La telefonata

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Sarah sedeva sul divano: una gamba penzoloni, l'altra sollevata, le dita delle mani intrecciate attorno al ginocchio come per tenerlo su.
Di fronte a lei, sull'enorme schermo televisivo, i personaggi di un film si muovevano e parlavano senza emettere un suono. Non aveva voglia di sentire cosa dicessero, le immagini servivano solo a tenerle compagnia.
Detestava quel lavoro, ma era necessario.
Lo squillo inatteso del telefono la fece sobbalzare.
Ripresasi, si allungò con un tuffo sui cuscini in pelle per afferrare l'apparecchio prima che potesse suonare un'altra volta, e se lo portò all'orecchio.
«Pronto?»
«Hai controllato i bambini?»
La voce dall'altra parte era maschile, roca, e sembrava in qualche modo artefatta, impostata. Anche concedendo tutto il beneficio del dubbio alle distorsioni della linea, non poteva certo trattarsi dei padroni di casa. E poi il tono stesso della domanda non sembrava autentico, dava quasi l'idea di una presa in giro. Malevola.
«Chi parla?», chiese comunque, quasi per abitudine.
«Hai controllato i bambini?», ripeté la voce nel medesimo tono.
No, non li aveva controllati. Erano nella loro stanza quando era arrivata e lì continuavano a essere, non c'era nulla da controllare. Chiunque fosse al telefono, doveva trattarsi di uno scherzo idiota.
Riattaccò.
Tornò alla posizione precedente, gettò uno sguardo distratto allo schermo e decise che ne aveva abbastanza della televisione, muta o no che fosse.
Senza spegnerla, si alzò, infilò le scarpe che aveva abbandonato sul pavimento e si diresse in cucina, con l'intento di mangiare qualcosa.
Aveva appena aperto il frigorifero quando il telefono squillò di nuovo.
Non esitò un istante prima di sollevare il ricevitore di quello attaccato al muro. Anche se fosse stato di nuovo l'imbecille di prima, doveva rispondere. Se i bambini si fossero svegliati sarebbe stato un problema, e anche se dal piano di sopra non avrebbero dovuto sentire, non poteva esserne certa.
«Pronto?», rispose sperando di non sentire quello che si aspettava.
«Hai controllato i bambini?»
«Piantala cretino!»
Le rispose solo il silenzio.
«Chi sei? Sergio?», lanciò un'accusa quasi a caso, scegliendo tra le sue conoscenze il più probabile ideatore della burla. Dall'altra parte non giunse alcuna risposta, a parte una specie di risata cupa e smorzata.
«Beh, chiunque tu sia piantala!», sibilò nella cornetta prima di riattaccarla con più forza di quanto avrebbe voluto. Guardò l'interno del frigorifero, ma l'appetito le era passato. Voleva solo che la serata finisse presto.
Sulla lavagnetta appesa alla porta dell'elettrodomestico, sorretto dalla base magnetica del pennarello, un biglietto recitava "Per le emergenze:", seguito da un numero di cellulare.
Staccò foglio e supporto assieme e uscì dalla cucina guardando il numero come se lo vedesse per la prima volta. Le venne voglia di comporlo, ma uno scherzo telefonico non si poteva certo definire un'emergenza, e lasciò perdere.
Era tornata in salotto da neanche cinque minuti quando l'ennesimo squillo la fece sobbalzare.
La prima volta non aveva neppure pensato a guardare il display per vedere chi stesse chiamando, e in cucina il telefono era un vecchio modello. Stavolta però rischiò uno squillo in più per alzarsi il cordless davanti al viso, anche se era sicura che sarebbe stato inutile.
Ciò che vide la raggelò.
Erano solo sei lettere, tutte maiuscole perché nessuno perdeva mai tempo a passare al minuscolo quando inseriva i nomi in rubrica. Solo sei. "STUDIO".
Il telefono le cadde di mano, ancora squillante. Rimbalzò sul divano e rotolò sul tappeto.
Il suo sguardo seguì invece il percorso inverso, sollevandosi verso la porta chiusa dall'altro lato del corridoio. Lo studio. Dove c'era un'altra linea telefonica.
Rimase ferma, immobile, con il suono del telefono che le vibrava nelle orecchie.
Aveva la fortissima tentazione di scappare, ma non poteva... i bambini...
Stringendo il pennarello come fosse stato un'arma, si fece forza e percorse il corridoio. Solo quando fu a ridosso della porta dello studio vide la lama di luce che ne filtrava, lambendo la moquette.
Prese un respiro. Esitare non serviva a niente, a questo punto doveva sapere.
Afferrò la maniglia e la girò. Proprio in quell'istante, il telefono infine tacque.
C'era un uomo in piedi davanti alla scrivania di mogano, cornetta in una mano, un coltello da cucina macchiato di rosso nell'altra, ma non fu quello ad attirare l'attenzione di Sarah. Ai suoi piedi, coperti di sangue, c'erano due piccoli, miseri corpi gettati lì come sacchi della spazzatura.
«Che hai fatto?», urlò.
L'uomo si produsse in un'altra sgradevole risata da maniaco. «Ti avevo detto di guardare i bambini.»
«Che cosa hai fatto?», ripeté lei. «Perché li hai portati fuori dalla loro stanza?»
Sul volto dello sconosciuto si dipinse un'espressione di stupore a quell'insolita reazione. Restò lì solo un istante, poi venne rimpiazzata da un ghigno mentre l'uomo sollevava il coltello e si apprestava ad avanzare, e subito riprese il suo posto quando qualcosa glielo impedì.
Sarah ne seguì lo sguardo col suo, verso le piccole, fredde mani che gli si erano avvinghiate attorno alle caviglie. Mani che avrebbero dovuto essere troppo deboli anche solo per rallentarne il passo ma che, lo sapeva, lo stavano tenendo bloccato.
La ragazza non volle vedere il resto.
Fece un veloce passo indietro, chiuse la porta e prese a mormorare frasi senza senso apparente, mentre col pennarello tracciava sul legno i simboli che avrebbero impedito alle creature di uscire, almeno fino al ritorno dei padroni di casa.
Ci furono delle urla, ma cessarono quasi subito, e mentre completava il lavoro Sarah si ritrovò a sperare che il telefono ricominciasse a squillare.
Almeno l'avrebbe aiutata a non sentire il rumore dei denti che masticavano.

#Ragazzi, non mi funzionano i messaggi privati. È da circa dopo pasqua che non mi vanno più.
Mi scuso per tutte le persone che hanno provato a contattarmi e alle quali non ho risposto.
Spero che non sia una cosa duratura.
A dopo, Alexis♥

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