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                         17 anni dopo

"Ed è con il massimo dell'orgoglio che oggi proclamo queste giovani promesse dottori in medicina scientifica. Congratulazioni!"
Heavenly tirò un sospiro di sollievo, finalmente era libera.
Ora poteva confermare la richiesta di lavoro fatta nella stazione di Tampa.
"Congratulazioni Heavenly, sono fiero di te."
Nonostante cercava di restare indifferente però le faceva comunque piacere sapere di essere motivo di orgoglio per qualcuno.
L'uomo dai capelli brizzolati con il suo fedele doppiopetto le sorrise e la strinse in un abbraccio.
"Grazie Peter, sei sempre molto gentile."
Peter le diede un buffetto sul naso e strinse le spalle rammaricato.
"Non ti riesce proprio vero?"
Heavenly abbassò lo sguardo mortificata e poi guardò i suoi compagni di corso che facevano baldoria con i parenti.
Erano anni che aspettava di sentirla che lo chiamava papà.
"Mi spiace, ne abbiamo parlato tante volte e sai quanto mi dispiace. Sei la figura più vicina a un padre che conti nella mia vita ma non ci riesco."
Peter sorrise mesto.
Erano passati diciassette anni e di quella ragazzina spaurita che era arrivata in ospedale annerita dal fumo e con urgente bisogno di ossigeno era rimasto solo un velo di dolore in fondo agli occhi.
Heavenly era cresciuta, era diventata una ragazza bellissima, con lunghi capelli neri e occhi azzurri come il cielo.
Aveva tanti amici, un sacco di ragazzi che le facevano il filo ma lei sembrava immune ai loro approcci.
Non aveva mai portato un fidanzato o qualcosa che gli assomigliasse a casa, era sempre stata diligente e obbediente quasi come se fosse programmata.
Come se ribellarsi, rispondere male o mancare di rispetto a qualcuno non le fosse concesso.
Diciassette anni prima quando l'avevano portata in ospedale aveva gli occhi ingranditi dalla paura e allo stesso tempo dalla curiosità.
I primi giorni era rimasta buona nel letto a chiedere quando la sua mamma sarebbe andata a prenderla, poi era toccato proprio a lui doverle dire che nessuno sarebbe andato a prenderla perché i suoi genitori erano in cielo.
Non si era trovato alcun parente della ragazzina e gli assistenti sociali avevano scartabellato tutti i documenti degli uffici anagrafici della Florida senza trovare alcun riscontro di adozione.
Sua moglie Delia era passata da lui per fargli firmare i consensi della scuola per suo figlio Michael ed era rimasta affascinata quanto lui da quella bambina che sembrava quasi dipinta.
Aveva insistito talmente tanto che alla fine avevano chiesto l'affido.
Diceva che i suoi figli ormai erano diventati grandi e non avevano più bisogno di lei, che era troppo avanti con l'età per una nuova gravidanza e che quella piccola bambina aveva bisogno di una famiglia piena d'amore.
Purtroppo però portando a casa Heavenly non avevano tenuto conto della gelosia che sarebbe scaturita nei figli.
Tanto Michael quanto Clarisse avevano dimostrato sin da subito il loro astio nei confronti di quella ragazzina che avrebbe avuto i loro stessi diritti.
Nel corso degli anni ne avevano combinate di ogni nei confronti della povera Heavenly che aveva subìto e parato le spalle restando sempre in piedi senza mai piegarsi o versare una lacrima.
Poi sua moglie si era ammalata ed era morta, in casa le cose erano peggiorate e lui si era visto costretto a prendere un appartamento a Heavenly per permetterle di vivere e studiare tranquilla.
Ora era rimasto solo in quella grande casa, Michael e Clarisse avevano preso strade differenti che li avevano portati lontano da Tampa e  dalla Florida.
Non gli era sembrato giusto chiedere a Heavenly di ritornare a casa, non era di certo il suo cane da compagnia. Così si era limitato ad andare a trovarla, pranzare ogni tanto con lei e seguirla nel suo percorso di studi per diventare paramedico.
Lo aveva promesso a Stan Whife a soli sette anni, appollaiata sul letto dell'uomo pochi giorni prima della sua morte, ora poteva mantenere fede a quella promessa, nessuno poteva impedirle di farlo.
Aveva sempre espresso il desiderio che lo chiamasse papà ma a lei era sembrato che facendolo avrebbe offeso la memoria di colui che aveva contribuito a metterla al mondo.
Il suo papà era bello e alto, tanto alto, con i capelli neri e le fossette dove lei ogni sera infilava le dita.
Ogni volta che gli era possibile tornava a casa con una sorpresa per lei, che fosse un pupazzetto, una caramella, una pallina, non aveva importanza, quello che importava era che la prendeva in braccio e la faceva volare.
Stan Whife le aveva dimostrato che l'amore per la vita va oltre ogni barriera, le aveva salvato la vita senza pensarci su due volte.
Si era gettato tra le fiamme proteggendo il suo corpo nonostante lei non rappresentasse niente per lui.
Quando nella sua innocenza gli aveva chiesto perché non aveva preso anche la sua mamma e il suo papà, Stan le aveva risposto che lei in quel momento gli era sembrata più importante e i suoi genitori lo avevano pregato di portarla in salvo.
Per svariati giorni le avevano permesso di andare a trovare l'omone alto con gli occhi verdi che l'aveva salvata.
Poi non le era stato più permesso finché Peter non le aveva detto che Stan faceva compagnia ai suoi genitori in cielo.  Prima di andarsene gli aveva detto di dire ad Heavenly che quello che aveva fatto lo avrebbe rifatto senza alcuna remora perché lei se lo meritava e che avrebbe vegliato su di lei affinché tenesse fede a quella promessa.
Promessa che non vedeva l'ora di mantenere.
Gli aveva fatto un sacco di domande riguardo al suo lavoro su quel letto di ospedale e Stan aveva risposto come poteva senza mai omettere nulla.
Tutto quello che Stan le aveva raccontato era ancora lì nella sua testa a ricordarle perché aveva scelto di diventare paramedico.
"Ehi Heavenly noi andiamo a bere qualcosa tu vieni con noi?"
Tessa, una delle sue compagne di corso le corse incontro sperando che una volta tanto li seguisse.
"Ehi Tessa, no grazie. Andate voi e bevete anche per me e mi raccomando tenete d'occhio Justin lo sai che dopo il primo giro è fuori uso."
La ragazza la salutò con un abbraccio e un sorriso enorme e tornò dagli altri che la pregavano di unirsi a loro.
"Perché non vai con loro? Sono tutti simpatici e bravi e poi dopo tanto studio una meritata pausa te la puoi concedere."
Rivolse uno sguardo quasi disperato all'uomo che si era preso cura di lei.
Non è che non volesse andare con Tessa e gli altri, ma andarci avrebbe significato rimandare la visita ufficiale alla stazione di Tampa.
E di tempo per vedersi con gli amici ne avrebbe avuto tanto, quello che le premeva nelle prossime ore era passare il resto della giornata alla stazione.
"Nessuno di loro lascia Tampa, potremo uscire ogni volta che ne avranno voglia. Adesso è un altra la mia priorità."
Peter scosse la testa.
"Sei sempre stata diligente e impostata, se qualche volta esci fuori dalle righe e ti diverti non succede nulla di grave. Ti voglio bene, ormai sei mia figlia e mi dispiace vedere che resti quasi in disparte. Non devi sentirti in colpa nei confronti dei tuoi genitori, l'essere sopravvissuta non è una condanna. Essere sopravvissuta è un dono, un dono per cui ringraziare ogni giorno i tuoi genitori e renderli fieri di te. Non sprecare gli anni più belli, vivi Heavenly."
Non le restò che annuire.
Voleva bene a Peter, aveva imparato negli anni che era di poche parole ma quando parlava diceva sempre cose giuste.
Era vero, si sentiva in colpa nei confronti dei suoi genitori e dello stesso Stan che ci aveva rimesso la vita per salvarla.
Si sentiva come se non avesse alcun diritto di respirare, vivere e divertirsi, solo perché era sopravvissuta.
Sbuffò frustata, voleva anche piangere ma non poteva farlo.
"Mi...mi accompagni alla stazione?"
Era impaziente.
Peter le sorrise.
Voleva che la accompagnasse e questo contava molto per lui.
"Andiamo."
Quando vide stagliarsi davanti all'auto di Peter l'enorme edificio in cemento e mattoni su cui capeggiava il grande distintivo dei pompieri il suo cuore esultò. Scese dalla macchina e prese un grosso respiro, Peter la affiancò e le mise una mano sulla spalla.
"È il tuo momento. Va là dentro e conferma i tuoi dati. Sii sempre fiera di te perché io lo sono e di sicuro lo sono i tuoi genitori e Stan."
Heavenly annuì e si lisciò la gonna del vestito.
Mosse un paio di passi verso l'edificio e poi si girò nuovamente verso Peter.
"Non sarà troppo?"
Si indicò il vestito azzurro con la manica corta e la gonna larga che arrivava a sfiorare le ginocchia.
Quella mattina quando si era vestita non aveva messo in conto che finita la cerimonia di consegna della laurea sarebbe andata in stazione.
Quando aveva scelto il vestito con Tessa e Lauren le era piaciuto talmente tanto che lo aveva preso subito, ora però non le sembrava appropriato.
"Sei bellissima tesoro. Non temere nulla e non farti sopraffare."
Le venne spontaneo correre ad abbracciarlo.
Peter ne restò piacevolmente colpito.
Heavenly non regalava molti abbracci.
"Augurami buona fortuna. Ora vado."
"Ci sentiamo più tardi."
Fino all'ingresso le sembrò quasi di fluttuare, aveva le pulsazioni accelerate e le mani le sudavano.
"Calma Heavy respira e stai calma."
Spinse la porta a vetro e entrò.
"Salve."
Una donna sulla cinquantina con evidenti segni di vitiligine sul viso la guardò da dietro un carrello delle pulizie.
"Salve, cerco il capitano della stazione. O chi dirige questo posto."
"Al momento puoi trovare solo K2 al centralino, il resto della squadra è fuori."
Heavenly annuì e si guardò intorno per capire come arrivare al centralino.
"Eh mi scusi ancora signora, dove trovo questo...ehhm K2?"
La donna ripose lo straccio che aveva in mano e si asciugò le mani guantate sulla divisa verde, tolse un guanto e le porse una mano.
"Intanto mia cara dammi del tu, io sono Bernice e lavoro qui come inserviente. Vieni ti ci porto io da K2."
"Oh, la...."
Scosse la testa ricordando il monito di darle del tu.
"Ti ringrazio Bernice, io sono Heavenly."
Bernice annuì e la precedette lungo il corridoio.
"Heavenly, nome singolare, mai sentito."
Heavenly fece spallucce e annuì.
Era sempre stata poco espansiva con le persone che conosceva appena, non le andava di divulgare ai quattro venti il perché del suo nome.
Bernice si affacciò a una porta e richiamò un tipo che se ne stava con le gambe distese sulla scrivania.
"Ehi quante volte ti devo dire di non mettere i tuoi scarponi luridi sulla scrivania appena pulita! Sciò via di lì quei piedoni!"
Sentendola strillare come un generale il tipo scattò sulla sedia spaventato.
"Cristo Bernie qualche volta mi farai saltare le coronarie. "
Bernice alzò gli occhi al cielo e si spostò per fare entrare Heavenly.
"Wow e questa fanciulla da dove sbuca fuori?"
Heavenly osservò il tipo e si accorse che era alto, molto alto.
"Salve sono venuta a portare il mio attestato e la mia laurea, documenti che mancavano per effettuare l'inserimento definitivo tra voi qui nella stazione di Tampa. Le coronarie per saltare dovrebbero essere del tutto ostruite, ma dato lo stato di buona salute a livello di superficie che vedo ne dubito. Sono Heavenly, piacere."
Il tizio le si avvicinò e prese a osservarla con molta cura, forse troppa. Questo mise in agitazione Heavenly che si sentiva troppo esposta.
"Il piacere è tutto mio dolcezza, io sono Jordan Carrey ma puoi chiamarmi K2, come tutti. E fidati che questa donna è una spina nel fianco."
Bernice lo colpì con il guanto e sorrise.
"Ti lascio in buone mani tesoro e se ti prendono in questa gabbia di matti domani mattina prendiamo il caffè insieme ora torno al mio lavoro. Ehi K2 trattala bene e non fare il cavernicolo."
K2 le sorrise sornione.
"Benvenuta alla TFRD . Ora seguimi bellezza ti mostro un po' questo posto."
Anche se odiava i nomignoli per il momento lasciò correre, quello che le premeva era assorbire quante più informazioni possibili sulla stazione e i componenti del gruppo.

Tienimi nel tuo cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora