avanti. Chi soffre dovrebbe guardare il cielo, il dolore sarà sempre piccolo in confronto al cielo immenso, e se il dolore o le difficoltà sembrano più piccoli si può superarle con facilità e non avere paura. ― disse sedendosi sull'altalena affianco alla mia.
La sua voce era profonda, ricca, ricca di esperienza, di vita vissuta, ma anche un po' tremante.
― Secondo lei, il vuoto quanto può essere grande? ― guardai il cielo.
― Quanto un granello di sabbia.
― Un granello di sabbia? ― gli chiesi meravigliata. Non mi sarei mai aspettata una risposta del genere.
― Può essere un granello di sabbia se sei tu a dominarlo. Ogni cosa nella tua vita devi essere tu a deciderla.
― E perché allora è così pesante? Come può pesare così tanto da farmi sentire la sua presenza costantemente anche se non c'è? ― chiesi.
― Perché ti manca qualcuno o qualcosa, forse. O magari ti senti sola.
― Tutti sono destinati ad essere felici? ― avevo la grande capacità di saltare da una domanda all'altra senza problemi.
― La felicità non è poi così importante, è solo l'intervallo di tempo tra un male e l'altro. L'amore. Quello è importante. Tutti dovrebbero essere amati e saper amare. ― rispose facendo un triste sorriso.
― E se non si è capaci di amare? ― chiesi.
― Per amare non c'è una scuola, l'amore non si insegna e non si impara. L'amore scoppia dentro, irrompe dentro di te e pretende di restarci, ti sfonda il cuore e si impossessa di esso. L'amore è una cosa naturale. Vien da se. ― rispose alzandosi. ― è tardi, ora devo andare. Grazie per la chiacchierata, piccolo oceano. ― se ne andò dopo avermi accarezzato la testa, lasciandomi così. Cosa voleva dire con piccolo oceano? E davvero tutti erano capaci di amare? Potevo davvero esserne capace anche io?
Quando finalmente la testa iniziò a riempirsi miei pensieri crollarono al suono del mio cellulare.
Un messaggio.
Fred.
"Mi dispiace."
Sapevo quanto gli fosse costato quel messaggio. Era dolce ma anche molto orgoglioso, non chiedeva quasi mai scusa o almeno non faceva mai il primo passo quando litigava con qualcuno. Non con me però, sapeva che se non lo avesse fatto lui, io non lo avrei fatto.
Posai il cellulare. Volevo stare ancora un po' per conto mio e poi preferivo parlare con lui faccia a faccia, quindi decisi di non rispondergli. Ne avremmo parlato il giorno dopo, a mente fredda.
Tornai a casa e andai in bagno, riempii la vasca e prima di spogliarmi coprii lo specchio con un lenzuolo. Era diventata un'abitudine. Non mi guardavo mai allo specchio. Mi faceva male. Mi vergognavo di guardare il mio stesso corpo.
Completamente nuda mi immersi nell'acqua calda su cui galleggiava una nuvola di schiuma profumata.
Amavo fare il bagno, mi rilassava, sentire il corpo avvolto mi faceva sentire al sicuro e soprattutto nascosta dal mondo intero. Ma l'unico bagno che facevo era nel bagno di casa mia. Per quanto amassi il mare non facevo il bagno dall'età di 11 anni, odiavo i costumi, ma vestita ci andavo volentieri, a guardarlo, sedermi in spiaggia e ascoltare tutto ciò che avesse da raccontare, cullarmi nel suono delle sue onde e provare a guardare sempre un po' più in là, oltre l'orizzonte.
Dopo essermi rilassata abbastanza e aver fatto le mani piene di pieghe decisi di uscire. Mi avvolsi nell'asciugamano e mi asciugai. Indossai il pigiama e poi mi diressi in cucina.
― Ciao mamma.
― È quasi pronta la cena. ― mi disse con un sorriso mentre controllava ciò che si nascondeva nella padella.
―Non ho molta fame. ― dissi abbassando lo sguardo e nascondendo le mani nelle maniche della maglietta.
― Almeno un po' devi mangiare.
― Ho mangiato un panino e un gelato mentre ero in giro. ― dissi, anche se al panino avevo dato si e no tre morsi.
― Non importa. ― disse mettendomi il piatto avanti ― non ti fa male mangiare un po' in più, mi sei diventata pelle e ossa.
Mi sforzai di mandar giù qualche boccone e poi aiutai mia madre a sparecchiare e lavare i piatti.
― Buonanotte mamma.
― Buonanotte Marea. Controlla la borsa prima di andare a dormire.
Entrai in camera e ricontrollai ancora una volta la valigia. Sembrava esserci tutto, quindi la richiusi e la posizionai vicino alla porta della mia camera, poi mi gettai tra le coperte. L'indomani dovevo svegliarmi presto.
Dopo essermi girata e rigirata nel letto stavo finalmente per crollare in un sonno profondo quando sentii il cellulare vibrare di nuovo.
Un nuovo messaggio.
Lo lascia lì, tra i messaggi non letti. Ci avrei pensato il giorno dopo.

Vorrei guardarti dormire.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora