― Si prende sempre i fiori più belli, e poi li spezza. ― disse Val ― usa le ragazze come uno spazzolino, poi quando si stanca le butta via, e cambia spazzolino. ― continuò con un sorriso amaro che trasmetteva disprezzo.
Nei suoi occhi passò un lampo e il suo viso cambiò espressione. Se l'ansia avesse avuto un'espressione sarebbe stata di certo la sua.
― Sono le ragazze stupide ad andarci a questo punto, le cose si fanno in due, comunque ripeto, non sono interessata a lui. ― risposi, alzandomi e portando il piatto dentro per poi uscire di nuovo fuori chiedendomi perché l'avessi difeso pur non sapendo nulla di lui. ― Vado a fare un giro, a dopo. ― dissi. E ovviamente passai prima per il bagno per la solita routin che si stava impossessando un po' alla volta di me e il controllo della situazione stava per sfuggirmi di mano.
Provai a calmarmi per poi uscire e andare verso la spiaggia.― Cosa ti hanno detto? ― disse la sua voce dietro di me. Voltai leggermente la testa e lo guardai. ― Niente che non sapessi già. ― risposi con un sorriso amaro. Ripresi a camminare con il suono della sua voce che galleggiava nei miei pensieri. Senza accorgermene arrivai sulla spiaggia dove c'era Fede distesa al sole. Lei era la classica ragazza, piccolina, magra che quasi si spezzava quando l'abbracciavi, una cascata di capelli lunghi e rossi, e gli occhi castani. Ma non era come tutte le altre. Lei era lei, e nessun altro. Notò che la stavo guardando, e mi fece un sorriso, così, lentamente mi avvicinai.
― Tutto bene Mare? ― mi chiese con lo sguardo dolce.
― Si.
Mi guardò, sapeva che non avrei detto altro, il mio era sempre un "si, sto bene" e niente più. ― Ti va di parlare un po'? Dai siediti. ― disse, facendomi spazio sull'asciugamano.
Rivolte verso il mare lo ammirammo in tutta la sua bellezza.
Io e lei parlavamo poche volte, ma quando lo facevamo ci raccontavamo tutto, o meglio, lei mi raccontava tutto, io come sempre ascoltavo e assorbivo ogni piccola notizia, anche quella più insignificante. Ero un suo punto di sfogo, e io mi sentivo come il suo diario personale, scrivevo tutto quello che diceva dentro di me, custodendo tutto come se i suoi pensieri fossero i miei segreti.― C'è un visino triste sotto quella maschera. ― dissi osservandola appoggiando una mano sulla sua per rassicurarla ― cosa succede?
― Il solito. ― rispose secca, quasi in segno di rassegnazione.
― Cos'è successo 'sta volta? Dai sputà il rospo.
― Niente. È questo il punto. Non succede mai niente. Non c'è mai una svolta, mai un passo avanti, e nemmeno indietro, ferme lì a farci del male. Ferme sempre su quel filo, e non sapere mai quale scelta prendere, se andare avanti o stare lì ad aspettare, non sapere quale sarà il prossimo passo o se, ogni volta, quello che mi da è l'ultimo abbraccio. Sono così stanca, Mare.
― L'amore fa questo. ― dissi.
― No. Io e lei non siamo amore. Non siamo niente. E lei non prende una decisione. Non sa in che direzione andare, e io sono costretta a stare qui, ferma, perché la amo, e preferisco averla anche solo come amica, piuttosto che perderla.
― Dovreste chiarire una volta per tutte. Così vi fate solo del male. Potresti farla venire qui e parlare un po'. Restare così ferma non ti servirà.
― Davvero posso? ― chiese con il sorriso negli occhi, e scivolò via anche quella maschera triste che aveva sul visto qualche secondo prima.
Io annuii. ― Ma certo, e poi mica devi chiedere il permesso, sei libera di invitare chi vuoi qui.
― Grazie. ― mi disse saltandomi addosso e abbracciandomi.
― Di nulla piccolina. Ora vado, se hai bisogno sai dove trovarmi. Tu chiamala e fammi sapere.― dissi facendole l'occhiolino e mi alzai per tornare in casa. Poi mi voltai di nuovo nella sua direzione ―e comunque ogni volta che ti abbraccia stringila sempre un po' più forte in modo che se sarà l'ultimo abbraccio almeno ci hai provato a trattenerla. ― dissi e lei sorrise.
Mi sentivo stanca e avevo bisogno di riposare, il mio corpo era debole, le ore di sonno che avevo addosso erano poco e non davo modo al mio corpo di nutrirsi o prendere energie visto che tutto quello che mangiavo lo vomitavo.
Lui era seduto di nuovo lì. Mi si strinse il cuore. Sembrava così solo e triste. Quando alzò lo sguardo, e i nostri occhi si incontrarono, al mio cuore mancò un battito. Le mie gambe presero a camminare senza che me ne accorgessi, e mi ritrovai seduta sulla panca di fronte alla sua. I miei pensieri crollarono, e mi domandai come fossi arrivata lì. Alle mie gambe non arrivò il segnale del cervello che diceva che dovevo fermarmi e tornare indietro.
Lo guardai imbambolata. Aveva una canotta bianca, che metteva in mostra le sue braccia forti. ― Come ti chiami? ― chiesi tutto d'un fiato, pentendomi poi di aver parlato, ma tanto ormai ero lì e di certo non potevo star zitta e guardarlo. Nel suo sguardo ci fu stupore e delusione. Cosa si aspettava?― Alan. ― freddo.
Ci fu silenzio. Accarezzavo il suo corpo con il mio sguardo, e a lui sembrava che non dispiacesse. Aveva la pelle chiara, e le vene leggermente in mostra nella parte interna delle braccia. Un bracciale in pelle, nero, gli circondava il polso. Speravo dicesse altro, volevo sentire ancora la sua voce dolce ma al tempo stesso forte.
― Dalla tua faccia sembra che tu non abbia mai visto un ragazzo meraviglioso. ― disse ammiccando un sorriso ma con lo sguardo serio.
― E nemmeno un ragazzo con un livello di autostima fuori dalla norma. ― sbottai guardandolo male.
― Ho un bel corpo, tutto qui. Può sembrare perfetto. ― rispose gesticolando con una mano.
― Ah. Pure modesto eh.
Sorrise, e a quella visione mi paralizzai. Era un sorriso diverso da tutti quelli che aveva fatto in questi giorni, era un sorriso che avevo già visto una volta, ma non ricordo quando. Era un sorriso da bambino. Gli si formò una fossetta sulla guancia sinistra, e come in un mare, mi ci tuffai dentro.― Infatti ho detto che può sembrare perfetto. Ma non lo è. ― disse. A quelle parole il sorriso scomparve, e tornò la solita espressione di sempre. Si era leggermente irrigidito, e aveva i muscoli tesi, quasi come se fosse in allerta.
― Quanti anni hai? ― chiesi.
― 21. ― le sue risposte erano brevi e dirette. Rimasi leggermente colpita. Era più grande di tutti noi.
― Non li dimostri. ― risposi stupita.
― Lo so. ― disse.Mi arrivò un messaggio sul cellulare. Era Fred.
"Cosa ci fai lì? Vieni via."
Sentivo il suo sguardo su di me. Mi alzai.
― Devo andare scusa. ― e camminai di qualche passo, scesi i due gradini in legno.
― Ciao, Marea. ― disse guardandosi le mani per poi prendere una sigaretta.
Mi voltai di scatto. Come faceva a saperlo? Io non gli avevo detto il mio nome, e in più nessuno mi chiamava Marea a parte mia madre.
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Vorrei guardarti dormire.
RomantizmMare ragazza difficile, fatta di paranoie. Un corpo che all'apparenza può sembrare vuoto ma in realtà è pieno di emozioni che lei stessa non conosce, ma soprattutto una mente piena di ricordi e segreti che il suo cervello ha annullato. Alan un ragaz...