Capitolo 1

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Per una ragazza del sud andare a studiare fuori è un traguardo. Vi sono diversi ostacoli da affrontare, primo tra tutti convincere la propria famiglia che andrà tutto bene, il secondo è riuscirsi ad ambientare nella nuova città.
Tanti sono stati gli ostacoli che ho dovuto affrontare quando ho deciso di continuare gli studi e trasferirmi nella movimentata e coatta capitale: Roma. È qui che ha avuto inizio la mia seconda vita.
Non è stato semplice convincere i miei genitori, non è stato semplice trovare casa, tantomeno è stato facile riuscire ad entrare all’università in un corso a numero chiuso. Ma dopo un intenso anno di preparazione per il test di ingresso ce l’ho fatta, sono riuscita ad arrivare dodicesima su cinquanta rendendo fieri i miei genitori, che da quel momento hanno capito che forse mandare la figlia in un'altra città per studiare non sarebbe stato del tutto inutile.

Così verso la fine di settembre iniziai ad arredare la mia nuova camera in un palazzo che si trova in un bel quartiere di Roma.

Ero completamente affascinata dai palazzi alti, dal traffico della grande città, dal caos.
Mi  guardavo intorno e non riuscivo a credere di avercela fatta, di aver realizzato il mio sogno: andarmene di casa.

Scelsi con attenzione i vestiti da indossare il primo giorno di lezioni: un pantalone nero, una maglietta bianca a pois marroni e un gardigan beige, la borsa marrone e le scarpe nere.
Quella mattina impiegai mezz’ora per riuscire a lisciare alla perfezione i  capelli che con l’umidità persistente della casa tornavano al loro stato naturale, un riccio indomabile.
Quando mi accorsi che era ora di uscire misi la borsa in spalla e strinsi forte in mano il foglietto con su scritto le indicazioni precise per arrivare all’università che mi  aveva scritto la mia coinquilina, Serena. Lei erano già un paio di anni che studiava a Roma, quindi conosceva abbastanza bene la città e come muoversi con i mezzi.
Arrivata in metro mi guardai intorno e pensai a quanto fossero tristi tutte quelle persone che salivano in silenzio sulle scale mobili con il capo chinato e le cuffie nelle orecchie. Avvertii  un senso di solitudine che quasi mi fece salire le lacrime agli occhi. Pensai "Tra un paio di mesi anch'io avrò il loro stesso aspetto? Incastrata nella monotonia della grande citta?" I miei  pensieri furono interrotti da un uomo con giacca, cravatta e una ventiquattrore in mano che mi spintonava da dietro per invitarmi a camminare più veloce.
Sul biglietto che stringevo in mano c’era scritto che una volta arrivata a Termini sarei dovuta scendere dalla metro per cambiare la linea A con la B.  A Termini regnava il caos totale, gente che correva dentro e fuori  i treni, sulle scale mobili, sulle banchine.
Una volta salita sul treno in direzione Laurentina sarei dovuta scendere a Basilica San Paolo per poi arrivare  a piedi all'università. Sono una persona a cui piace arrivare in anticipo e quella mattina davanti all’aula c’erano soltanto altri due ragazzi. Con il passare del tempo si creò una piccola folla e alle nove in punto un uomo calvo con la barba grigia e lunga aprì l’aula invitandoci ad entrare.
Io occupai il posto esterno dell’ultima fila, in fondo all’aula.
<<Buongiorno a tutti voi, sono il professor Brinchi, uno dei coordinatori del corso Scienze dell'alimentazione, e sarò il vostro professore di Fisica.>>
Da lì in poi iniziò a spiegare il primo argomento del suo programma e io cercai di stargli dietro nel riuscire a scrivere tutto quello che diceva.
Quel giorno avrei avuto una seconda lezione, quella di chimica inorganica.
Finite le lezione strinsi di nuovo il foglietto in mano e seguì le indicazioni per tornare a casa.

La prima settimana di lezioni fu tranquilla, evitavo di guardare in faccia gli altri studenti, li osservavo da lontano, avevo un po' paura di loro non sapevo come approcciarmi, avevo paura che si sentisse troppo il mio accento campano e che mi prendessero in giro.
Si stavano già iniziando a formare i primi gruppetti, quello dei secchioni, da cui stavo alla larga perché non mi sentivo intelligente nemmeno la metà di loro, quello dei fighi da cui stavo alla larga perché mi reputavo una sfigata, quello degli sfigati da cui mi tenevo alla larga perché non mi andava di entrare in un gruppo dove le persone erano più strane di me, quello dei fatti di cui il motivo per cui vi stavo alla larga non è difficile da immaginare, e poi quello dei belli dal quale rimasi alla larga perché non mi sentivo alla loro altezza.
Nella seconda settimana fu creato il gruppo whastapp, non rivolgendo la parola a nessuno io non ero un membro.

La terza settimana un ragazzo del gruppo dei belli si sedette a un posto di distanza dal mio, mi accorsi che ogni tanto mi fissava, era snervante perché mi sentivo giudicata. Presi coraggio e incrociai il suo sguardo, mi sorrise, si girò avanti e non mi fisso più. Il giorno seguente di sedette di nuovo a un posto di distanza da me, presi di nuovo coraggio e durante la pausa tra una lezione e l’altra gli chiesi se mi poteva aggiungere nel gruppo di whastapp. Fu molto gentile e non si mise a ridere di me. In quel momento pensai che fossi una sciocca ad avere il terrore di parlare con gli altri.
Mentre riflettevo su questo mi accorsi che il ragazzo che sedeva sempre davanti a me si era girato verso il “bello” per chiedere di aggiungere anche lui al gruppo. E così c’era anche qualcun altro che viveva ai margini come me!
Nei giorni seguenti osservai attentamente il ragazzo seduto di fronte a me  e notai che ci somigliavamo: era sempre attento e prendeva appunti, era timido, solitario e riservato. Era un ragazzo apposto.

Nella quinta settima di corso presi la febbre, e così per la prima volta mi dovetti fare coraggio e scrissi sul gruppo whasapp per chiedere gli appunti dei giorni in cui ero stata assente. La sera stessa mi arrivarono delle foto in chat privata da un numero che non tenevo salvato in rubrica, guardando la foto di profilo riconobbi il ragazzo, era quello che sedeva sempre davanti a me.
Quando mi passò l’influenza e tornai all’università mi feci coraggio e iniziai a parlare con il ragazzo seduto davanti a me. Si chiamava Mattia e da quel momento iniziammo a studiare insieme, preparammo anche qualche esame insieme diventando così colleghi di studio. Questo fino all’estate, quando abbiamo iniziato ad allontanarci perché lui ha iniziato a stringere amicizia con il gruppo quello non tanto raccomandabile.

Ora sono al secondo semestre del secondo anno e io parlo con quasi tutti i miei colleghi dell’università, non ho più paura di nessuno di loro,  ho una media più tosto buona e sono soddisfatta del mio percorso.
È a questo punto che la mia vita viene incrinata da loro: Mattia, Michele lo strano, Vittorio il cascamorto, e Riccardo e Gianluca i pericolosi.

Tutta colpa degli Affari [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora