Capitolo 9

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20 Ottobre ore 8.00, lei

Come ogni mattina stacco la sveglia prima che possa svegliare Michele. Ieri è tornato così tardi che non l'ho nemmeno sentito rincasare. Dovevo già dormire sodo. Questa sera c'è il rinfresco per i Clooney e mi sento così agitata che mi tremano le mani. Entro in doccia ma nemmeno il getto caldo dell'acqua riesce a rilassarmi. Indosso il mio tailleur nero preferito e perdo più tempo del dovuto per acconciarmi i capelli e truccarmi anche perché le mani non smettono di tremare. Vado in cucina e aziono la macchina del caffè. Pallina si struscia tra le mie gambe in cerca di cibo, lasciandomi tutti i peli bianchi sul pantalone scuro.

<Buongiorno> Michele mi saluta con la voce ancora impastata dal sonno.

<Ciao> finisco di dare da mangiare al nostro gatto poi mi volto. E lo vedo. Il viso di Michele è tumefatto da un enorme livido nero che gli corre da uno zigomo all'altro. Il naso è incerottato per bene e ha le narici ancora sporche di sangue. Gli vado incontro preoccupata.

<Che ti è successo?> chiedo esaminandolo più da vicino. Michele distoglie un attimo lo sguardo poi torna su di me.

<Niente, un paziente disturbato> mente. Riconosco le sue bugie. Ma perché farlo?

<Come è successo?> indago cercando di scoprire la verità. Distoglie ancora lo sguardo per un attimo. Sta per dire un'altra bugia.

<È stato un paziente di psichiatria per immobilizzarlo mi ha colpito.>

<Capisco> cerco di mascherare il mio sospetto.

<Doveva essere bello grosso> mormoro. Michele è molto alto e muscoloso.

<Cosa vuoi insinuare?> sbotta lui ad un certo punto.

<Niente>

<Ah no, perché mi sembrava che volessi intendere qualcosa> mi continua a guardare in cagnesco. È raro che Michele perda la pazienza con me quindi non posso fare a meno di restare a bocca aperta.

<Dico solo che sei alto un metro e novanta, il tizio che ti ha colpito doveva essere parecchio imponente per arrivare al tuo naso mentre si divincolava> spiego cercando di restare calma.

<Lo era> taglia corto lui, socchiude gli occhi fino a due fessure studiandomi. Sospiro poi mi avvicino, lo abbraccio e lui sembra sciogliersi.

<Senti, non ho voglia di litigare. Oggi ho il catering per i Clooney e sono molto agitata>

<Quindi oggi non ci sei?>

<No perché?>

<Io sono a casa pensavo potessimo stare un po' insieme> mi stringo nelle spalle.

<Mi dispiace ma non posso.> lui sbuffa. <Non ci sei mai> gracchia.

<È da circa un mese che ti ripeto che oggi avrei avuto questo ricevimento e quanto è importante per me.>

<Vedo che hai ben in mente le tue priorità> borbotta. Ma che cavolo gli prende oggi a questo? Lascio correre sull'ultima frase perché so che rispondendogli accenderei la miccia per una lite coi fiocchi. Esco di casa e mi fiondo in auto. Come ogni mattina rimango bloccata nel traffico e solo a metà strada mi accorgo di essermi dimenticata la borsa. Appena mi è possibile faccio un'inversione di marcia e ritorno a casa tra un'imprecazione e l'altra. Lascio la macchina posteggiata in malo modo e corro fino all'ascensore. Premo il pulsante, una, due, tre volte. Ma niente. La signora del quinto piano lo avrà lasciato di nuovo aperto. Inizio a correre su per le scale e quando arrivo al quinto non riesco a controllarmi. Vedo la signora Rizzo intenta a tirare fuori la spesa dall'ascensore, le porte di questo bloccate da un pezzo di legno. La investo con i miei impropri mentre lei rimane di sasso a guardarmi a occhi sbarrati. Devo sembrarle una pazza. Noto la sua dirimpettaia, un'anziana donna di cui non ricordo il nome, affacciarsi alla porta.

Un amore di Chirurgo 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora