The life in the machine

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Essendo un programmatore, uno dei miei sogni è sempre stato quello di creare un videogioco originale, qualcosa che nessuno avesse mai fatto per il mercato.

Dopo aver dato un’occhiata a Spore, ne rimasi intrigato. In questo c’era un tentativo di affidare alle persone il controllo dell’universo. Dopo aver ricercato cosa rendeva i videogiochi tanto popolari, capii che la principale causa era il controllo.

Le persone, nella loro vita quotidiana, non hanno alcun controllo su ciò che li circonda. Gli dicono cosa fare, dove andare e come vivere. I loro lavori consistono in stare alzati o sedersi da qualche parte fino alle cinque del pomeriggio, quando hanno il permesso di tornare a casa. Non è un mistero che siano infelici.

Per molte persone i videogiochi sono un modo per fuggire da un mondo dove sono sotto controllo, o vivere emozionanti vite non vere, ricche d’avventura.

Diedi uno sguardo a giochi come The Sims, e notai che ciò che li rende così popolari non è solo l’illusione del controllo, ma anche il grado di controllo: hai insomma il controllo completo sulla vita delle persone.

Prima di The Sims, c’era SimEarth. Un gioco in cui non controlli soltanto le singole persone, bensì un’intera Terra! Giunsi alla conclusione che dovevo sviluppare un gioco simile a Spore, in cui il giocatore guida subdolamente l’evoluzione. Il fatto che Spore fu un tale fallimento dipendeva dalla mancanza di realismo nel controllo che le persone avevano. Assomigliava a malapena all'evoluzione.

Per fare ciò, cominciai a generare un sistema fisico. Sapevo ben poco di fisica, ma decisi di studiarla, e cercai di crearne una versione semplificata, in cui alcune particelle potevano interagire tra di loro in modi specifici. Alla fin fine, la fisica è semplicemente matematica complessa.

Simulai l’energia e la materia, e creai un sistema semplice, con un sole che emetteva energia e un pianeta che coglieva tale energia girandovi attorno.

Decisi, partendo da zero, di creare delle semplici cellule di base che erano cablate a codice, così che potessero comunicare nell’universo che stavo progettando. Vivevano con l’energia emessa dal mio sole, e avevano un codice genetico che generava a sua volta codici per le sostanze prodotte da tali cellule. Credo potreste definirli i miei eucarioti.

Il mio mondo, dopo pochi minuti, si riempiva sempre delle suddette cellule, che dopo di ciò si trasformavano, e la cellula più efficiente nel convertire l’energia proveniente dal sole in sostanze utili alla mitosi sopravviveva. Era molto noioso, ma suppongo abbia funzionato.

Decisi di espandere il sistema fisico, e obbligare le cellule a produrre materiali di scarto, che erano tossici e le avrebbero uccise. Notai che alcune cellule risposero a ciò producendo meno scarti; altre risposero creando qualcosa per espellerli. Altre ancora, alla fine, svilupparono delle sostanze chimiche per pulire i materiali di scarto.

Tuttavia, notai qualcosa di affascinante. Far girare la simulazione per un po’ di secoli (pochi minuti nella vita reale) generava cellule che creavano quantità enormi di materiali di scarto specifici di proposito. Mi accorsi che le altre cellule, di conseguenza, morirono, e per tutta risposta le prime si appropriarono delle costruzioni che avevano ricavato con l’energia. Erano nati i primi predatori.

Con essi, la diversità in questo piccolo mondo incrementò rapidamente. Alcune cellule svilupparono la capacità di allontanarsi alla vista delle tossine; altre la resistenza ad esse. Quelle che acquistavano resistenza alla fine avrebbero ottenuto la capacità di utilizzare le tossine a loro volta.

Alla fine, mi accorsi di qualcosa d’interessante. Le cellule che si allontanavano dalle tossine si riunirono con le cellule che le utilizzavano. Rimasero vicine, e si aiutarono a vicenda. Infine questi tipi di cellule univano l’una con l’altra. Formavano una strana simbiosi, in cui la cellula che normalmente si sarebbe allontanata dalle tossine si muoveva nei posti in cui si trovavano, e l’altra cellula consumava le tossine e forniva un po’ di energia a quelle che si muovevano.

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