Capitolo 30

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Trovai un'altra foto, con tutti e tre, gli zainetti sulle spalle, e tutti avevamo una maglia a mezze maniche arancione con una scritta al centro blu. Sembravamo soldatini.
In quella foto avevo i capelli corti e portavo un nastrino con un fiocco, avevo un sorriso timido e le guance paffute.
Val con una faccia buffa e la lingua da fuori, senza un dente.
Alan con un sorriso sorprendente e una mano sulla testa.
Quante cose si potevano racchiudere in una foto, quante cose si potevano nascondere in un semplice foglio.
Dietro c'era scritto "estate ragazzi 2005". Eravamo così buffi e così spensierati. Ho sempre desiderato tornare bambina, dove l'unica cosa che faceva male erano le ginocchia sbucciate.
Sorrisi guardando quella foto, poi guardai lui. Aveva uno sguardo debole, timoroso.
Appesi anche questa foto al muro, vicino all'altra.
Si spostò dalla finestra.
― Devo andare ora. ― disse. Lo abbracciai e si spostò leggermente indietro e quando appoggiai le mani sulla sua schiena senti i suoi muscoli irrigidirsi e un piccolo verso.
― Che hai? ― chiesi.
― Nulla.
― Stai bene?
― Si, tranquilla. ― disse in modo poco convincente.
― Non sembra. ― era pallido. Toccai di nuovo la sua schiena, questa volta di proposito e di nuovo quel verso.
― Fammi vedere che cos'hai.
― Non ho niente, sto bene. ― disse facendo un passo indietro e allontanandosi da me.
Andai dietro di lui e gli alzai la maglia. Era tutta arrossata, graffiata, in alcuni punti si erano già formati piccoli lividi e la maglia era strappata. Lo accarezzai con le dita senza fare pressione ed ebbe un brivido.
― Sto bene davvero.
― No. Togli la maglia.
― Ma non c'è bisogno che..
― Ho detto togli la maglia.
Se la tolse senza più dire niente, io presi un asciugamano, lo bagnai e glielo tamponai sulla schiena per dargli almeno un po' di sollievo.
― Non pensavo che Val fosse così violento. ― dissi.
― Aspettava da tutta la vita di picchiarmi e l'ho lasciato fare una volta per tutte.
― Perché?
― Perché doveva sfogarsi e avrebbe portato questa cosa dentro per sempre fino a quando non l'avrebbe fatto. ― rispose.
Lo abbracciai da dietro, appoggiai la testa alla sua schiena. Era leggermente accaldato, cosa strana visto che era sempre freddo, dentro e fuori. Doveva essere a causa del rossore.
― Non andartene. ― dissi ancora.
Lo sentii sospirare.
― Sai che non posso.
― Si che puoi, è che non vuoi.
Si voltò travolgendomi e stringendomi forte tra le sue braccia. Era come stare a casa, al sicuro.  Mi stringeva sempre più forte, quasi non riuscivo a respirare. Si allontanò leggermente, mi prese la testa tra le mani e ci guardammo intensamente. Sentivo il viso andarmi in fiamme, mi sentivo a disagio quando mi guardava così. Eravamo vicinissimi e ci divoravamo con gli occhi. Strusciò le sue labbra sulla mia guancia e poi il naso, strinse i denti e respirò forte.

― Non posso. Lasciami andare.
― No.
Ero appoggiata al muro e lui su di me, lo sentivo su tutto il corpo e iniziò ad esserci tensione e una carica immensa. Presi coraggio e avvicinai le labbra alle sue, gliele sfiorai con le mie, piano. Erano calde e volevo assolutamente scoprirne il sapore. Lui sorrise, ma poi si allontanò di scatto, voltandosi e prendendosi la testa tra le mani.
― Se resto qui dentro ancora un po' non resisterò più. Scusami. ― disse nervoso. Si aggiustò la maglia e scappò via lasciandomi lì.
Era come un urgano, veniva, scatenava l'inferno distruggendo ogni mia barriera e poi scappava via. Avevo di nuovo i sentimenti sotto sopra e il cuore in disordine.

Point of view Fred.
Due giorni prima.

Era lì vicino alla porta che mi guardava in silenzio. Il volto teso, le mani in tasca, la mascella contratta e gli occhi fissi nei miei.
― Cosa vuoi? ― dissi.
― Parlarti.
― Non abbiamo niente da dirci. ― sbottai.
― Per favore. ― disse e io rimasi in silenzio ― mi dispiace.
― Troppo tardi Alex.
Ignorò completamente la mia risposta e si sedette sul letto, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani.
― Io..
― Sai come mi sono sentito stamattina quando mi sono svegliato e non ti ho trovato nel letto, accanto a me, dopo la notte che abbiamo passato? Lo sai?
― Mi dispiace, ti ho detto.
― Non basta.
― Sai che non sono bravo con le parole. ― disse.
― Cazzi tuoi. ― risposi ― sono stanco di questo tira e molla, prima mi vuoi poi non mi vuoi, torni, scappi. Fai tutto tu, e io come un coglione ad aspettarti ogni volta. Questa volta basta, non merito questo.
― Non dire così per favore. ― disse, sembrava quasi sul punto di piangere.
"Grande coglione, bastano due lacrime e ti fai convincere di nuovo, bravo." Dissi a me stesso.
― C-come.. Si insomma tu come.. ― sembrava avesse la lingua attorcigliata e non riuscisse a parlare.
― Io cosa? ― chiesi.
― Come sei riuscito ad accettarti? ― disse tutto d'un fiato, lasciandomi spiazzato.
― Per me è stata una cosa naturale, non era un problema.
― Per me lo è.
― Se non accetti quello che sei non posso farci niente e non potrà mai esserci niente.
― Non puoi aiutarmi?
― Come posso aiutarti se non ti accetti? Alex deve essere una cosa che parte da te, non devo ne convincerti ne costringerti.
― Sono combattuto tra quello che non si accetta e..
― E..? ― dissi quasi sussurrando mentre gli guardavo le spalle, non sapevo la sua espressione in quel momento ma la sua voce diceva tante cose.
― E quello innamorato di te. ― disse portandosi poi una mano sulla bocca, come se gli fosse sfuggito, come una molecola fuori controllo. La bocca aveva parlato, lo aveva detto. Al mio cuore mancò un battito.
― Cosa? ― chiesi pensando di aver capito male, avvicinandomi dietro di lui.
Non rispose.
― Ripetilo. ―dissi.
Ma ci fu silenzio. Non dissi più nulla e aspettai.
― E te. Tutto quello che mi piace di te. Mi fotti la testa. Non faccio altro che pensarti, anche mentre ero all'università, pensavo a te, a cosa mi stavi facendo. Ho pensato alle tue mani, a quella notte che abbiamo dormito insieme mesi fa. Ho pensato a quanto fossi bello il mattino dopo, con i capelli in disordine, gli occhi gonfi per il pianto, il segno del cuscino sulla guancia. Quell'immagine mi ha accompagnato per notti intere e non sono più riuscito ad allontanarti dai miei pensieri. ― strinse alcune ciocche dei suoi capelli tra le mani.
― Alex..
― Non dovevo dirtelo. ― disse alzandosi dal letto in preda al panico. Provai ad alzarmi anche io e andargli vicino per calmarlo.
― Hey calmati. ― dissi mettendogli le mani sul petto. Non mi guardava, evitava il mio sguardo a tutti i costi.
― Dillo ancora. ― gli chiesi appoggiandomi a lui.
― Non farmelo ripetere, è già difficile così. ― disse. Era teso.
― Hai il profumo più bello del mondo. ― gli dissi in modo dolce ― mi piace così tanto che quella notte, quando mi hanno picchiato,  ho come avuto l'illusione che tu fossi lì con me.
― Io.. Ero lì con te. ― disse.
― Lo so, ti ho sognato. ― dissi.
― Non hai capito ― disse mettendomi le mani sulle spalle e guardandomi poi negli occhi ― non hai sognato, io ero lì davvero, ero lì a prendermi cura di te. ― disse poi abbracciandomi.

Vorrei guardarti dormire.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora