La verità (Parte 1)

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Adam



Sarebbe stato bello... Oh si quanto mi sarebbe piaciuto scrivere queste emozioni, vivere e farle vivere grazie al mio ciondolo. Purtroppo però sono rinchiuso in questa cella da anni. Tutta una vita passata qui dentro a guardare quel teschio che mi fissa. Sono stato stupido, non dovevo creare i Nobasa. Il loro Re Defeugi mi tiene rinchiuso qui. È così stupido da non essere riuscito a capire a cosa serve il ciondolo. Per lui sono passati pochi anni... per me, tutta l'esistenza. Ho reso i loro spiriti immortali. Sono riuscito a creare un'altra realtà, anche se non è mai esistita. Vorrei solo uscire da qui, ma sono troppo vecchio e stanco. Mi lascerò andare. Lascerò che gli anni strappino la mia voglia di vivere. Ho creato un mondo vasto anche senza il ciondolo. Perché la verità è che la fantasia mi ha dato il respiro. E ora me lo sta togliendo. Spero solamente che non si sgretoli tutto alla mia morte. Mi piacerebbe lasciare i sentimenti. Gli amori e gli odi in questo mio mondo. Fatto sì, di guerre. Ma anche di pace. Sapevo che dare un'anima a ogni creatura avrebbe fatto si che finisse tutto nei migliori dei casi. Finendo in modi inaspettati. E iniziando con me, rinchiuso, che chiudo gli occhi. Sperando sia per sempre. Perché il dolore di non aver vissuto io in prima persona tutte le mie avventure mi affligge il cuore. Lo stesso che sento rallentare sempre di più. Fino a che non emetto il mio ultimo respiro. Lascio che il mio spirito si dissolvi nel nulla, ma rimango con un fievole sorriso. Capendo che non ho buttato la mia vita, perché ne ho donate molte altre...

Mi sveglio di colpo in un letto di ospedale. Un attimo prima sono morto. E il secondo dopo, eccomi qui. Confuso e disorientato. È mai possibile che sono tornato nella mia realtà? Non capisco più niente. Vedo solo un'infermiera che mi guarda, con occhi spalancati. Prima di saltare di gioia urlando «Si è risvegliato dal coma!» Io non capisco cosa voglia dire. So solo che qui l'aria è diversa... più pesante. Più sporca.

Sono... anzi ero, prima che la sala si riempisse di infermieri a controllare i miei sintomi vitali. In una stanza vuota. Isolato da tutti e tutto. «Ricordi il tuo nome?» Mi chiede il medico.

«Z... Zalea?» Chiedo, perché ormai non sono più sicuro di nulla. Lui mi dice che sono ancora confuso. Dopo tutto sono passati otto anni. Non ce la faccio a chiedere di cosa stesse parlando, perché crollo di nuovo dalla stanchezza.

Quando mi risveglio mi ritrovo d'avanti tre soldati... ma cosa dico. Prendo un secondo di lucidità. Loro sono guardie. Vestite in nero con cravatta e camicia. Cosa vogliono da me? Mi ordinano di vestirmi. E mi dicono di non fare domande. Io obbedisco, sono confuso e spaventato.

Lasciamo l'ospedale con le infermiere che ci dicono che non posso uscire prima degli accertamenti. Loro prendono una pistola e gliela puntano contro. Lei terrorizzata ci fa passare. «Tu sei Adam, ricordi nulla prima del coma?» Mi chiede un agente subito dopo che mi fanno entrare in una macchina.

«Dove mi trovo, chi siete voi?» Chiedo ancora più confuso. Loro mi spiegano che da ora sono sotto la tutela del "Cubo". Mi spiegano che il ciondolo che ho al collo nasconde un grande potere e che non possono farmi girare indisturbato per Nayoshi: dicono che è la città in cui mi trovo.

Io stringo il mio ciondolo tra le mani. Ora è di nuovo con me finalmente. Non me lo farò strappare mai più. Mi chiedo solo quale utilità abbia in questa realtà.

Mi raccontano dell'incidente con la macchina avvenuto poco più di otto anni fa. E di come sono stato trovato mezzo morto pochi metri più lontano. Con mia mamma che mi abbracciava, stringendo un ciondolo tra le mani e emanando gli ultimi suoi respiri. Dicono che prima apparteneva a lei. E ora è mio.

Guardo il riflesso della mia faccia sul finestrino. Quindi è così che sono realmente? Una leggera peluria mi accarezza il volto spigoloso. Non ho più i lineamenti di prima. Ora sono diverso. Sono... reale. Metto a fuoco il mio sguardo fuori dal finestrino. E vedo ordine, troppo ordine. Sembrano tutti dei robot. Sia le mie guardie. Che là fuori. Chiedo loro come mai tutto questo. E loro mi spiegano che tre anni dopo la mia morte, è salita al governo una dittatrice che pretende la pace. Proibendo il libero arbitrio, e lo fa grazie all'aria che ha modificato con dei nano-robot. In poche parole non esiste più la vita come la ricordavo. Non che io ricordassi veramente qualcosa.

Dopo due ore di cammino ci siamo allontanati dalla città. Siamo in un'autostrada sul deserto. Nel bel mezzo del nulla ci fermiamo e scendiamo tutti... Una guardia dal suo palmare preme un tasto e digita un codice. E dal nulla si materializza una struttura altissima. Sembra esattamente un cubo interamente bianco. Entriamo all'interno di quell'enorme edificio, sembra che le interiore di questa struttura contenessero altre decine e decine di stanze a forma di cubo, è completamente bianco anche all'interno, di un bianco acceso e senza neanche un macchia sui muri, fatti di un materiale simile alla plastica, ma più spessa. Attraversiamo un lungo corridoio avvolti dal silenzio più totale, solo i rumori dei nostri passi echeggiano tutt'attorno. Mi giro per vedere in lontananza la porta da dove posso scappare, ma qualcosa mi dice che questo è il mio posto. I miei occhi si soffermano sulle nostre orme sporche sul pavimento, che lentamente schiariscono fino a scomparire. Non capisco quale stupido trucco usassero per fare tutto questo.

Nel frattempo arriviamo di fronte a delle scale a chiocciola che portano verso i piani superiori. Appoggio il piede per superare e lo scalino si abbassa di poco meno di una decina di centimetri. Non capisco cosa lo tiene sospeso a mezz'aria. Ma non faccio domande, qualcosa mi dice di non spezzare il silenzio che ci circonda. Non so cosa vogliono questi uomini da me, forse voglio usarmi per qualche scopo. Io non ci sto capendo più niente, eppure dai loro volti sembrano sicuri e con piani che non riesco a comprendere. Camminando arriviamo verso una porta senza maniglia. Uno dei miei "sequestratori" mi dice di appoggiare la mano sinistra sulla porta, io obbedisco senza fiatare, ed essa si apre scorrendo nella parete. Qualcosa mi dice che lì dentro sono libero. Sono in pace con me stesso e verso tutti. Entro nella stanza dopo un leggero sguardo intorno, le pareti sono composte da tanti cubi più piccoli, tutto questo avrebbe dovuto terrorizzarmi, ma invece mi incuriosisce. Faccio un passo e dietro di me si chiude la porta. L'aria nella stanza è diversa da quella nel corridoio. È più densa. Riesce ad appesantirmi la testa, i pensieri. Non capisco cosa la facesse diventare così pesante, eppure attorno non si sente nessun odore. È come trovarsi in una specie di paradiso senza angeli. Senza Dio. Non ho il desiderio di scappare, non provo ad aprire la porta. Nella stanza c'è solo un letto, mi ci avvicino e mi ci siedo sopra, è tutto bianco e un comodino dello stesso colore affianco. Sopra d'esso c'è un bicchiere d'acqua. Allungo la mano e lo prendo, mi sembra veramente tutto così surreale. Bevo un sorso d'acqua, è molto densa, sembra un succo di frutta con la polpa. Eppure è insapore. Ha solo un leggero retrogusto amaro... D'un tratto i miei occhi si appannano, vedo come se attorno ci fosse solo nebbia. Forse mi hanno avvelenato. Ma dura poco, credo una decina di secondi, forse di più. Quando riprendo la mia vista vedo sul comodino due riviste. Apro la prima, quella sopra all'altra. Dentro ci sono foto di persone morte assassinate. Non voglio guardare più quelle immagini, ma non riesco a chiudere la rivista. Qualcosa mi blocca. E tutto questo mi fa arrabbiare, non ho più il potere sul mio corpo. Una ad una giro le pagine, ho gli occhi spalancati, ma non riesco a chiuderli. Qualcuno mi sta controllando, ma come? Finisco di leggere quella rivista e mi sdraio sul letto con quelle immagini macabre che mi girano per la testa. Chiudo gli occhi un secondo, quando li riapro tutti i cubi della stanza emanano un strano bagliore, una luce calda che riscalda la camera. Non mi alzo dal letto, rimango lì, avvolto dal calore, fino ad addormentarmi. Quando mi sveglio, la rivista che ho letto è sparita, e con se i suoi ricordi. Senza indugiare prendo l'altra rivista, parla della dittatrice. Di tutte le sue leggi, di come ha fatto a salire al potere. E di quante persone ha ucciso. Nel frattempo vedo davanti agli occhi tante immagini di gente morta, che ricollego alle sue vittime. Ma che in realtà non sono riportate. Sono solo tante pagine piene di scritte, che io leggo tutto ad un fiato senza chiedermi perché le stia leggendo. Dopo averla letta tutta la chiudo e mi fermo a guardare il volto della dittatrice sul retro della rivista. La sua faccia mi fa rabbia, una rabbia che sa di odio puro. Io non ci sto a queste leggi che ho letto, io non voglio seguire quel presidente. Rimango seduto un altro po' sul letto fino a che perdo i sensi dal troppo nervosismo, un sentimento che prima provavo ma non era mai stato così denso. Al risveglio trovo tutti i cubi della stanza da letto accesi, trasmettono immagini, o meglio, sono delle specie di televisori che ritraggono la governatrice che parla, inizialmente non si sente niente. Ma pian piano tutti i piccoli televisori prendono voce, poco a poco sempre più ad alto volume, fino a farmi scoppiare le orecchie, mi alzo dal letto e mi inginocchio su me stesso tappandomi le orecchie. È come se il tutto viene ripreso da una telecamera esterna al mio cervello. Vedo il mio corpo inginocchiato che soffre e urla di smetterla. Poi d'un tratto mi concentro su un solo schermo. E di colpo tutte le altre voci smettono di parlare. I miei occhi tornano nelle mie cavità e vedo solamente una TV, una dopo l'altra le scruto tutte, provando amarezza e sconforto. Per poi perdere di nuovo i sensi sul pavimento. Una di quelle fa vedere la mia famiglia... Ce mio padre, mia madre e me. Come fa mia mamma a essere lì se è morta? E come posso stare in due posti differenti? Quelle scene non appartengono a nessuno dei miei ricordi...

ELOGARD: Il Ciondolo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora