Introduzione

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Zalea


Due settimane. Due dannate settimane rinchiuso nella mia stessa prigione. Solo un pezzo di pane raffermo e un bicchiere d'acqua ogni tanto mi continua a tenere in vita. Ma come posso vivere dopo aver costruito questo tremendo errore. Dopo aver creato i Nobasa: sono tenebre senza corpo, l'unico modo per far del male è impossessarsi di armature e armi. E' questo che li tiene in vita. Li rende reali. E pensare che sono stato io a fornirgli questo potere. E ora vogliono condannarmi, e per cosa poi? Non lo so. Aspetto il mio processo dietro queste squallide sbarre. Non capisco da dove viene il fetore, se da me, o dalle mura ammuffite di nero. Nell'angolo della prigione c'è un buco, tutto ciò che entra dentro di me, esce e va dritto in quella flatulente fessura rotonda, e credetemi, non è facile centrarlo con il buio della cella. Credo sia anche quello a rendere tutto così insopportabile. La puzza che entra nelle mie narici e mi stordisce. Ma lotto, avrò un processo equo. Credo. Anche se questo non è nella natura delle tenebre... dopotutto non possono uccidere loro padre, la persona che li ha creati uno dopo l'altro, o almeno spero.

Tutto è iniziato perché ho rivelato il potere del ciondolo alla persona sbagliata. Il mio migliore amico Cuteca. Un ragazzo basso e mingherlino con gli occhiali rotondi e balbuziente. L'ho voluto creare così perché sarebbe sembrato più innocuo, più fedele, insomma. Ma da mesi ormai i suoi occhi si sono spenti di un bianco pallore. La sua iride azzurra nasconde dietro di sé il potere delle tenebre. Infatti, pian piano, esse sono diventate più potenti, e riescono non solo a impossessarsi di oggetti, ma anche di persone e ora non so più di chi fidarmi. Cuteca mi ha chiesto per la prima volta dopo anni a cosa servisse il ciondolo che tengo al collo. E io stupidamente gli ho rivelato che nasconde un grande potere. Senza aggiungere altro. Ma è bastato per farmi venire a cercare nella mia stessa casa dai Nobasa. Ricordo che nel tentativo di uccidere Cuteca, che abita affianco a casa mia, gli hanno distrutto l'abitazione: una struttura modesta, fatta di legno e mattoni. Del resto tutta la mia città è povera. L'ho resa così per rendere gli abitanti più ricchi d'animo; ed è stata quella ricchezza a liberare Cuteca dalle tenebre. Ha lottato e ha vinto... Quando stanno per ucciderlo, mi impunto e dico a loro, tra gli sguardi stupiti della folla «È me che cercate, lasciatelo stare.» Con i piedi ben piantati a terra, lo dico senza urlare, stringendo i pugni, convinto della mia affermazione mi avvicino a un'armatura impossessata e gli appoggio una mano sulla spalla per farlo girare verso di me. Lui girandosi mi da uno schiaffo che mi fa volare per terra. Poi mi prendono e mi conducono in questa prigione. So che Cuteca non ha colpa, e non ricorda che le tenebre si sono impossessate di lui. Però ricorda, come tutti i presenti, come mi strappano il ciondolo dal collo, mi caricano in spalle e si allontanano dalla città per poi utilizzare il vaso dove hanno rinchiuso la nebbia del trasporto e condurmi qui. Tra queste quattro mura troppo strette per sgranchirsi le gambe.

Vedo un Nobasa portarmi un pezzo di pane. Mi alzo dall'angolino dove sono seduto e mi avvicino alle sbarre, gli afferro il polso dell'armatura e gli dico «Ricordati che sono il tuo padrone!» e lui mi risponde in Esugi Antico: "Mie mim uzeuli nucqime!" Una lingua che ho creato con il corso del tempo. Mi attacca dicendomi che le tenebre non hanno padroni, ma solo un capo: parla di Dufeigi. Il governante delle tenebre. L'ho reso così potente da poter sottomettere gli altri Nobasa. Lo stesso che mi sputa sopra il pezzo di pane e me lo butta per terra. Lo afferro e glielo lancio contro attirando la sua attenzione, mi grugnisce e se ne va. Non ricordo di averli resi così spaventosi, ma di una cosa ne sono certo. Sono molto stupidi e sarei riuscito a cavarmela.

Per i restanti otto giorni non mi danno né acqua né cibo e inizio a perdere la ragione. Sono stanco e l'oscurità di quella cella inizia a pesarmi sulle spalle. Resto per i primi cinque giorni seduto nel mio angolo pulito nonostante la muffa. Solo una piccolissima finestra, in alto e sbarrata mi porta luce. Giorno e notte. Questo perché ho realizzato il castello di Dufeigi all'interno di un cratere attivo. Le prigioni ai lati; e i piccoli villaggi sopra l'immenso vulcano. Gli ho dato un cuore pulsante e avrebbe eruttato solo se qualcuno, in qualche modo, lo avrebbe offeso, o danneggiato. E per i restanti tre giorni resto fermo a chiedere aiuto alle tenebre, chiedo loro di liberarmi. E funziona. O almeno è un inizio quando mi dicono che è arrivato il momento del processo. Un Nobasa mi apre la cella e mi tiene il braccio strattonandomi verso un ponticello di legno sottile e malmesso. Tenuto su da sottili funi. Mi chiedo se ci avrebbe retto. Lui è dietro di me, provo prima appoggiando un piede su quel legno marcio, ma la tenebra mi spinge e iniziamo a camminare lungo quel ponte traballante. Vede che ho paura, così gioca con me facendolo oscillare leggermente. Piego le ginocchia per mantenere l'equilibrio e gli dico seguito da una risata sarcastica «Molto divertente.» Durante tutto il tragitto sento il calore alzarsi sotto di me, e ascolto il ribollire del minestrone, l'unica cosa che lo differenzia è che uno è gustoso mentre l'altro può uccidermi risucchiandomi nella lava. Ho il terrore di cadere, ma arrivati al di là del collegamento di legno, camminiamo passo dopo passo verso le porte del castello. Più ci avviciniamo più mi rendo conto della maestosità di quel che ho creato. Una fortezza oscura costruita su massi, con cinque angoli, con le loro estremità legate da torri. Sopra di esse ci ho costruito dei tetti rotondi e alle punte espongono bandiere infuocate. Bruciate dal calore della lava. Il tutto costruito su un enorme colonna di pietra e terra che fuoriesce dal cratere. I ponti conducono alle prigioni, costruite in torri più basse e più larghe. Mentre al di fuori del vulcano, con un ponte di pietra ben saldo al vulcano e al castello che lo lega, sopra la sagoma ricoperta di strati di terriccio, nascono statue che ritraggono enorme spade di legno bruciato, e totem altissimi: all'apparenza vuoti e senza uno scopo preciso, ma è lì che camminano gli spiriti delle tenebre. Il tutto legato da funi ammuffite e stracci strappati, così quando un tessuto si sposta. So che una tenebra è passata per di lì.

Arriviamo davanti al portone di metallo gigante, grande il doppio di me. Con due draghi a fare da maniglia. Il Nobasa bussa e la porta si apre come per magia, come mi sono prefissato accadesse.

«Da qui in poi, dovrai andare da solo.» mi dice con voce rumorosa. Dalla sua bocca si sentono più anime per volta.

«Sì, conosco la strada...» gli dico, guardandolo svanire davanti a me e lasciare l'armatura cadere per terra. E' di colore viola scuro, quasi come un tramonto nel bel mezzo della notte. Ho reso possibile tutto questo. Un tramonto notturno a fare da aurora boreale sopra un vulcano. Le armature hanno un elmo fatto con sembianze della testa di un leone. Mentre il busto è molto più grosso e spigoloso con dei coni a punta di dente di drago sulla schiena. I gambali e le braccia più sottili e lunghi rispetto al corpo, e dei piedi molto più lunghi del normale.

Oltrepasso l'entrata... i miei passi creano piccole chiazze infuocate per terra, su un tappeto blu dai contorni rossi. Il telo porta in ogni stanza del castello, con lunghi corridoi vuoti. In ogni stanza una serie di armature o armi di ogni tipo. Una in particolare mi piace. E' vuota, totalmente deserta, senza una moquette e dalle pareti rocciose lisce e grigie, con un'energia nera che passa tra una fessura all'altra: sono i Nobasa che dimorano quella stanza. Mi piace perché è un simbolo del vuoto che copre questo vulcano. Seguendo quel telo colorato che si consumava in cenere dietro i miei passi vedo in lontananza Dufeigi, il loro Re che mi applaude vedendomi arrivare. Non capisco il suo gesto, sento echeggiare il tocco delle sue mani per tutta la sala. Ai suoi lati davanti a lui ci sono due possenti armature a fare da guardia con delle spade come scudo, più robuste delle altre che quando mi vedono avvicinarmi spostano le armi facendomi vedere il loro Re: senza elmo ma con uno spirito talmente forte da formare un volto di pura paura.

«Non vedo la giuria...» dico e l'eco mi segue dopo essermi inchinato esageratamente in modo vanitoso. Voglio prendere in giro la sua altezza.

«Io sarò tutto ciò di cui ti serve.» mi conferma quel che già immagino. Poi aggiunge con gran tono «Sei accusato di alto tradimento!» Mi arriva il suo alito flatulento dritto in faccia.

«Serve una mentina?» gli chiedo ironicamente.

«Al quanto pare la prigione non ti è servita. Rispondi o tacerai per sempre!»

«Calmino, mia altezza regale. Sono qui per rispondere alle vostre domande.» mi inchino di nuovo davanti a lui, mettendomi in ginocchio. Capisce che lo sto prendendo in giro. Ma come posso non giocare con lui? L'ho creato io dopotutto.

«Farò finta di non aver sentito. Stolto!» mi aggredisce con la voce, alzandosi dal trono e girandomi intorno. Mi chiede «Sei accusato di tradimento per stare dalla parte della luce, come ti dichiari?»

«Vorrei puntualizzare una cosa. Re.» poi gli spiego con un sorriso sotto i baffi che non ho, che tecnicamente ho tradito la luce con le tenebre, avendo creato prima loro.

«Tu? Creato cosa?! Sei solo un ragazzino.» poi estrae da non so cosa, forse dal fondo schiena dell'armatura, il mio ciondolo «È forse questo il suo potere?» mi chiede facendolo volteggiare a destra e a sinistra.

«Quello? E' un cimelio di famiglia, niente di più.» gli mento, facendo un passo come per afferrarlo. Lui lo tira verso di se e scoppia a ridere, dicendomi: "Non so quale potere nasconde, ma lo scoprirò." poi dice alle sue guardie di portarmi nelle celle del castello, ma oppongo resistenza.

«Io sono Zalea! Non sai con chi hai a che fare!» urlo mentre mi prendono con la forza e mi portano in prigione. Non è la mia vecchia gabbia, lo capisco dallo scheletro che giace per terra. Non ricordo di averlo mai creato, e tutte le creature che muoiono ritornano magicamente come inchiostro nel ciondolo magico. Lo avrò creato per incutere paura, e ci riesce. Un filo sottile di brivido mi scorre dietro la schiena. Resto lì e mi rendo conto che forse ho fatto male a fare lo sbruffone con Dufeigi. E che sarei morto tra quelle mura. Proprio come quel finto scheletro. Penso che forse mi è sfuggito tutto di mano, che per creare la storia perfetta ho distrutto la mia nuova realtà. E adesso invece mi trovo in una cella dal soffitto sgocciolante: quel rumore mi piomba nelle orecchie come un tuono a ogni goccia che cade e si schianta sul pavimento, ha formato una chiazza umida per terra e spero non mi raggiunga mai altrimenti mi sarei bagnato di quell'acqua lurida, e il tutto sarebbe diventato più insopportabile.



ELOGARD: Il Ciondolo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora