O.7 ; piccola fortuna.

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«You know just how to be cruel
When you shake your hips that way
I don't care what you say..
Michelle
Michelle!
you are a monster from hell...»


!allor, sto capitolo è un po' ambiguo.
parla del passato di kokichi pregame — ovviamente è tutto fanon, questo è solo come lo interpreto io lol, ed è anche abbastanza piccolo e non si capisce molto oof. quindi, se volete, potete anche saltarlo direttamente ;D!

***
Il nome Kokichi significa piccola fortuna.
L

a sua nascita, almeno all'inizio, era stata una piccola fortuna.

Lui era sempre stato un bambino diverso dagli altri.
Aveva paura della sua stessa ombra; non si fidava nessuno, e non amava particolarmente il contatto fisico.
E non c'era una ragione precisa per cui fosse così.

Aveva strani capelli dalle punte violacee che sfidavano la gravità, pelle cerea e occhi di un viola intenso e profondo.
Era gracile, basso, e impaurito.

Dalla prima volta in cui si imbatté con il crudele mondo, la società lo aveva da subito definito come un inetto, un insulso, un incapace.
Tant'è che se ne convinse persino lui stesso.

Ognuno aveva il suo ruolo nel mondo; e il suo era quello dell'inetto.
Una persona buona a nulla, maledettamente insulsa, maledettamente incapace, maledettamente inutile.

E persino per i suoi genitori era così.
La sua era la solita storia triste, vista e rivista, sentita e risentita, piena di cliché.
Era per questo che la sua vita gli faceva abbastanza ridere.
La sua inutile vita.

L'unica persona da cui riceveva amore era sua madre.
Poi lei morì.
E l'amore che fino a quel momento aveva tanto adorato, s'incagliava sul suo petto sanguinante.

Ogni dolore per lui era una piccola morte, un valore mancato, un guerriero battuto, un seme disperso.

E ogni volta che succedeva qualcosa, la meta gli sembrava sempre più lontana, sempre più irraggiungibile, sempre più maledettamente irreale.

La scuola, poi, non lo aveva di certo aiutato.
Così come le persone intorno a lui si accorsero subito di quello che era sin da piccolo, così successe anche con gli altri a scuola.

La verità era che lui non era altro che un vigliacco.
Voleva mettere fine alla sua esistenza, tanto non sarebbe importato a nessuno, ma allo stesso tempo l'idea di suicidarsi gli faceva venire la nausea.

E questo lo costringeva in un eterno limbo, in quel mondo che, almeno per lui, di avvenente e unico non aveva assolutamente nulla.

Si era ritrovato molto presto a vivere da solo, e, in un certo senso, fu un sollievo.
Anche se dopo un po' i giorni cominciarono a sembrargli tutti uguali; seppur alcuni simili a partenze, altri a ritorni, ma comunque tutti uguali.

Del suo sentire, il momento più bello era il silenzio.
Della giornata, poi, era la notte: così armonica, così silenziosa, così bella.
Con la Luna, quella, che vegliava sui sogni degli altri e si assicurava che regnasse il silenzio, attenta a non far rumore per non svegliare quelle creature insulse che chiamano umani.
Kokichi amava la notte.

Iniziò ad abituarsi a tutto questo.
E capì che la vita è così, non è mai troppo bella, e non è mai troppo brutta.
Capì che non era l'unico a mangiare merda un giorno sì e l'altro pure.

Ma l'essere chiamato inetto, quello no, a quello proprio non ci si sarebbe mai abituato, e lo sapeva.

E giurò che prima o poi si sarebbe ribellato a quel destino.
Ma era più difficile di quanto pensasse.
Maledizione.

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