Capitolo 32

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Il viaggio in macchina lo abbiamo passato con me a fissare fuori dal finestrino e lui a fissare prima la strade e poi me preoccupato.
Passata la paura e la preoccupazione, ho smesso di piangere e ora non faccio altro che pensare a quello che sia successo. Ma soprattutto perché. Antonio ha sferrato quel pugno a Riccardo così, senza un apparente motivo e Riccardo se lo aspettava. Dentro di me ora sta crescendo la rabbia. La rabbia per quanto tutta questa situazione sia completamente assurda e per il bisogno di sapere quello che succede e ciò che Riccardo ostina a tenermi nascosto da quando è iniziata la nostra relazione.
Riccardo prova ad appoggiarmi una mano sul ginocchio ma io glie la scanso in malo modo. <<Sistemerò tutto.>> mi dice leggendomi nel pensiero. <<Lo dici da quando ti conosco, eppure non è cambiato niente.>> Guardando fuori dal finestrino noto che siamo sotto casa sua. Senza aspettare che spenga il motore scendo dalla macchina e sbatto forte lo sportello avviandomi verso il palazzo. Lui mi raggiunge e in religioso silenzio saliamo in casa, vado dritta in camera sua e mi siedo sul pavimento ai piedi del letto, poggiando la schiena al materasso. Riccardo entra in camera e si siede vicino a me. << Non è vero che non è cambiato niente.>> mi dice fissando il vuoto davanti a noi. <<E cosa sarebbe cambiato?>> gli di chiedo girandomi a guardarlo. Si gira anche lui verso di me, mi guarda negli occhi e con il sorriso più dolce di questo mondo mi dice: << Sono cambiato io. Tu tiri fuori il meglio di me.>> nonostante sia lusingata dalle sue parole gli rispondo acidamente: <<Eppure continui a spacciare e a ritrovarti coinvolto in delle risse!>>
Lui sospira forte e si gira a fissare di nuovo il vuoto davanti a se. Dopo qualche minuto in cui entrambi rimaniamo immersi nei nostri pensieri, lui si alza ed esce dalla stanza. Dopodiché sento lo scroscio dell'acqua e mi alzo per raggiungerlo in bagno. Lo trovo che si sciacqua le mani e il viso per lavare via il sangue. Poi prende un asciugamano dal mobiletto sotto il lavabo e si tampona il viso. Fa per uscire dal bagno ma lo fermo per un braccio e lo spingo a sedersi sulla tavoletta del bagno. Poi dallo stipetto vicino allo specchio prendo ovatta e acqua ossigenata per disinfettargli le ferite. La prima ferita che inizio a curargli è quella sul labbro inferiore. Appena poggio l'ovatta sul suo viso con una mano mi prende l'altra mano per portarsela all'altezza del livido che ha sul viso, mentre con l'altra mi tiene ferma la mano con l'ovatta per baciarmi un dito alla volta. Poi alza lo sguardo e mi guarda negli occhi. In questo gesto non posso fare a meno di percepire l'odio e il disgusto che anche lui prova per questa situazione.
<<Voglio che mi spieghi ogni cosa. Ora.>> gli dico facendogli capire che non ne posso più di rimanere all'oscuro di chissà quale cosa, di cui per altro sono anche coinvolta e non ne so il perché.
Lui mi lascia andare le mani e chiude gli occhi sospirando dalla frustrazione. Quando li riapre ha uno sguardo vuoto. Lui inizia a parlare e io a medicarlo.

<<Come già ti ho detto, mio padre se n'è andato quando ero piccolo, avevo al massimo sei anni. Di lui mi ricordo poco, ma mi ricordo che spesso mi portava con se a casa di un suo amico, Giovanni. Io giocavo con suo figlio mentre mio padre e Giovanni si chiudevano in qualche stanza per parlare di affari. Non ricordo nient'altro di lui. Quando avevo dieci anni mia madre mi spiegò tutto: Giovanni era il boss di una delle famiglie più importanti della malavita di Roma, e mio padre lavorava per lui. Un giorno mio padre perse una quantità enorme di roba, tra erba, pasticche e coca che avrebbe dovuto spacciare per Giovanni. L'ammontare di quella roba arrivava a settecentocinquantamila euro. Mio padre naturalmente sapeva che Giovanni glie l'avrebbe fatta pagare amara o lo avrebbe ammazzato, cosí fuggì.>> lui fa una pausa, mentre io mi appoggio a mani conserte alla lavatrice alle mie spalle dopo aver finito di medicarlo, in attesa che continui la sua storia.
<<Quando avevo tredici anni, una mattina si presentò alla porta un uomo, e con sé c'era un ragazzino della mia stessa età. Mia madre provò a non farli entrare in casa ma quando l'uomo le disse "Lucia, ti ricordo che la tua famiglia ha un grande debito con me" si fece da parte e li fece entrare. Quell'uomo era Giovanni, quel ragazzino era suo figlio Antonio.>> a sentire il suo nome lo blocco e gli domando: << Lo stesso Antonio che conosco anch'io.>> lui annuisce e riprende a parlare.
<<Giovanni mi disse che ormai ero abbastanza grande, che sarei dovuto diventare l'uomo di casa e che quindi avrei dovuto iniziare a lavorare per lui per ripagargli del debito che aveva con mio padre. Ed è così che sono entrato del giro, o per meglio dire è così che ha avuto inizio la mia vita di merda.
Ti ho detto una bugia: il primo tatuaggio che ho fatto, la "R", non sta ad indicare l'iniziale del mio nome ma della parola "rancore". In modo, che se mai un giorno, quando avrò finito di pagare il debito, e mio padre si dovesse presentare a quella porta, non dimenticherò tutto il rancore che provo per lui per avermi procurato una vita orribile.>>
Il mio viso è ormai segnato dalle lacrime. Poi con un sorriso che gli illumina gli occhi dice: << Poi qualche mese fa conosco una ragazza. Timida, riservata, seria, rigida e bella da togliermi il fiato. Ti dice qualcosa?>>
Mi scappa un sorriso e mi avvicino a lui per sedermi sulle sue gambe. <<Mi ricorda qualcuno.>> gli dico sorridendo. Mi porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e continua: <<Comunque. Dentro di me si è mosso qualcosa, non ne potevo più di tutta quella merda, così sono andato da Antonio, che ormai da qualche anno fa le veci del padre, per dirgli che me ne volevo tirare fuori. La sua risposta è stata che se non avessi finito di pagare il debito di mio padre non se ne parlava. Così abbiamo fatto un patto, in cui io mi sarei dovuto prendere le piazze di altri due ragazzi in modo da saldare il debito in breve tempo possibile, e solo dopo ne sarei potuto uscire.
Poi la sera che lo abbiamo incontrato Antonio al Luxe e ci ha visto insieme, ha capito che a te ci tenevo in modo particolare. Cosi mi ha mandato un avvertimento, ordinando a quel figlio di puttana di Davide di..di..>> lo interrompo facendogli segno che non c'è bisogno che continua e che ho capito a cosa si riferisce. Mi prende le mani e mi fa alzare, si solleva la maglietta e mi indica il tatuaggio sulla cicatrice: <<Quindi sì, è colpa mia quello che ti è successo quella sera. E se dovessi fare un passo falso ci andresti di mezzo tu.>> mi dice riabbassandosi la maglietta.
Nella mia testa adesso tutto prende finalmente ordine: i gesti di Riccardo, i suoi tentativi di starmi alla larga, le frasi che sentivo da Antonio che per me non avevano senso. Ma ora tutto ha finalmente un senso! Prendo la mano di Riccardo e lo porto con me nella sua camera. Lui mi guarda stupito: <<Credevo che una volta che ti avessi raccontato tutto saresti scappata via da me.>> Lo guardo negli occhi e gli rispondo: <<Lo credevo anch'io. Ma anche tu tiri fuori il meglio di me. Grazie a te riesco ad essere una persona forte. E...>> non mi lascia finire di parlare che si fionda sulle mie labbra per baciarmi. A fior di labbra mi dice: <<Ho bisogno di te.>> e stringendomi più forte mi fa sentire quanto è eccitato. Lentamente ci spogliamo e ci accarezziamo, osservando i nostri corpi come se fosse la prima volta. Ci sdraiamo lui sopra di me e io che lo stringo forte tra le gambe intorno alla vita. Ci fissiamo dritto negli occhi e affonda in me. Entrambi sospiriamo dal piacere senza distogliere lo sguardo l'uno dall'altro. Si muove lentamente dentro di me ed come se stavolta lo sentissi di più. All'improvviso mi rendo conto che non ha indossato il preservativo. Lui capisce quello che sto per dire prima che io apra bocca. <<Lo so. Tranquilla piccola, fidati di me. Solo questa volta, ho bisogno di sentirti tutta.>> riluttante provo a rilassarmi tra le sue braccia. A ogni singola stoccata affonda in profondità in me e capisco quanto in questo momento lui senta la necessità non solo della vicinanza dei nostri corpi, ma delle nostre anime. Dopo qualche altra spinta esce e mi viene sulla pancia fissandomi profondamente negli occhi. Dopodiché mi fa alzare dal letto insieme a lui e mi conduce in bagno. Entriamo nella doccia e velocemente ci diamo una pulita, con lui che mi riempie di baci dappertutto. Dopo esserci asciugati torniamo a letto, ci infiliamo sotto le coperte nudi e ci abbracciamo uno di fronte all'atro. <<Piccola, che cosa mi stai facendo?>> gli do un leggero bacio sul naso e mi giro dall'altro lato, lui mi afferra per i fianchi e mi stringe forte con la schiena al suo petto. Infine, prima di addormentarmi sento: <<Piccola, credo di amarti.>>

Tutta colpa degli Affari [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora