capitolo nove

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Camminavo a passo deciso verso la camera di Liam senza nemmeno guardare dove stessi andando. Pensavo e ripensavo ad Harry, al suo comportamento e al perché fossi così fissato su tutti i suoi minimi gesti.

Sapere che lui era andato al campo e che forse aveva qualcosa con Lottie mi aveva spezzato il cuore, mi aveva profondamente ferito e mi sentivo stupido a pensare che forse così tanto male non era.

Harry era un soldato e come tale non era diverso né da mio padre né dal Tenente Kotler.

Volevo piangere, urlare, liberarmi da tutto quello che mi stavo tenendo dentro e l'unica cosa di cui avevo bisogno era parlare e sfogarmi con mia madre ma non potevo.

Lei era sempre stata la mia unica cura a tutto ed era proprio in quei momenti in cui non sapevo dove sbattere la testa che sentivo la sua mancanza, che mi accorgevo che lei non c'era più e che non potevo più chiederle anche le cose più stupide.

Certe volte la odiavo per quello che aveva fatto, per aver preso una decisione da vera egoista senza pensare né a me né alle mie sorelle, poi realizzato e pensavo a quello che aveva passato, a tutto il dolore che mio padre e la guerra le avevano causato e subito ritiravo tutto quello che avevo pensato.

Mia madre era stata coraggiosa in tutto quello che aveva fatto.

Era stata coraggiosa quando si era sposata con mio padre perché dopo nemmeno un mese era partito per la Prima Guerra Mondiale, era stata coraggiosa quando aveva deciso di fare dei figli con quel mostro, era stata coraggiosa quando aveva cercato di fare finta di niente quando aveva scoperto la verità su mio padre, ma sopratutto, era stata coraggiosa quando si era suicidata. Prendere una pistola, puntartela alla tempia e spararsi non era una cosa semplice, sopratutto per una donna come lei che amava così tanto la vita e i propri figli.

Pensando a tutto quello mi scese involontariamente una lacrima che mi scese lungo guancia ma, non feci tempo a realizzare, che mi sentì sbattere contro il muro e una mano mi cinse il collo con violenza.

All'istante presi un respiro profondo terrorizzato da quella persona che mi stava letteralmente strozzando nel buio dei corridoi della casa degli orrori in cui vivevo.

Piano piano il viso di quella sagoma che mi stava bloccando al muro si avvicinò al mio e sentì il suo naso sfiorarmi il collo per poi inspirare il mio profumo.

«Che cazzo fai?!» sbottai mettendo le mani sulla sua che mi stava strozzando riuscendo ad allentargli leggermente la presa.

«Come va con la tua infermiera?» mi chiese con voce roca.

Lo riconobbi subito e mi sentì come se un coltello mi avesse appena tragitto appena realizzai a che punto fosse arrivata la sua violenza.

Il Tenente Kotler mi aveva seguito nel buio della notte, mi aveva spinto contro il muro e mi aveva messo una mano al collo per non farmi muovere.

Lui non era la stessa persona di cui mi ero innamorato io, ne ero certo! Non era possibile!

«Cosa stai dicendo Rupert?!» sussurrai cercando di non far trapelare la paura che avevo dalle mie parole e dalla mia voce.

«So che Styles ha saltato delle convocazioni da Hitler per non infettarlo dato che stava con te!» sbottò lui. Era nervoso, era tanto nervoso e la cosa non mi piaceva nemmeno un po'.

«Eh beh? Stavo male e lui mi è stato vicino.» dissi cercando di sminuire l'accaduto.

Non potevo dirgli che in realtà stare così tanto tempo con lui mi aveva fatto capire che forse provavo qualcosa nei suoi confronti, che forse lo odiavo ed amavo allo stesso tempo e che mi feriva il fatto che fosse un Tenente.

𝟏𝟗𝟒𝟑 || 𝐋.𝐒.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora