16. La fuga

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Aprì gli occhi e si trovò in mezzo alla folla di gente, nessuno la guardò nemmeno, nessuno le prestava attenzione: tutti troppo intenti con le loro vite e con la testa bassa sui telefoni. Il suo mantello era tornato una giacca in pelle e sentiva l'umidità autunnale di quella giornata che era diventata leggermente nuvolosa. Era confusa, non aveva mai visto quel posto in vita sua: era circondata da grattacieli tanto alti, che sembravano veramente toccarlo il cielo. Si trovava in una sorta di piazza tappezzata di display luminosi sugli edifici: diverse persone, quelle che non erano trasportate dalla frenesia delle loro vite, si scattavano foto a vicenda sorridendo, mentre lei si rese conto delle lacrime che le scorrevano calde lungo le guance. Centinaia di persone le passarono accanto mentre lei era immobile nel bel mezzo di Time Square a fissare l'immenso vuoto di fronte a lei: nessuno la guardò, era come se non esistesse nemmeno, come se fosse un puntino insignificante in quel mare di gente e per ora le andava bene così. Era fissa nella sua mente l'immagine dei loro volti, dei volti delle persone che aveva appena lasciato; il volto di Bucky era quello che si ricordava meglio di tutti: la disperazione, la tristezza e il disappunto erano dipinti sul suo viso. Dopo averle confidato di come il suo migliore amico l'aveva lasciato per vivere la sua vita, anche lei aveva appena fatto la stessa cosa: lei però l'aveva fatto per Kai. Quel pensiero la risvegliò improvvisamente e si asciugò le lacrime dalle guance con il palmo della mano: Kai era in pericolo, era solo un ragazzino di quindici anni ed era in imminente pericolo di morte, lei lo sapeva. Doveva trovarlo, doveva raggiungerlo a Los Angeles: ma non aveva portato soldi con sé, non si sarebbe potuta permettere un biglietto aereo. Tirò un respiro profondo e si focalizzò sull'obiettivo: era ora di entrare in azione e doveva essere prudente, non doveva lasciare tracce che gli Avengers avrebbero potuto seguire. Se le cose fossero andate male, voleva limitare i danni collaterali strettamente alla sua persona, senza coinvolgere loro. Chiuse gli occhi e la grande piazza piena di luci scomparve intorno a lei e al suo posto si trovò all'interno di un aeroporto: lo schermo di fronte a lei indicava che si trovava all'aeroporto JFK di New York. Il pannello mostrava anche i Gates di partenza dei voli, cosa che poteva significare che aveva viaggiato nell'ombra oltre i controlli di sicurezza: non sarebbe comunque riuscita ad acquistare dei biglietti, ma allo stesso tempo non aveva documenti con sé. Talia sapeva che avrebbe dovuto trovare entrambe le cose in fretta: il primo volo per Los Angeles partiva in meno di un'ora. La ragazza alzò nuovamente lo sguardo e vide una telecamera di sicurezza che puntava direttamente al suo viso, sapeva che doveva essere cauta: con un gesto della mano le sue sembianze cambiarono, trasformandosi in una ragazza mora con gli occhi azzurri e con i lineamenti totalmente diversi dai suoi. Ora aveva un piano preciso: si diresse camminando con disinvoltura, ma sempre guardandosi le spalle, verso il Gate dal quale sarebbe partito il volo per Los Angeles. C'erano già diverse persone sedute sulle sedie di fronte al Gate ad aspettare di essere imbarcati, Talia doveva solo trovare la persona giusta: fece correre rapidamente il suo sguardo e vide una coppia di mezza età e a poche seggioline da loro c'erano due uomini in giacca e cravatta; sempre lì poco distante si trovava una famiglia composta da cinque persone: la madre, il padre, due figli maschi adolescenti e un bambino che avrà avuto un anno. Infine, posò i suoi occhi su una donna seduta in disparte dagli altri, vicino alle vetrate che davano sulle piste e parlava al telefono. Talia prese posto in una delle sedute alle sue spalle: erano praticamente spalla a spalla.

"Si tesoro il volo parte tra meno di un'ora..." stava parlando al telefono ma interruppe la frase presa da un forte sbadiglio. "Si, scusa sono stanchissima, mi sono addormentata tre volte nel taxi e per poco non prendo sonno anche su queste poltroncine." Disse ridendo. Talia a sentire quelle parole pensò che fosse perfetta, nessuno si sarebbe accorto di nulla, nemmeno lei che avrebbe incolpato le poche ore di sonno probabilmente e qualche malcapitato per averle rubato il biglietto. Talia si concentrò e creò un'illusione, di modo che nessuno potesse accorgersi di quello che stava succedendo; la donna congedò la persona al telefono e Talia si girò posizionandole le sue mani vicino alle tempie. Fece quello che le aveva insegnato il padre e cominciò a scavare nelle ombre della sua mente, non le ci volle molto per trovare quello che faceva al caso suo.

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