4. Il risveglio

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Sentiva il terreno sotto di lei, era umido e una leggera brezza le stava facendo venire i brividi lungo tutto il corpo. Riprese conoscenza quando qualcuno, nell'oscurità le si avvicinò e chiamò aiuto; aprì gli occhi tanto da riuscire a vedere la notte illuminata dal chiaro di luna che riusciva scorgere dall'edificio alto che si ergeva imponente di fianco al suo corpo inerme. Un'ombra torreggiava su di lei, quella di un uomo che quando la vide in terra iniziò a chiamare aiuto e, in tutta risposta, sentì dei passi in lontananza che si stavano avvicinando a lei. Il ragazzo si chinò per avvicinarsi ma lei non riuscì a mettere bene a fuoco il viso nascosto dalla penombra, con una mano, particolarmente fredda, le tocco leggermente la guancia.

"Ehi, riesci a sentirmi?" Talia lo sentiva, ma come una voce molto distante da lei, come se l'uomo fosse al capo opposto di un lungo tunnel. Lui parve capire che non era ancora pienamente cosciente e quando si avvicinarono anche altre persone si girò verso di loro "è conciata parecchio male, dobbiamo portarla subito in infermeria."

"Ma sei sicuro che..." fu tutto quello che Talia riuscì a sentire provenire da un'altra voce maschile prima di perdere i sensi accecata dal dolore mentre l'uomo la prese in braccio.

La prima cosa che sentì fu l'odore di pulito, successivamente si rese conto che non era più coricata sul terreno, ma su qualcosa di soffice e asciutto e poi arrivarono loro a ricordarle quello che le era capitato: i dolori, leggeri e non più strazianti, non le facevano più perdere la ragione, non la facevano più impazzire e quindi decise di provare ad aprire gli occhi. Le ci vollero qualche secondi per adattarsi alla luce ma nonostante questo aveva ancora la vista un po' offuscata; provò a sbattere le palpebre un paio di volte e cominciò a mettere a fuoco qualche elemento. Era stesa a pancia in su e fissava un soffitto bianco e intonso, di una stanza che non sembrava molto grande: fece girare rapidamente lo sguardo intorno a sé e si rese conto di essere coricata in un letto molto semplice, non ospedaliero, e la stanza tappezzata di vetri scuri che le impedivano di vedere se ci fosse qualcuno fuori. 'Qualcuno'. A quel pensiero cercò di focalizzarsi sui suoni per capire se fosse sola: la stanza era parecchio silenziosa e, allo stesso tempo, piena di apparecchi tecnologici e display pieni di luci e colori che lei non riusciva a decifrare, quelle cose non erano il suo forte. Se 'qualcuno' fosse fuori dal vetro potrebbe tranquillamente entrare da un momento all'altro e lei non avrebbe nemmeno il minimo preavviso. In quel momento, a quel pensiero, ritrovò la ragione: dove si trovava? Non era più a casa con i suoi zii, non era più nel giardino insieme ai due uomini, non vedeva suo padre... la testa prese a girarle quando si rese conto di tutte le informazioni che aveva appreso, ma quanto tempo era passato? Il respiro iniziò a farsi corto soffocato dal panico che lentamente stava prendendo il possesso della sua mente, uno dei macchinari intorno a lei prese a fare dei suoni, ma si sforzò comunque di pensare a quello che ricordava con certezza degli ultimi avvenimenti: un brutto incubo durante la notte, le valige all'alba, lo scontro la mattina, poi vuoto fino all'ultimo ricordo che aveva prima di svegliarsi in quel letto, ossia la notte, alberi e un uomo. Dove si trovava? Tutto quello non aveva senso, cercò di sforzarsi di trovare un senso, di mettere insieme i pezzi, ma tutto ciò che riusciva ad ottenere era di aumentare il suo panico con dei possibili risvolti negativi: era successo qualcosa alla sua famiglia? Per questo non erano lì di fianco a lei? C'era qualcuno oltre quel vetro scuro? A mano a mano che riaffioravano dei pezzi di storia di quella mattina il battito cardiaco si faceva più intenso e, ad ogni secondo che passava, aveva sempre più la sensazione che qualcuno le avesse messo la testa sott'acqua. Sull'orlo di un attacco di panico le balenò in testa l'idea di provare a parlare e attirare l'attenzione di chiunque ci fosse stato dall'altra parte, ma poi capì che non era una bella idea: non c'erano finestre in quella stanza quindi non si sarebbe potuta affacciare e tranquillizzarsi nel vedere l'ormai famigliare profilo delle dolomiti anche solo in lontananza. Decise di provare a tirarsi seduta sul letto e scoprì di poterlo fare senza troppi dolori anche se, giurava di ricordarsi, di avere almeno quattro o cinque costole rotte; il letto scricchiolò leggermente e il lenzuolo bianco che la copriva si abbassò mostrandole che stava indossando una maglietta, che non le apparteneva, blu notte con un simbolo molto particolare stampato sulla parte sinistra, una specie di "A". Mosse lentamente le gambe e appoggiò i piedi nudi sul pavimento freddo: aveva addosso dei pantaloni lunghi probabilmente in coordinato con la maglietta. Stava per alzarsi in piedi quando improvvisamente sentì del chiacchiericcio provenire al di fuori della vetrata e, prima ancora di poterlo realizzare, la porta automatica si aprì rivelando tre uomini

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